PIETRO VERNA

PIETRO VERNA nasce a Bari il 02/04/1986. Nel 2009 si laurea presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione all’Università degli Studi di Bari, discutendo una tesi dal titolo Le figure femminili nei testi di Fabrizio De Andrè. Pietro preferisce considerarsi un “artigiano” della musica e delle parole, piuttosto che un cantautore. Contrario alla banalità e appassionato della scrittura, approfondisce gli studi musicali, lasciandosi nel frattempo accarezzare dall’influenza di artisti del calibro di F. De Andrè, I. Fossati, G. Testa, J. Barbieri, L. Dalla. Amante della musica francese, etnica e mediterranea. Nell’aprile del 2012 ultima l’autoproduzione del suo primo disco di inediti, dal titolo Ritratti. Il 4 novembre 2016 pubblica il suo secondo disco A piedi nudi, prodotto dall’etichetta Digressione Music di Molfetta (BA). Nel novembre del 2017 pubblica la sua prima silloge poetica, dal titolo Mia, con la Di Felice Edizioni. Il 25 marzo 2021 esce il suo nuovo singolo “Dalle porte del futuro” che anticipa la pubblicazione del suo terzo disco d’inediti, dal titolo Carne e poesia, prodotto sempre dalla Digressione Music. Il 20 maggio 2021 pubblica il suo terzo disco “Carne e poesia”.

Riconoscimenti e premi:

  • Finalista al  concorso “Parole e Musica – Premio Gianmaria Testa”, indetto dal Circolo Culturale Saturnio, col brano “Tu, l’attesa” – (2022)
  • Segnalazione del brano “Dalle porte del futuro” al  concorso “Parole e Musica – Premio Gianmaria Testa”, indetto dal Circolo Culturale Saturnio – (2021)
  • Secondo classificato con la silloge “MIA” alla quarantesima edizione del “Premio Letterario Internazionale – Città di Moncalieri” – (2020)
  • Secondo classificato col brano “Nereo” al  concorso “Parole e Musica – Premio Gianmaria Testa”, indetto dal Circolo Culturale Saturnio – (2020)
  • Menzione d’Onore al Premio Letterario Internazionale “Voci di Roma 2019” – (2019)
  • Menzione di Merito al Concorso Letterario “Città di Cologna Spiaggia” – (2019)
  • Partecipazione al Festival “La Luna e i Calanchi”, organizzata dal poeta/paesologo Franco Arminio – (2019)
  • Quarto classificato al concorso letterario “A Vento e Sole” – (2019)
  • Menzione d’Onore al Concorso Nazionale “Poesie d’Amore” – (2019)
  • Premio Speciale della Giuria al “Premio Nazionale di Poesia e Narrativa Alda Merini” – (2019)
    – Finalista del “Premio Poetico Internazionale Michelangelo Buonarroti” – (2018)
  • Primo classificato al “Premio Poetika” di Verbania (VB), nella sez. Silloge Edita – (2018)
  • Vincitore e miglior testo con Pomeriggio, premiato da Roberto Casalino, nella Rassegna “CantAuthoRap” di Castellana Grotte (BA) – (2015)
    – Partecipazione alla Rassegna “Multiculturita Jazz Festival” di Capurso (BA) – (2015)
    – Miglior testo con InteriorMente, premiato da Bungaro, nella Rassegna “CantAuthoRap” di Castellana Grotte (BA) – (2015)
    – Finalista del “Premio F. De Andrè” di Roma – (2013)
    – Premio della Critica al concorso “Cantautori Bitontosuite” di Bitonto (BA) – (2013)
    – Vincitore del “FestivalBand” di Adelfia (BA) – (2012)
    – Vincitore del “Contursi Festival” di Contursi Terme (SA) – (2012)
    – Partecipazione alla Rassegna “Argojazz” di Marina di Pisticci (MT) – (2012)
    – Finalista del “Premio Mauro Carratta” di Ugento (LE) – (2011)
    – Finalista del concorso “MusicaControcorrente” di Roma – (2010 – 2011)
    – Finalista del Festival Canzone d’Autore “In Musica” (Salerno) e vincitore del Premio Web – (2010)
    – Finalista del concorso “Botteghe d’autore” di Albanella (SA) – (2010)

Come è nata la tua passione per la musica e la scrittura?

Scrivo da sempre e suono dall’età di 14 anni. Amo la poesia, il cinema, l’arte del viaggiare, la natura, il mare, i dettagli. L’attaccamento alla musica credo derivi da un affare congenito (mio padre è stato un musicista dilettante negli anni ‘60 e ’70; suonava il basso e la chitarra). In realtà, nasce tutto quasi per gioco, per divertimento e complicità con amici. Col tempo, poi, è arrivato lo studio, l’impegno, la dedizione. Adesso la musica è per me catarsi, salvezza. Non saprei raccontarmi meglio, se non con una chitarra, una voce ed una penna. Riesco a rivelare l’indicibile, parti di me che altrimenti resterebbero al buio.

Perché preferisci definirti un “artigiano” della musica e delle parole piuttosto che un cantautore?

Mi piace concepire la canzone come il risultato di un mestiere da bottega. Credo che approcciarsi all’arte, a qualsiasi forma d’arte, debba assomigliare al lavoro di un artigiano, piuttosto che a quello di un commerciante. Scrivere canzoni, per quanto mi riguarda, è un po’ come levigare il legno, denudare i dettagli, non censurare le imperfezioni, scegliere accuratamente, innamorarsi ogni volta. È respirare polvere e fallimenti, ma anche salvarsi con una parola sussurrata nella più tenace tempesta. Un lavoro d’artigianato, insomma, nel quale si maneggiano la meticolosità, la passione, il sacrificio, il sudore, la pazienza, l’insoddisfazione, l’appagamento. Un modo umile per rivolgere le più sacrosante attenzioni ai valori, non alle statistiche e ai numeri.

In che modo le figure femminili nei testi di Fabrizio De Andrè hanno influenzato la tua tesi e il tuo approccio alla musica?

Mi sono laureato in Scienze dell’Educazione e della Formazione. Premetto che al termine di ogni mio percorso accademico, sin dalle scuole medie, ho sempre incluso un argomento musicale. Non potevo chiaramente precludermi questa possibilità negli studi universitari, scegliendo una tesi che, raccontando di De Andrè e delle sue figure femminili, inevitabilmente avrebbe abbracciato sia l’aspetto propriamente musicale, che, soprattutto, la sfera sociale. Mi sono soffermato sui tre archetipi principali relativi alla figura femminile: “la donna come amante”; “la prostituta”; “la figura materna”. Ne ho sviscerato significati e figure retoriche, approfondendo molti brani del cantautore genovese. La donna, nelle sue canzoni, qualunque scelta abbia fatto o condizione sociale si trovi a vivere, non è mai giudicata, anzi è la parte più forte e vera della collettività. Mi ha sempre affascinato questa visione, la sua predilezione per gli ultimi. Nel frattempo, ho anche visitato la sua città per qualche giorno, scrivendo – al mio rientro – una canzone intitolata “Genova”, come segno di riconoscenza nei confronti di De Andrè e di tutti i cantautori che questo luogo ha dignitosamente allevato nel suo grembo.

Qual è stato il processo creativo dietro il tuo primo disco “Ritratti”?

Il primo disco è nato da una somma di canzoni scritte negli anni, senza pensare troppo ad un progetto creativo coerente o ad una produzione studiata a tavolino. La necessità era quella di approdare nel mondo discografico con una identità musicale che mi assomigliasse, che iniziasse a raccontare di me. Il desiderio di produrre il mio primo disco d’inediti era forte e tenace; un sogno che fin da bambino avrei voluto esaudire. A 26 anni avevo scritto già molte canzoni: tante inascoltabili, altre migliorabili, altre ancora buone. Ho scelto le migliori dodici (per me, sia chiaro), ho contattato chi credevo potesse arrangiarle in modo dignitoso e di conseguenza sono stati pensati i musicisti, lo studio e le modalità di realizzazione. Un disco completamente autoprodotto, con i risparmi di allora, e privo di etichetta discografica. Una grandissima soddisfazione, un traguardo emozionante per me, ma anche un nuovo punto di partenza.

Puoi raccontarci l’esperienza di lavorare con l’etichetta Digressione Music per il tuo secondo disco “A piedi nudi”?

Ho prodotto con l’etichetta Digressione Music i miei ultimi due dischi: “A piedi nudi” nel 2016; “Carne e poesia” nel 2021. Lavorare con loro è stato molto bello, appagante, emozionante. È stato il mio arrangiatore a presentarmi Don Gino, produttore e ideatore dell’etichetta. Un uomo d’altri tempi, onesto e sincero, umile e sensibile, meticoloso e appassionato di musica, vero e profondo. Una persona squisita che, purtroppo, è venuta a mancare poco tempo fa. Provenendo dall’esperienza dell’autoproduzione col primo disco, aver trovato nel 2016 un’etichetta ed uno staff che credessero nella mia musica, tanto da volermi proporre un contratto discografico, è stato per me la realizzazione di un sogno. Tutto appariva nuovo ai miei occhi: lo studio, i musicisti, gli arrangiamenti, le pause caffè, i ritocchi, gli ascolti in cuffia, i suoni vibranti, le risate, le passeggiate al mare per riposare l’udito, gli errori, la serietà, le lacrime, le improvvisazioni, le mie stesse canzoni. Per la prima volta i miei brani godevano di edizioni, pubblicazioni su piattaforme digitali, promozioni nazionali; e lo stupore di trovare i miei dischi nei negozi di musica era del tutto indescrivibile. E da lì, il primo videoclip, poi il secondo, i concerti di presentazione, gli autografi, le confidenze, i pareri, gli incontri. Insomma, tanto ci sarebbe da raccontare. Un’esperienza indelebile, questo senza dubbio.

Cosa ti ha ispirato a scrivere la tua prima silloge poetica “Mia”?

In un preciso momento della mia vita ho ben deciso di “posare in un angolo” la mia chitarra, in quanto ho sentito una particolare forza nelle parole; era come se le stesse non avvertissero l’urgenza di essere sostenute dalla musica. Mi sono quindi lasciato fluire in questa nuova forma di scrittura e ispirazione. Pubblicata nel novembre 2017, dalla casa editrice Di Felice edizioni, e arricchita da una meticolosa prefazione del giornalista e scrittore Marino Pagano, la raccolta trasporta pensieri e sensazioni su carta, in un mescolarsi e rincorrersi di leggerezza e tenacia; passione e dolcezza; quotidianità e ricerca di un rifugio; amore mentale e sensuale. “MIA” rimanda non tanto ad un’idea di possesso, quanto al desiderio di appartenenza: ad un odore, ad un suono, ad un gesto, ad un luogo. Le parole si destreggiano, accuratamente, tra sfumature e dettagli. La destinataria dei versi ha le nitide sembianze di una donna: vissuta o immaginata, sfiorata o idealizzata. “MIA”, concludendo, esprime l’ancestrale bisogno dell’essere umano di sentirsi a casa o di essere casa per qualcuno.

Come descriveresti l’evoluzione del tuo stile musicale dal tuo primo disco “Ritratti” al più recente “Carne e poesia”?

Dal primodisco all’ultimo molte cose sono cambiate. Troppe, direi. Sono cambiato io, innanzitutto; e con me anche la mia vita, le esperienze, gli ascolti, i miei punti di vista, gli incontri, i sogni, le emozioni, i fallimenti. Quando i passi incedono, gli occhi imparano a familiarizzare con altri luoghi, con dettagli tralasciati; vien voglia di raccontare storie nuove, in modo diverso, anche per i libri e i dischi che si rinnovano nella tua libreria. Sono cambiati diversi musicisti con i quali ho collaborato; sono variate alcune scelte musicali, gli studi di registrazione, le preferenze musicali, la mia voce; ma, più di ogni altra cosa, ho imparato (e continuo ad imparare) l’arte della sintesi: nella scrittura, nella composizione, nella produzione. Con gli anni la mia propensione è stata quella di levigare, togliere, sottrarre, spolverare fino a creare qualcosa che mi assomigliasse appieno.

Qual è l’ispirazione dietro il tuo singolo “Dalle porte del futuro”?

Ho scritto questo brano tra marzo e aprile del 2020, durante il primo lockdown. Mi piaceva pensare alla situazione di clausura e distanza che – un po’ tutti o quasi – eravamo costretti ad abitare, non tanto come condizione di resa, sconfitta o fallimento, quanto come opportunità di cambiamento. Una sorta di fermata obbligata per ripensare al proprio vissuto, per spostare un punto di vista, guardarci dal di fuori, reinventarsi, ricominciare. Abbiamo vissuto un tempo sbandato fatto di solitudini forzate, di abbracci in castigo e debolezze. Ogni situazione, però, resta teorica e poco chiara fino a quando non la si vive in prima persona, dalla pancia: io e la mia famiglia abbiamo avuto – nel bene o nel male – questa possibilità. Ne siamo venuti fuori, più consapevoli e tenaci. Il messaggio intrinseco della canzone, quindi, era senz’altro un messaggio di speranza: credere fortemente nell’idea che tutto ciò che è stato accantonato in quel tempo complicato, prima o poi, sarebbe tornato a farci visita; i luoghi, i gesti, le relazioni si sarebbero rivelati in una veste nuova e diversa. Forse non ci sarebbe stato un miglioramento, come abbiamo visto negli anni, ma un cambiamento importante, in qualche maniera, sì.

Quali artisti consideri come i tuoi principali punti di riferimento e perché?

Ciò che porto nelle mie composizioni è una sorta di “mediterraneità”, un’idea del Sud che si manifesta poi nei suoni, nelle ambientazioni, nelle sfumature, nelle timbriche, nelle storie raccontate e nella scelta degli strumenti musicali. Mi ha sempre affascinato l’idea delle contaminazioni e dei linguaggi; la mescolanza di stili, suoni e arrangiamenti. Tendenzialmente ogni canzone, dal mio punto di vista, deve avere sembianze cinematografiche: deve farti vedere luoghi, farti toccare persone o sensazioni, commuoverti o scrollarti, regalarti odori e visioni. Ascolto tanta musica, generi variegati, dal cantautorato più tradizionale a quello più sperimentale. Fare un elenco dei miei ascolti mi riuscirebbe difficile, se non impossibile. In linea di massima, alcuni artisti che hanno molto influenzato il mio percorso artistico sono F. De Andrè, G. Testa, I. Fossati, Damien Rice, Amos Lee, Paolo Nutini ed altri. Ognuno di loro, inconsapevolmente, mi ha insegnato qualcosa.

Puoi condividere qualche aneddoto particolare legato alla produzione dei tuoi dischi?

Dianeddoti e ricordi ce ne sono tanti; mi fa sorridere ripensare, per esempio, alla produzione del mio secondo disco “A piedi nudi” del 2016, avvenuto in soli 10 giorni – corrispondenti agli unici giorni di ferie, nell’anno, a mia disposizione – in pieno agosto (tra commenti e bizzarre lamentele dei musicisti per il caldo). Tra la fatica, le poche ore di sonno, il bagaglio di ansia e tutto il resto, ricordo che tornai al lavoro più stanco di prima (nella vita, sono anche educatore), ma felice.

Come riesci a bilanciare il tuo amore per la scrittura con quello per la musica?

Non occorre alcuno sforzo per bilanciare questi miei amori, perché vanno di pari passo, si annusano e si mescolano in modo del tutto naturale. Sono coppia di fatto, s’intendono senza parlare e, con carezzevole complicità, sanno rispettare i giusti tempi di una ispirazione.

Qual è stato il feedback più significativo che hai ricevuto per il tuo lavoro finora?

Sceglierne uno mi risulta complicato.Aver prodotto tre dischi con brani miei e aver pubblicato una silloge poetica sono soddisfazioni gratificanti. Importante è stato anche introdurre concerti di alcuni artisti che stimo molto, tra i quali Bungaro, Joe Barbieri e Vecchioni. Un altro feedback commovente è avvenuto nel 2016 a Cavallermaggiore, quando Gianmaria Testa mi concesse con fiducia la possibilità di cantare e suonare le sue canzoni, in sua presenza, in uno spettacolo che avremmo fatto insieme a Bari, nei mesi successivi, ma che a causa della sua malattia non si è più realizzato. Altre gioie più quotidiane e semplici, ma per me profonde e significative, avvengono durante i concerti, quando magari le persone hanno voglia di ascoltare attivamente i miei racconti in musica o quando presenziano bambini curiosi o quando alcuni anziani mi rivelano commozioni e ricordi di gioventù.

Hai qualche progetto futuro in cantiere che puoi anticiparci?

Al momento, non ho progetti futuri ben delineati. Ci sono canzoni nuove, parole, idee, volontà, ma lascio che col tempo tutto prenda forma. Continuo a suonare molto in giro, questo sì, e la dimensione dei concerti la preferisco sempre, dà speranza.

Quali consigli daresti a un giovane artista che vuole intraprendere una carriera musicale?

Non mi sento nella posizione di poter elargire consigli, anche perché molto dipende dalle intenzioni, dagli obiettivi di ciascuno e dai tempi in continua evoluzione. Credo, però, che la determinazione, la tenacia, la curiosità, lo studio, la passione, l’onestà intellettuale, la pazienza, il coraggio e una gran dose di fortuna siano piccoli e buoni elementi da cui partire.

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