SERENA EVANGELISTA

SERENA EVANGELISTA Classe 1991, pugliese, “ha nella macchina fotografica il mezzo per perpetuare la verità. La sua graffiante curiosità pesca l’essenza della sua terra”. (Alessandro Salvatore, Gazzetta del Mezzogiorno, luglio 2021) Diplomata in scienze umane, appassionata d’arte e di vita da sempre. Autodidatta, nel 2021 ho lasciato la mia professione nell’ambito della ristorazione, sono tornata nel mio paese d’origine, Canosa di Puglia, per dedicarmi completamente alla fotografia, che è diventata la mia professione. Nello stesso anno ho presentato su vari magazine, attraverso interviste e giornali, uno dei miei progetti: “Abban_Dono”, un reportage di immagini che documentano graffiti, murales, tracce di vita vissuta in alcuni luoghi abbandonati della Puglia. Essi sono un cuore pulsante e raccontano, a coloro che sanno ascoltare, la storia del loro oggi ma anche quella del loro essere stati. Il mio processo creativo parte e si sviluppa incentrandosi sul versante umano dell’esistenza. Credo che la chiave salvifica per la bellezza sia da ricercare nell’umanità. Questa radice comune esiste ed occorre valorizzarla, credendo che si possa educare alla bellezza, affinché nelle donne e negli uomini rimangano sempre vivi curiosità e stupore.

Hai deciso di lasciare la tua professione nella ristorazione per dedicarti completamente alla fotografia. Qual è stato il momento decisivo che ti ha portato a fare questo cambiamento?

Lasciare la ristorazione per dedicarmi completamente alla fotografia è stato un passo necessario. Per molti anni, dopo il liceo, ho dovuto lavorare in questo settore, ma sentivo sempre una forza attrattiva verso la fotografia, passione che comunque non ho mai abbandonato. Vivevo a Bari, lavorando come Chef De Cuisine, in uno dei periodi più bui nella storia degli ultimi anni, quando la pandemia del Covid-19 si è diffusa a livello globale. Strade deserte, cucine ferme, posti a sedere vuoti, poi la chiusura temporanea del locale nel quale lavoravo. A questo punto, decisa a cambiare direzione, ho fatto una scelta: quella di tornare a casa, nel paese dove sono nata e cresciuta, e ricominciare da me. È così che oggi voglio concentrare le mie forze su ciò che amo fare, con l’obiettivo di crescere e di affermare la mia professione di fotografa.

Il progetto “Abban_Dono” esplora luoghi abbandonati della Puglia. Cosa ti ha ispirato a documentare questi luoghi e cosa speri che il pubblico colga dalle tue immagini?

Per rispondere a questa tua domanda parto da un pensiero della fotografa statunitense Diane Arbus: “Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate.” Ecco, il progetto “Abban_Dono” nasce dalla voglia di perlustrare luoghi inesplorati, dalla curiosità di scoprire bellezze architettoniche ed anche dal piacere di sorprendere attraverso le mie fotografie, mostrando qualcosa di nuovo, di mai visto prima. Condividere la mia personale visione di bellezza all’interno di contesti degradati, d’abbandono o “congelati” nel tempo, penso possa permettere in qualche modo a colui che guarda di entrare in contatto con “la pelle” trafitta di questi luoghi. Le pareti, le superfici, i pavimenti, gli oggetti ormai impolverati mi riportano al passato, del quale mi piace immaginarne la storia. Ho sempre molto rispetto di ciò che trovo e mi piace lasciarlo lì, esattamente dov’è, in attesa che nuovi occhi curiosi vadano a scrutarlo. Un vecchio proiettore, una sedia, un giornale degli anni ‘70, una vecchia divisa, sono alcune delle tracce da me documentate, all’interno di un archivio fotografico, che custodisco come si conservano i propri diari del cuore.

Come autodidatta, quali sono stati i principali ostacoli che hai dovuto superare per affermarti come fotografa professionista?

Dopo il liceo, avrei voluto intraprendere una strada diversa. Avrei voluto proseguire gli studi iscrivendomi all’Accademia di Belle Arti. Ma la verità è che dovevo vivere con i piedi per terra e quindi lavorare. Lavorando in pasticceria ho potuto comprare i miei primi libri di fotografia e la mia tanto amata Nikon, così da studiare e da perfezionare la tecnica nel tempo libero. Il cinema, le mostre d’arte, il confronto con persone appassionate come me, i viaggi, i libri sono sempre stati e sono la polvere di stelle che fa della mia vita ordinaria una vita straordinaria. Senza la fotografia non mi sentirei viva, per cui, non ho mai vissuto nulla come un vero e proprio ostacolo nell’affermazione del mio linguaggio artistico. Ho dedicato tempo ai progetti, dedizione e passione ed è per questo che oggi lascio che la mia impronta parli di me, aldilà degli studi conseguiti.

Nel tuo lavoro, parli di “educare alla bellezza” attraverso l’umanità. In che modo la tua fotografia mira a trasmettere questo messaggio?

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione e rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. (Peppino Impastato). Questo messaggio racchiude perfettamente la mia visione di bellezza e nello stesso tempo di umanità. Sostengo fermamente la necessità di risvegliare la propria sensibilità, di concedersi di essere se stessi, rifiutando l’omologazione. Le mie fotografie parlano di persone libere. Viviamo nella banale normalità e ne siamo stanchi. Allora ogni mio ritratto cerca di aprire una piccola parentesi su storie di rivoluzione, storie personali, piccole voci in mezzo a un coro infinito. Persone che lasciano alle proprie spalle la paura e guardano l’obiettivo con la fierezza di ciò che sono: ribelli, liberi e meravigliosi esseri umani.

C’è una particolare esperienza o un soggetto che ti ha colpito durante il reportage “Abban_Dono”? Come ha influenzato il tuo modo di vedere la fotografia?

“I luoghi abbandonati, benché esprimano una poetica stramba e malinconica, non sono privi di una gioia speciale, quasi tattile.” (C. Pellegrino). La ricerca di questi luoghi mi ha condotto in una villa, costruita nel 1928, per volere del cavaliere D’Onofrio, per la sua bellissima moglie, che porta il suo nome. Villa Rosa è un’elegante dimora dallo stile eclettico, in stato di abbandono, circondata da alberi di ulivo e mandorli, situata in un punto panoramico dal quale si gode di una splendida vista sul golfo di Manfredonia. All’interno, nonostante lo stato di degrado, si respira il sogno romantico di un grande amore. Villa Rosa, infatti, dopo la scomparsa della moglie, è diventata un inno di sentimento e poesia, com’ era dato capire dalla lettura della lapide infissa nella sala d’ingresso che recitava: “Per te o mia Rosina questa villa che tutta la mia vita ormai rinserra, io volli progettare e costruire. Disagi, avversità, violenze infami non valsero a fermare il mio cammino. Più forte fu la fede più forte ancor l’amore VINSI! E la tua reggia alfin dal sol baciata da mille e mille piante profumata brillò su questa arida pietraia. Ma tu la mia fatica compiuta non vedesti! Dal ciel mi sorridesti e il tuo sorriso Fu tutto il premio ch’io avea sognato 1940 – XVIII”. Nel 2023 un cortometraggio realizzato dall’artista e fotografo Alessandro Tricarico, ha fatto sì che la Soprintendenza si “accorgesse” di questo edificio unico sia per l’architettura che per la storia. Così, dopo 80 anni dalla sua costruzione, è arrivato il vincolo architettonico su Villa Rosa, definita dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio BAT e Foggia “edificio di pregio storico e culturale”. Oggi l’immobile fa parte dei Luoghi del Cuore di FAI e dovrà essere restaurato e recuperato. Ecco uno dei motivi per cui, oltre a sostenere la bellezza dell’arte, credo fermamente nel suo potere.

Descrivi il tuo processo creativo come incentrato sul versante umano dell’esistenza. In che modo cerchi di catturare l’umanità nelle tue fotografie, anche in contesti di abbandono e degrado?

Parto dagli occhi quando fotografo. Mi lascio ispirare dallo sguardo, ne vengo catturata. Per strada, quando esco con la macchina fotografica, non mi aspetto nulla, lascio che accada. E ci sono giorni o viaggi in cui è grazie alla fotografia che vengo a conoscenza di nuove storie e di occhi a me nuovi. Viaggio in Sicilia on the road, 2021, Aci Trezza: cammino in riva al mare, vedo dei gatti pigri e bellissimi al sole, cammino ancora… E mi ritrovo all’interno del Cantiere Navale Rodolico, all’interno dell’antico Scalo dei Malavoglia. Spinta dalla curiosità mi affaccio alla porta e chiedo ad un anziano signore di poter scattare qualche fotografia. È così che, tra una parola e l’altra, vengo a conoscenza del maestro d’ascia Salvatore Rodolico, un uomo gentile e rassicurante, intento a costruire un modello in scala di un’imbarcazione. Salvatore all’età di 82 anni è stato riconosciuto dalla regione Sicilia “Patrimonio Umano Vivente”. La sua famiglia, da ben 5 generazioni, rappresenta la vecchia tradizione dell’arte marinara trezzota. Essere lì, con lui, all’interno del cantiere navale, è un’esperienza unica: ogni oggetto racconta una storia. Salvatore ha costruito imbarcazioni di ogni dimensione e importanza e mi parla, tra trucioli di legno e il fumo di una sigaretta, con la dolce nostalgia di chi ha amato davvero il proprio lavoro. Negli occhi ha il mare, la serenità di un tempo passato e presente. Di chi ha ereditato la calma per creare e custodire. E che, a passo lento, racconta di una vita che, attraverso tempi di bonaccia e burrasca, conserva quella indistruttibile e comunicativa forza vitale, materia di cui i più grandi artisti sono detentori. Ecco qual è il motore del mio processo creativo: la curiosità.

Hai un progetto o un tema che sogni di esplorare in futuro? Quali nuove direzioni vorresti intraprendere nel mondo della fotografia?

Voglio sicuramente continuare ad occuparmi di reportage sociale. La strada è lo spazio in cui mi piace muovermi e fotografare, raccontando scene e storie di vita reale. Lo scopo dei miei progetti è dunque incentrato sull’aspetto narrativo e sociale della fotografia. Uno dei miei sogni nel cassetto è quello di ritrarre i circensi: acrobati, funamboli, clown, contorsionisti. Il circo, come lo ha definito la fotografa statunitense Mary Ellen Mark, è “poetico, divertente, ironico, triste, teatrale”. E a me piacerebbe cogliere queste sfumature felliniane, esplorandone le dinamiche dall’interno. Celebrare la singolarità, lasciando che essa sia percettibile a colui che sa guardare con sensibilità: questo è il mio obiettivo.

Per il futuro, lascio spazio alla vita.

Come pensi che il tuo background in scienze umane abbia influenzato il tuo modo di vedere il mondo e di raccontarlo attraverso la fotografia?

Il viaggio è nella testa. La cultura apre la mente e fa vedere oltre. Gli anni del liceo sono stati formativi sia dal punto di vista culturale che umano. Tra libri di filosofia e manuali di pedagogia, ho conosciuto persone che sono state fonte di ispirazione e di crescita per la mia personale formazione. A tal proposito, vorrei concludere l’intervista con un messaggio ricevuto tra i banchi di scuola da una delle mie più grandi amiche, Brigitta: “Con quanta passione vivi. Ardi come un braciere di quelli antichi che zia Giulia metteva sotto il tavolo durante l’ inverno. Il tuo calore penetra le ossa di chi ti sta vicino e ti ama perché è impossibile non farlo! Un braciere che nutre e ha bisogno di essere nutrito. A volte mi chiedo quale sia il tuo nutrimento e subito penso a chi ti ama, alla tua macchina fotografica, all’arte, alla musica, alla pioggia ma dopo capisco che il tuo nutrimento sei tu che ardi per gli altri, tu che bruci e ustioni imprimendo la tua traccia su tutto quello che ti circonda. Per me sei quel braciere che per sempre mi accompagnerà e mi riscalderà. Tu non sei di questo mondo in qualunque posto non ti sentiresti nel tuo mondo perché tu sei gioia, sei espressione ,sei bontà ,sei arte pura, tu sei Serena e non appartieni a questo mondo tu sei tutto quello che questo mondo ha perduto e così – bruci bruci e lasci il segno.”

Dedicato a mio figlio, Lucas.

Studiare, leggere, viaggiare, credere in sé stessi e nei propri sogni salva l’anima e soprattutto rende liberi.

8 commenti a “SERENA EVANGELISTA

  1. Bravissima un artista ,guardando i suoi scatti riesce a tirar fuori tutte le emozioni .Brava

  2. Spesso, presi dal tempo, non ci accorgiamo della bellezza che ci circonda. E tu sei qui a ricordarcelo con i tuoi scatti,
    con il tuo cuore
    Non smettere mai di crederci
    Brava!

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