AURORA INFERRERA

AURORA INFERRERA

Aurora Inferrera è una cantautrice, cantante e vocal coach padovana. È un contralto la cui voce si adatta alle sonorità calde del soul e del blues, generi ascoltati e amati fin da piccola. A 6 anni comincia a studiare pianoforte classico e a cantare come solista nel coro della scuola. Dopo il diploma al liceo classico, si laurea in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo e inizia a maturare esperienze lavorative legate al mondo dello spettacolo e della produzione artistica. Nel 2011 diventa lead singer di una band locale con cui comincia a comporre i suoi primi inediti e due anni dopo li porta oltre confine: nel 2013 si trasferisce a Londra e fa esperienza della sua prima intervista radiofonica, con esecuzione live di un inedito per una radio con sede nel basement dell’iconico negozio di chitarre Camden Guitars. Dopo dieci anni di concerti nei contesti più diversi (festival, cerimonie ed eventi, club e locali) decide di intraprendere la carriera di musicista full-time e si approccia all’insegnamento come vocal coach. Nel corso degli anni ha il piacere di condividere il palco con numerosi musicisti e formazioni attive nel territorio che variano dal Blues, R&B, Soul, Folk e Pop e di lavorare con artisti e dj per collaborazioni inedite e non. Nel 2024 debutta da solista col suo primo singolo: Itaca

Come è nato il tuo amore per il soul e il blues? C’è un artista che ti ha ispirata particolarmente?

In gioventù mio padre era un musicista e a mia madre è sempre piaciuto moltissimo cantare. Mi hanno cresciuta in una casa traboccante musica e, seppure nel gioco, instradata ad un ascolto attento e analitico della musica fin da piccola. Gli artisti che si ascoltavano erano Sam Cooke, i Beatles, Ella Fitzgerald, Aretha Frankin, Eric Clapton. Me ne sono innamorata in tenera età e ne sono innamorata anche ora. In adolescenza ho perso la testa per Lauryn Hill, di cui avevo il cd che ho letteralmente consumato. Un’autrice che adesso non mi stanco mai di ascoltare è l’immensa Susan Tedeschi. 

Cosa ti ha spinto a trasferirti a Londra e come quell’esperienza ha influenzato la tua carriera musicale?

Era da molto che sognavo di vivere all’estero per un po’. L’occasione si è presentata poco dopo la mia laurea al DAMS: una casa di produzione di spettacolo per cui lavoravo non mi ha rinnovato il contratto e ho deciso che era finalmente giunta l’ora di partire. A Londra viveva un caro amico da qualche tempo: mi aveva parlato benissimo della città e ho pensato che sarebbe stato bello andarci anch’io, inoltre avrei potuto eseguire live alcuni dei brani del disco (uscito poco tempo prima) della formazione in cui cantavo allora, che erano in inglese. Dopo sei mesi ne stavamo eseguendo uno in radio, con tanto di intervista. A Londra, se vali, vai avanti abbastanza rapidamente. In Italia il processo è più lento. Ad ogni modo, provando a riassumere, Londra mi ha aperto la mente: come se il mio mondo avesse acquisito molti più colori e più note. Mi son sentita libera e pienamente me stessa. E questo ha inciso parecchio sul mio modo di intendere la musica e più in generale la vita. 

Cosa rappresenta Itaca, il tuo primo singolo da solista? Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

Mi piace pensare che Itaca sia un canto di redenzione, rinascita e ritorno a casa. Dove per “casa” non si intende un luogo fisico ma un luogo metaforico in cui mente, cuore e anima possono riposare. Dove ci si sente al sicuro e si smette di combattere e avere paura. Nel brano racconto gli ultimi anni della mia vita, in cui per tutta una serie di motivi ho navigato su mari costantemente in tempesta. Ma se dentro di sè è chiara la destinazione del viaggio, si trova la forza per tenere duro e continuare a navigare. Bisogna mettersi molto in discussione e avere degli ottimi compagni di viaggio, ci sono persone che non smetterò mai di ringraziare per avermi ricordato la parte migliore di me quando io temevo di averla dimenticata. Spero che Itaca possa essere di conforto a chi ancora naviga in acque turbolente e ricordare loro di non perdere la speranza e tenersi vicini gli affetti davvero importanti. 

Come descriveresti l’evoluzione della tua voce e del tuo stile musicale nel corso degli anni?

Spero che la mia voce mi rappresenti. Credo che ogni musicista suoni o canti per com’è profondamente. Il mio strumento primario è la mia voce e il mio unico desiderio è che mi racconti: racconti chi sono, come sono, mostri il mio cuore nella maniera più sincera e diretta. In passato ho cercato di plasmarla secondo i miei desideri, poi ho capito che l’unico modo per emozionarmi ed emozionare è diventare la mia voce. Se la tua voce è una cosa altra da te su cui vuoi imporre un controllo, ci sarà sempre un buon motivo per bisticciarci. Se diventi la tua voce, quando canti sei nel momento ed è più difficile trovare qualcosa che possa essere di ostacolo. 

Cosa ti emoziona di più nell’essere una vocal coach? Qual è l’aspetto più gratificante del lavorare con altri cantanti?

Quello che più mi emoziona è non smettere mai di stupirmi di quanto la voce racconti le battaglie e le gioie di ogni mio singola/o allieva/o. Commento alcuni aspetti della loro voce e loro mi rispondono – ma sai che sono così anche a lavoro, o nella mia relazione col compagno o la compagna, o in generale nella vita. Si crea così un legame stretto basato su comprensione e fiducia, in cui si affidano al percorso non soltanto per crescere tecnicamente ma anche, a volte, per interrogarsi su se stessi. E inevitabilmente io mi interrogo su me stessa e cresco con loro. Ho allievi che mi commuovono con le loro riflessioni riguardo al tempo passato assieme a lezione. Creare simili connessioni mediante la musica è sempre una piccola, grande magia. 

Come riesci a integrare le sonorità calde del soul e del blues con altri generi come il pop e il folk?

Il modo in cui canto credo condensi le mie esperienze, la mia attitudine e i miei ascolti. Questo spero faccia sì che qualsiasi cosa io canti, la canti con la mia impronta sonora. Che diventa più stabile e sicura con gli anni, semplicemente perchè più passano gli anni più divento stabile e sicura io, senza più volermi misurare col metro di qualcun’altro. Paulo Coelho diceva che il viaggio di ognuno di noi non è tanto per diventare qualcosa quanto per smettere di essere tutto ciò che non si è veramente. Non potrei essere più d’accordo. 

Dopo tanti anni di esperienze dal vivo, quale ricordo di un concerto o evento ti è rimasto più nel cuore?

Ce ne sono molti, ma forse l’esperienza che mi ha colpita di più è stata cantare in carcere. All’inizio i detenuti erano scettici e disinteressati, man mano che che suonavamo e cantavamo hanno cominciato a sentirsi coinvolti e a ballare tutti i brani, anche con mosse di break dance davvero ardite! Alla fine del concerto molti si sono avvicinati con grande emozione e rispetto per complimentarsi con noi e quando siamo usciti hanno cominciato ad urlare il mio nome in coro sbattendo le tazze sulle sbarre delle loro finestre. È stato indescrivibile e davvero toccante. La musica ci avvicina tutti e, per il tempo di una canzone o di un concerto, annienta ogni male ci possa affliggere.

Cosa significa per te fare musica in un contesto così variegato e in continua evoluzione come quello odierno?

È un po’ una sfida, ma anche noi cambiamo col tempo che cambia. Si evolve la musica come ci evolviamo noi. L’importante, per quanto mi riguarda, è non perdere di vista quello che sono e ci tengo a raccontare per adattarmi a dei trend musicali, o per fare più ascolti o avere più visibilità. Mi spiego: non è che non voglia avere più ascolti o visibilità, ma non a costo di non sentirmi più io quando canto. 

Qual è il tuo approccio alla scrittura di inediti? Parti sempre da un’idea musicale, da un testo o da un’emozione?

Normalmente parto dal testo e cerco di capire cosa musicalmente possa valorizzarlo. Ma non succede sempre, a volte ho una melodia in mente o degli accordi che associati mi ispirano un’emozione, provo a cavalcare quell’emozione e cerco di associarla ad una storia, mia o letta in un articolo o uscita in una chiacchierata o via dicendo. Non è un approccio granché metodico. Vado di pancia, e vedo che succede.

Hai un progetto o un sogno particolare che speri di realizzare nel prossimo futuro?

Continuare a comporre, e portare i miei inediti in Italia e perchè no…magari anche all’estero. Ovunque ci siano persone che vogliono ascoltarli. 

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