REBECCA BARTOLOTTI

REBECCA BARTOLOTTI nata in Calabria, metà canadese e italiana purosangue, ma profondamente fiorentina nell’anima. Mi sono laureata all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove ho conseguito anche un master in Arti Visive e Nuovi Linguaggi Espressivi. Per sei anni ho lavorato alla International School of Florence, prima di dedicarmi completamente all’arte. Ho vissuto esperienze significative in Inghilterra, Canada e Parigi, che hanno arricchito la mia visione artistica e personale. Nel corso degli anni, ho esplorato diversi ambiti creativi, dalla pasticceria artistica al make-up professionale, lavorando per eventi di prestigio come la Cosmoprof di Bologna e per progetti di personalizzazione alla Rinascente di Firenze. Dal 2023 ho lanciato la mia linea di abbigliamento in pelle, CABUKI, un progetto che fonde artigianalità e design.

“Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni.”

Questa frase rappresenta il cuore del mio percorso artistico. Più che un processo creativo, considero l’arte un viaggio: un viaggio tra desideri, sogni, pensieri, proiezioni e rotture. La pittura è per me uno specchio dell’essenza, un dialogo intimo che trascende il tempo e gli schemi. È un’esperienza di attesa, creazione e silenzio, in cui io e la mia arte ci ascoltiamo, ci fondiamo e diventiamo parte di un’unica energia. In questo rapporto profondo e sincero tra me e la tela, non c’è più spazio per la paura.


Le tue radici multiculturali (italiane e canadesi) influenzano il tuo lavoro artistico? Se sì, in che modo si riflettono nella tua arte?
Credo di sì, come tutto quello che ci rende ciò che siamo e ha creato il nostro percorso di vita. Non necessariamente come cultura ma anche solo come predisposizione ad un’infanzia vissuta in viaggio. Spostandosi da una parte all’altra e conoscendo diversi paesaggi, diversi mondi, diverse lingue. Il tutto sicuramente mi ha reso la persona che sono anche nella mia apertura sia artistica che personale.

La tua esperienza internazionale (Inghilterra, Canada, Parigi) ha lasciato un segno specifico nel tuo stile o nella tua visione creativa?
Ogni esperienza anche artistica, ha contribuito principalmente alla mia ricerca. Sono partita cercando di trovare la mia strada come pittrice ma mi sono resa conto che il mondo ha tante sfumature invisibili direi. Mi sentivo un pezzo fuori posto. In ogni esperienza ho sentito di non riuscire a inserire la mia visione artistica o forse meglio ancora la mia NECESSITÀ ARTISTICA.

Qual è stata la sfida più grande nel passaggio dal lavoro nella International School of Florence a una carriera artistica a tempo pieno?
La sfida più grande è stata decidere di lasciare tutto ciò che era stabile, sicuro, bello, prestigioso, direi perfetto per l’ignoto. Quell’anno lasciando il lavoro, lasciai anche la mia casa a Firenze trasferendomi in Calabria in famiglia. Ricominciare da zero ma in un percorso che non ha una direzione da seguire. Non ha una strada. Non ha una modalità. Trovare me stessa in un mondo in cui non ero più l’insegnante ma neanche un’artista inizialmente. Staccarmi da ogni identità anzi, identificazione. Questa è stata una sfida.

Cosa significa per te “Fiorentina nell’anima”? Firenze ha avuto un ruolo specifico nel tuo percorso artistico?
Firenze è casa. É la città in cui sono arrivata ben 11 anni fa e in cui sento di appartenere. Ho provato diverse volte a cambiare percorso anche nelle mie esperienze internazionali ho avuto una proposta di lavoro come gallerista a Stratford upon avon, come dicevo dopo il mio lavoro ero tornata in Calabria. Passato al massimo un mese e Firenze mi ha sempre richiamata a sé. Come un magnete. E in questo ovviamente rivedo il mio stimolo artistico. Lei è la mia culla e il solo poter essere tra le sue braccia mi stimola interiormente. (Inoltre, il mio cognome pare sia Fiorentino… chissà!)

Come descriveresti il tuo rapporto con il “silenzio” nella creazione artistica? Ha un ruolo specifico nel tuo processo creativo?
Il silenzio ha tante forme… si nasconde dietro la solitudine, a volte dietro la compagnia e le risate. Il silenzio interiore, quello che ti porta a chiudere tutto fuori e a porgere l’orecchio al cuore facendo uscire ciò che è reale. Lo senti. E quando quel silenzio giunge, tutto il rumore che fanno e che fai si spegne. Rimani tu, a prescindere dal luogo o dalle persone… quando ce quel silenzio, è l’arrivo dello stimolo creativo. Almeno nella mia esperienza artistica, è il preambolo della visione, dell’immagine, dell’immersione totale nella solitudine della creazione. Un silenzio così pieno che non saprei neanche spiegarlo perché sarebbe limitante!

Hai mai affrontato un momento di “paura” davanti alla tela? Come lo hai superato?
Un milione di volte! Ho passato i primi due anni a “cercare” disperatamente la mia identità artistica che sembrava sfuggirmi continuamente. L’ho cercata ovunque. In ogni modo. Obbligandomi a creare cose che non sentivo, obbligandomi a scegliere un soggetto da ripetere… quanta paura nell’accettare un lavoro che non era come volevo. Che usciva così spontaneo ma che si allontanava così tanto dalla mia idea che ormai avevo creato di Rebecca. Quella è stata la paura più grande… non riuscire a vedermi in quelle mille sfumature. Non sapevo che facendo un passo indietro, avrei potuto essere Rebecca proprio per tutte quelle sfumature.

Cosa significa per te “spogliare uno schema interiore e al di fuori” attraverso la pittura? Puoi fare un esempio concreto di come lo hai vissuto?
Spogliare uno schema interiore. Esattamente come dicevo prima… Riuscire a vedere il limite, l’ingranaggio che blocca magari la fluidità della creazione e riuscire ad andargli quasi contro con un’azione forte. Così dentro così fuori… un esempio può essere quando mi hanno chiesto una commissione in Canada. Era un dipinto di 3mt per 2.5. Grande. Andai lì e mi chiesero una serie di cose che completamente sentivo in contrasto con il mio modo di dipingere. Mi pagarono il materiale, mi diedero lo spazio e per due settimane continuai a dipingere su quella tela senza fine. Dipingevo, dipingevo e più dipingevo più sentivo dentro di impazzire. Era tutto così contratto e forzato. Il tempo, i soggetti, i colori, le modalità. Il giorno della consegna, il quadro era finito. Lo tolsi dal muro, lo portai a casa e… ci dipinsi sopra. E poi lo tagliai in sei pezzi. Andati da chi me lo aveva commissionato e gli dissi no. Non erano quelle le modalità. La mia mente, la mia creatività e ogni parte di me erano entrati in uno schema talmente forte che l’unico modo per uscirne era distruggerlo. Anche distruggendo la tela. Non era brutta anzi, molti mi hanno preso per matta per aver distrutto quel lavoro ma per me, tagliare e coprire e cancellare quell’opera è stato come cancellare e tagliare da dentro di me quello schema.

Descriviti in tre parole.
Impulsiva, autentica, carismatica

Sogno nel cassetto?
Sogni nel cassetto non ne ho, se non di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo. Alla continua ricerca non di un’identità o di un ruolo nel mondo ma al ritrovamento sempre più profondo di ciò che sono dentro.

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