Alessia è un’artista italiana che vive a Berlino, dedicandosi a tempo pieno alla sua passione dal 2023. Specializzata nel ritratto realistico, utilizza principalmente la matita, spesso combinata con pennarelli colorati e foglia oro, per creare opere che fondono realismo e scenari surreali. La sua arte esplora temi di introspezione spirituale e ambivalenza umana, intrecciando il suo percorso creativo con quello personale. Autodidatta e indipendente, Alessia ha sviluppato il suo stile artistico parallelamente a una formazione in Sociologia e Comunicazione presso l’Università La Sapienza di Roma, con successivi studi nel design presso lo IED. Trasferitasi a Berlino nel 2011, ha trovato nella matita il suo strumento ideale, per la sua leggerezza e versatilità, adattandosi a una nuova vita lontana dalla sua zona di comfort. Nel corso della sua carriera, Alessia ha collaborato con studi e agenzie prestigiose, come FM Architettura e RBA Branding & Design, contribuendo a progetti come la collezione di disegni per le etichette delle birre artigianali Terza Rima. Oltre al disegno, ha pubblicato il romanzo Gente di Berlino (2017), unendo la sua passione per la scrittura al suo mondo visivo.
Cos’è per te l’arte?
L’arte per me è un’energia che ci attraversa e ci connette a una dimensione più profonda. Il compito dell’artista è diventare un tramite, un canale limpido.
Quale ruolo hanno Berlino e la sua cultura nel tuo lavoro artistico?
Berlino, dal punto di vista artistico (e non solo) mi ha offerto tanto. Sia in senso pratico – opportunità, agevolazioni – che per quanto riguarda l’evoluzione artistica in senso stretto. Ad esempio, Berlino ha determinato il mio passaggio alla matita (in precedenza dipingevo a olio). La matita, leggera, economica, sempre a portata di mano, è lo strumento nomade per eccellenza e in quel momento rifletteva bene lo stato di immigrata al quale ero passata. Lì, nel cuore di Kreuzberg, nell’appartamento quasi privo di mobili, che dividevo con altri inquilini, non c’era spazio per i miei innumerevoli tubetti di colori ad olio, per i cassetti colmi di pennelli d’ogni tipo, per il cavalletto in legno massiccio. Poi, la matita è rimasta per oltre 10 anni il mio strumento principale e ha determinato un approfondimento del realismo nei ritratti.
Per approfondimenti sul vivere a Berlino come artista puoi consultare questa mia intervista su YouTube:
Qual è stato il momento o l’opera che hai sentito rappresentare al meglio la tua evoluzione come artista?
Ci sono stati diversi momenti di evoluzione. Il più recente, è stato quando per il mio compleanno ho ricevuto in regalo un set di pennarelli colorati. Lavoravo ormai da anni quasi esclusivamente con le matite, perciò li ho messi in fondo a un cassetto, pensando che non li avrei mai usati. Per circa un anno sono rimasti lì, nascosti ma presenti, come un richiamo silenzioso ogni volta che aprivo quel cassetto. Finché un giorno decisi di usarli. Sarà per la similarità con i colori a spirito che avevo da bambina, quei pennarelli mi hanno permesso di liberare una parte creativa più spontanea. Emergeva un disegno istintivo, fatto di forme libere, elementi surreali-fantasiosi qualcosa di completamente diverso e apparentemente inconciliabile con il mio stile precedente. Inizialmente i disegni con i pennarelli e i ritratti a matita, viaggiavano su binari paralleli, senza mai incontrarsi. Pian piano, poi, queste vie hanno trovato punti di intersezione e ora sto lavorando al processo di fusione e armonizzazione di questi due stili.
Come bilanci il lato realistico dei tuoi ritratti con gli elementi surreali che aggiungi?
Appunto, l’incontro tra queste due “anime” è un lavoro continuo di prove, errori e aggiustamenti, in direzione di un’armonia che ancora fatico a trovare. Al momento questo processo è in una fase che definirei “di contaminazione”. Le forme colorate, gli elementi surreali, contaminano il ritratto realistico a matita, che resta l’elemento centrale della composizione.
Qual è il significato dell’introspezione spirituale nei tuoi lavori e come cerchi di trasmetterla attraverso i tuoi ritratti?
Per me, il lavoro di introspezione e di crescita personale, proprio come quello artistico, è un percorso in direzione dell’integrazione: cercare un’armonia tra i contrasti e le ambivalenze che ci definiscono.
Come scegli i soggetti per i tuoi ritratti realistici? Ci sono figure o storie particolari che ti ispirano?
Mi piacciono volti dai tratti marcati, nasi importanti, le pose non sono quasi mai frontali. Prediligo il femminile, ma ultimamente mi sto interessando anche a volti ibridi, che racchiudono tratti sia maschili che femminili, nei quali il dualismo tra i sessi si neutralizza.
La tua esperienza come designer ha influenzato il tuo approccio all’arte? In che modo?
Per un periodo sì. Confondevo il design con l’arte e mi lasciavo convincere del fatto che dovessi dare ai miei disegni un taglio minimale, o che dovessero essere più moderni e originali. Questo approccio mi allontanava dall’essenza, dalla fonte autentica a cui attingere per far emergere quello stile unico che appartiene a ogni artista. Abbandonando il design, ho anche allontanato molti condizionamenti. Credo che, salvo rare eccezioni, design e arte siano due mondi profondamente diversi e difficilmente conciliabili.
Quali sono state le principali sfide nel passare dal design al dedicarti completamente all’arte?
La sfida piú impegnativa è stata quella di far quadrare i conti. Tagliando fuori il design, ho perso una fonte di reddito stabile. Il senso di precarietà che si prova quando si guarda fissamente la decisione di affidarsi solo all’arte è qualcosa con cui mi sto ancora confrontando.
Come ti relazioni al pubblico che osserva le tue opere? Pensi che colgano sempre il messaggio che vuoi trasmettere?
Non mi pongo il problema di far arrivare un messaggio specifico. Ogni opera può aver vita lunga, è come una freccia scoccata nell’arco dell’esistenza, la sua traiettoria è imprevedibile, non si può sapere chi colpirà, dove andrà a finire o quale impatto avrà su chi la osserva.
Parlaci del tuo libro.
“Gente di Berlino” è la storia di una giovane donna italiana, che da un piccolo paese di provincia si trasferisce a Berlino. Avevo da sempre il desiderio di scrivere e pubblicare un libro, ma mi mancava il materiale. Berlino mi ha offerto storie interessanti e un senso di protezione tale, da darmi il coraggio di prendere un anno di pausa dal lavoro per dedicarmi alla scrittura. In seguito ho inviato il manoscritto a diverse case editrici italiane e sono stata scelta dalla Ouverture Edizioni. Ho deciso di pubblicare il libro sotto lo pseudonimo di Amanda Greco, perché allora non mi sentivo pronta per associare quel libro al mio nome. Oggi potrei ripubblicarlo con il mio nome.
In che modo la scrittura di Gente di Berlino ha influenzato o si è intrecciata con il tuo lavoro visivo?
Il libro racconta di persone – “Gente”, appunto – e del loro vissuto, esplorando personaggi complessi, pieni di ambivalenze e contrasti caratteriali. Ogni capitolo può essere visto come un ritratto, una descrizione intima e sfaccettata delle loro vite. Il libro si ispira a fatti reali ma è anche intriso di scene oniriche e surreali, elementi che ritornano anche nel mio lavoro visivo. Sotto questi aspetti, posso dire che la scrittura e l’arte si intrecciano profondamente nel mio percorso creativo: entrambe cercano di catturare la complessità umana, alternando realismo e immaginazione.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai nuove tecniche, temi o media che vorresti esplorare?
Sì, la curiosità di esplorare e sperimentare nuove tecniche è sempre viva in me, ma al momento la mia priorità è perfezionare ciò che già so fare. Penso che mi concentrerò ancora sul ritratto realistico, continuando ad affinare la tecnica, e continuerò a cercare un equilibrio con gli elementi colorati.
Descriviti in tre colori.
Nero, sempre presente nel mio armadio, forte, profondo, immerso nell’ombra.
Giallo, dona luce e energia (immagina tende gialle aperte in una giornata di sole).
E infine oro, cangiante e mai uguale a se stesso, riflettere le sfumature dell’ambiente che lo circonda.