Diaze-pav nasce in provincia di Varese nel 1976. Si avvicina all’arte molto giovane e partecipa a mostre di rilievo in diverse città italiane e straniere, tra cui solo alcune Sanremo, Cuneo, Torino, Venezia e New York, vincendo premi prestigiosi ed ottenendo menzioni di merito in svariati concorsi. Viene recensito da alcuni importanti critici d’arte ed i suoi quadri erano inizialmente figurativi. Dopo poco tempo passa all’astratto e alla pop-art/street-art seguendo le orme di artisti affermati come “crash”, “Daze” e “Lin Quik Felton”. La sua pittura, assolutamente spontanea e priva di filtri, è piena di emotività, di ricordi e di tempi bui passati nella sofferenza di una vita non sempre facile, dove la paura e l’assenza di autostima erano le compagne di viaggio. Nei suoi quadri si sente chiaramente una “sofferenza” dell’anima. Vengono a volte prese opere antiche che vengono proiettate ai giorni d’oggi con un carico di disagio evidente. Diaze-pav non si mostra quasi mai di faccia ma solo di spalle, questo perchè per lui l’importante sono le opere che devono trasmettere delle emozioni e, come dice il filosofo “Byung-Chul Han, devono sconcertare, disturbare ed inquietare, quindi per lui non deve prevalere il personaggio, che nell’arte deve rimanere all’oscuro, per non mettere in rilievo prima l’ego che i pensieri artistici. Le persone associano spesso ad un viso una prima impressione che spesso è fuorviante e sbagliata. Per questo Diaze-pav si mostra in pubblico molto raramente. Le sue opere emanano un’energia notevole e sono sempre ricche di messaggi, a volte contorti, ma sicuramente pieni di sincerità. Non ha mai volutoe legarsi a qualche galleria proprio per rimanere indipendente nel suo lavoro e non cadere nel “tranello” del commercio che secondo lui snatura la vera anima di un artista e gli fa produrre opere su commissione, trasformandolo così in un semplice esecutore. A detta di molte persone e collezionisti dei suoi quadri nelle sue tele si intravede e si “sente” chiaramente parecchia inquietudine, fatto che lo caratterizza nel mondo dell’arte.
Cosa è l’arte per te?
L’arte, è per me uno strumento importante per far capire a chi osserva i miei quadri, quanta sofferenza ho dentro e quanto i miei pensieri siano pieni di risvolti piacevoli e spiacevoli. In generale comunque l’arte è il “sangue” di ogni artista ed è il pensiero di ogni osservatore. Ognuno, può intravedere all’interno di un opera un significato stretto che, in qualche caso, è in linea con il pensiero dell’artista. Ed è proprio quando i due pensieri si avvicinano che l’osservatore prova un senso di “brivido” guardando un’opera e ne rimane estasiato. La sindrome di Stendhal avviene proprio quando i due pensieri sono esattamente sulla stessa linea d’onda…..
Cosa ti ha spinto a passare dalla pittura figurativa all’astratto e alla pop-art/street-art? C’è stato un momento decisivo in questo cambiamento?
Passare dal figurativo all’astratto è stato per me molto naturale, in quanto nel figurativo ci deve essere tanta tecnica, ed è proprio la tecnica che secondo me “frena” un po’ l’artista, perché lo rinchiude tra i margini di essa. La pop-art e la street-art invece vivono di gesto, di azione e di forza. Non ci sono regole, non ci sono limiti e confini. In questi tipi di pittura si “vede” la mano ed il pensiero dell’artista. Sono pitture secondo me in continuo movimento. Sono fotografie dell’epoca moderna e, sempre secondo me, sono figlie di un disagio sociale che è sempre più evidente. In queste tecniche puoi disegnare non solo su un foglio o su una tela, ma si possono, anzi si devono utilizzare altre superfici. Non a caso non sono difficili da vedere sui muri, su oggetti o su le superfici più disparate, perché un pensiero può essere impresso ovunque.
Hai menzionato il concetto di “sofferenza dell’anima” nelle tue opere. Quanto è importante per te trasformare il dolore in arte?
Credo che tutti i più grandi artisti del mondo abbiano trasferito sulla tela le loro sofferenze ed i loro disagi. Senza di questo, a mio modesto parere, una persona non può definirsi un artista, ma solo un esecutore. La sofferenza, il pensiero ed il disagio interiore sono il motore per produrre un’opera e porla al giudizio di tutti. Non esistono artisti bravi o artisti non bravi. Non conta quello che si disegna o quello che si produce. Piero Manzoni ci ha insegnato nel 1961 con la sua “merda di artista”, che non è necessario compiere dei capolavori per entrare nell’olimpo dell’arte, ma basta essere sponsorizzati al grande pubblico per un pensiero ed una visione di essa. Ci sono migliaia di ottimi disegnatori nel mondo, basta vedere gli iperrealisti che raggiungono con la tecnica vertici da capogiro, ma che nessuno conosce e nessuno apprezza se non pochi collezionisti di nicchia. Invece ci sono degli artisti che riescono a trasformare una tela in un capolavoro anche solo con due gesti, ma che arrivano però dal profondo della loro anima e sono frutto della loro sofferenza interiore.
Quale opera, tra quelle che hai realizzato, senti più vicina alla tua essenza e perché?
Non ci sono quadri che io preferisco rispetto ad altri, perché ogni mia opera ha in se tutto un carico di sofferenza che la rappresenta. Quindi ogni quadro, alla sua maniera, ha in se un mio pensiero e diversi messaggi che invio a chi sta guardando l’opera.
Cosa significa per te non mostrare il tuo volto e lasciare che siano solo le opere a parlare? Hai mai avuto il desiderio di svelarti di più al pubblico?
La scelta di non farmi vedere quasi mai di faccia l’ho presa qualche anno fa, quando mi sono accorto che le persone, già ad una prima occhiata, davano un giudizio prima alla persona, poi all’opera, che veniva messa in secondo piano e veniva legata alla mia immagine (sono una persona di aspetto normalissimo giuro!), deviando secondo me quello che era il mio messaggio. A me interessa poco apparire, perchè credo che nel momento in cui si desideri questo, vuol dire che si è messa davanti la propria immagine ed il proprio “ego” rispetto alla propria pittura, e questo secondo me non deve mai accadere. Quello che è importante è il quadro e non chi l’ha dipinto. Il pensiero rimarrà in eterno, l’artista no. Banksy insegna, perchè potrebbe essere milionario, invece rimane nell’anonimato per non inquinare il suo pensiero. Quindi preferisco che le persone giudichino il mio lavoro per quello che è, e non per chi lo ha fatto.
Hai citato Byung-Chul Han e la sua visione dell’arte. In che modo il suo pensiero ha influenzato il tuo lavoro e il tuo approccio artistico?
Byung-Chul Han, grande filosofo contemporaneo, secondo me ha colto in pieno il senso dell’arte. Lui diceva che l’opera deve sconcertare, disturbare ed inquietare, altrimenti perpetua l’uguale. E questo non deve mai accadere. Spesso si vedono opere molto simili. Tanti artisti non si ispirano a grandi interpreti dell’arte, ma li copiano nel loro pensiero e quindi nella loro pittura. Ogni artista deve dipingere ed imprimere il suo pensiero nelle opere che crea, anche a costo di rimanere anonimo tutta la vita. Infatti la maggior parte dei pittori sono diventati famosi nel momento in cui sono passati a miglior vita. Non bisogna svendere il proprio pensiero per andare incontro alle richieste della piazza. Se le tue opere piacciono bene, altrimenti non fa nulla. Questo è il mio pensiero. Il rifiuto di legarti a una galleria è una scelta forte.
Come riesci a mantenere la tua indipendenza e al tempo stesso far conoscere le tue opere?
In realtà la mia scelta è stata quasi obbligata, proprio per quello che dicevo prima. Ho ricevuto richieste di collaborazione da alcune gallerie anche abbastanza conosciute, ma tra le righe mi veniva sempre richiesto di avvicinarmi di più a quello che il pubblico voleva, ed io non sono disposto a barattare la mia arte ne per soldi ne per la notorietà. Oltretutto, se dobbiamo parlare di gallerie, si aprirebbe un mondo, perché tutti gli artisti sanno che ci sono pseudo-gallerie sconosciute ed associazioni che lucrano costantemente sugli artisti, secondo me in maniera anche vergognosa, facendo leva sulla smania di ogni artista di farsi conoscere, e così illudendo di raggiungere un qualche utopico livello di notorietà, che in realtà non esiste. Il loro solo obbiettivo è quello di guadagnare. Pertanto ho deciso di pubblicizzare da solo la mia arte tramite i social (la mia pagina instagram è mpart2021 e partecipare a qualche evento organizzato da persone che amano l’arte veramente. Semmai un giorno ci sarà un gallerista serio che vorrà collaborare perché crede in me, allora vedrò cosa fare. Per ora vado avanti così.
Le tue opere sono spesso definite “inquietanti” e cariche di emozioni forti. Qual è la reazione che speri di suscitare nello spettatore?
Nella mia vita ho sofferto molto, ansia, attacchi di panico e poca autostima, che purtroppo non mi è stata mai infusa da piccolo. Sono cresciuto con il costante pensiero che tutto quello che facevo era sbagliato, anche perché così mi veniva detto. Quindi la mia inquietudine interna cresceva sempre di più. Inoltre ho vissuto situazioni di estremo disagio, avendo a che fare con persone che erano gli ultimi degli ultimi. Infatti nei miei quadri ci sono spesso dei simboli che mi accompagnano da tutta la vita. Non ho paura di mostrare questo. In una società che cancella il dolore e che nasconde il disagio di ognuno di noi, sono fiero di poter dire a voce alta che la vita non è solo fatta di momenti belli ma, molto spesso anche di momenti brutti che segnano l’esistenza. Basta nascondersi dietro al “va tutto bene”. Non va tutto bene, ma questa è la vita e va raccontata così com’è. Hai esposto le tue opere in diverse città, tra cui New York.
C’è stata una mostra o un evento che ha segnato un punto di svolta nella tua carriera?
Non ci sono mostre che mi hanno segnato. Tutti gli eventi a cui vado di persona, e non sono molti perché spesso spedisco solamente le mie opere, sono uno stimolo. Spero che le mie opere raggiungano anche un solo cuore. Questo mi basta. Però se posso ricordare solamente una mostra con affetto è stata sicuramente la prima che ho fatto, da giovane, in una galleria di Cuneo.
Nel tuo percorso artistico hai tratto ispirazione da artisti come Crash, Daze e Lin Quik Felton. C’è un’opera o un aspetto del loro stile che senti particolarmente affine al tuo?
Come dicevo prima, questi artisti sono tutt’ora dei grandissimi interpreti della pop-art, e le loro opere raccontano molto di loro. La gestualità, il colore e la sensazione che danno, è proprio quella che accompagna il mio disegnare. Sicuramente anche Jean-Michel Basquiat è stato per me un grande artista e, secondo me, è inavvicinabile. Spero un giorno di potermi degnamente accostare a loro, almeno nell’intenzione. Nel frattempo, continuo a sperimentare e proporre la mia arte al pubblico ed ai collezionisti che mi seguono senza fermarmi e sempre con grande passione e serietà, perché l’arte non è uno scherzo.
Guardando al futuro, c’è un progetto artistico che sogni di realizzare o una direzione nuova che vorresti esplorare?
Il mio sogno è quello di poter fare una mostra personale a Milano, in qualche luogo “tempio” dell’arte, come la “fabbrica del vapore”, Palazzo reale o altre fondazioni di rilievo. Questo sarebbe per me davvero un momento unico. Probabilmente non ci riuscirò mai, ma questo è il mio sogno e sinceramente lo dico apertamente appunto perché è un sogno, ed i sogni non hanno confini.
Descriviti in tre colori.
Rosso come il sangue, azzurro come i miei pantaloni e marrone come il colore dei miei occhi. Io amo i colori. Tutti