JUDITH HOLSTEIN

JUDITH HOLSTEIN

Judith è una pittrice e architetto di origine tedesca e di adozione svizzera, classe 1979. Fin da bambina ha mostrato un’innata passione per l’arte, esprimendosi attraverso il disegno anche nei contesti più quotidiani. Dopo un anno di liceo scientifico, ha deciso di seguire la sua vocazione artistica, diplomandosi nel 1998 al Liceo Artistico Giuseppe Terragni di Como. Indecisa tra l’Accademia di Brera e il mondo dell’arredamento d’interni, ha scelto di proseguire gli studi in architettura, laureandosi nel 2004 all’Università della Svizzera Italiana a Mendrisio. Nel 2006 ha aperto il proprio studio di architettura in Svizzera, partecipando alla realizzazione di ville sul Lago Maggiore, edifici residenziali nel Mendrisiotto e collaborando con un’azienda tedesca specializzata in case prefabbricate in legno. Dopo anni di progettazione, ha avvertito la necessità di maggiore libertà creativa, dedicandosi alla ricostruzione digitale e realistica di progetti architettonici attraverso immagini 3D panoramiche e animazioni. Parallelamente alla carriera di architetto, Judith ha sempre coltivato la pittura, sperimentando con colori ad olio su tavole di compensato. Le sue prime opere erano dedicate ai volti africani, ispirati dai ricordi di viaggio nell’Africa sub-sahariana, dove il contrasto tra le tonalità della pelle, il bianco degli occhi e i colori vivaci dei tessuti l’ha profondamente affascinata. Nel tempo, ha sviluppato uno stile prevalentemente figurativo, concentrato sui volti e sugli sguardi, elemento chiave nella comunicazione umana. Dipingendo su tele di grandi dimensioni, ha trasformato la difficoltà in una sfida personale e artistica. Tra le sue ispirazioni figurano artisti come Il Parmigianino, Tamara de Lempicka e Roy Lichtenstein, oltre ai fotografi Peter Lindbergh e Gian Paolo Barbieri. I suoi dipinti esplorano in particolare il volto e gli occhi femminili, ognuno portatore di un’aura unica, un significato interiore e un profondo valore emotivo. Judith considera ogni opera un’espressione spontanea della sua interiorità, che evolve nel tempo in base allo stato d’animo, agli eventi personali e globali, e alla luce che la circonda. Negli ultimi anni, ha ampliato la sua ricerca artistica affrontando con serietà il tema della natura, rappresentata attraverso vegetazione mediterranea e tropicale. La sua arte riflette il concetto di “donna, madre, natura”, esaltando il legame tra il femminile e la protezione dell’ambiente.

In che modo il tuo background da architetto influenza la tua pittura? Trovi che ci siano punti di contatto tra le due discipline?

Fino a poco tempo fa avrei detto di no. Ma ultimamente sto lavorando a una nuova serie di opere in stile Neo-Pop, in cui inserisco scorci architettonici e paesaggistici. Questa esplorazione mi ha portato a riscoprire il disegno a china in bianco e nero, e mi sto divertendo moltissimo! All’apparenza, pittura e architettura sembrano mondi distinti, ma più lavoro a questa serie, più mi rendo conto che la vera connessione sta nello sguardo: osservare i dettagli, analizzarli e tradurli in segno grafico. La precisione e la minuziosità accomunano entrambe le discipline, e ora sento che il mio passato da architetto sta arricchendo la mia arte più di quanto avrei mai immaginato.   

Sei passata dai ritratti africani alla rappresentazione della natura e del legame tra donna e ambiente. Cosa ha determinato questa evoluzione nel tuo lavoro?  

Credo che l’arte, come la vita, sia fatta di fasi. Ci sono momenti in cui ci sentiamo attratti da certi colori, culture, sonorità… e poi, con il tempo, qualcosa cambia. Per me, la svolta è avvenuta durante il periodo del lockdown. Il silenzio totale, il canto degli uccelli, la natura che si riappropriava del suo spazio… mi sono resa conto di quanto fosse straordinaria quella rinascita. Da sempre vivo circondata dal verde, ma solo in quel momento ho capito che la natura non è solo un elemento decorativo: è vita, energia, connessione. Ho sentito il bisogno di tradurre questa consapevolezza sulla tela e, soprattutto, di portarla nelle case delle persone. Le piante crescono, si rigenerano, si moltiplicano… e anche noi dovremmo riscoprire questo ritmo naturale e imparare a rispettarlo.   

Preferisci lavorare con colori ad olio su tavole di compensato o hai sperimentato altre tecniche e supporti?

Il compensato è stato il mio primo terreno di sperimentazione, ma oggi prediligo la tela di lino. Amo la pittura a olio perché permette di creare velature delicate che donano ai volti un effetto quasi tangibile, come se la pelle potesse essere sfiorata. Il mio processo è lungo: inizio con un primo strato ad acrilico, poi lavoro con colori a olio applicati “magro su magro”, rispettando i tempi di asciugatura. Per questo dipingo più tele contemporaneamente. Ho sperimentato molto anche con l’acquerello e, di recente, con i Pantoni: sono strumenti che offrono risultati incredibili in tempi rapidissimi… ma con un rischio altissimo! Con un solo tratto sbagliato, tutto il lavoro può andare perduto.   

Tra gli artisti che ti ispirano hai citato Il Parmigianino, Tamara de Lempicka e Roy Lichtenstein. Cosa ti affascina maggiormente del loro stile e come lo rielabori nelle tue opere?

Tre artisti lontanissimi tra loro per epoca, corrente artistica e tecnica… ma accomunati da un elemento essenziale: l’eleganza. Parmigianino mi affascina per i suoi volti enigmatici, con occhi allungati e sognanti. La Lempicka per i suoi contrasti di colore netti e saturi, che danno potenza alle sue opere. Lichtenstein, invece, esagera le labbra rosse, trasformandole in un simbolo di bellezza e sensualità. Nei miei lavori riprendo questi elementi: gli occhi devono colpire lo spettatore, parlare, creare una connessione diretta. Uso contrasti cromatici forti per dare intensità ai volti, mentre i dettagli – capelli, gioielli, occhiali – diventano parte integrante della composizione. Amo giocare con la moda e il lusso, come faceva la Lempicka, e utilizzo il rosso delle labbra per accentuare il magnetismo dei miei soggetti, proprio come Lichtenstein.   

I tuoi dipinti pongono grande attenzione agli sguardi. Come scegli i soggetti delle tue opere e quale messaggio vuoi trasmettere attraverso i loro occhi?

I soggetti emergono in modo spontaneo, influenzati dagli stimoli che ricevo. Ma il cuore della mia ricerca è sempre lo sguardo. Gli occhi non si limitano a vedere: guardano, osservano, interpretano. Guardare significa educare i sensi alla bellezza e alla diversità; osservare significa coglierne i dettagli e le regole; vedere significa attribuire un significato a ci  che ci circonda. Ecco cosa voglio trasmettere: un invito a sviluppare una sensibilità più profonda verso il mondo, le persone e la natura.   

Dipingere su grandi formati è una sfida. C’è una dimensione che senti più tua o che meglio rappresenta la tua visione artistica?

Dipingo sia su tele molto grandi che su formati piccoli, ma se potessi scegliere… lavorerei su superfici ancora più imponenti! Le dimensioni amplificano l’impatto emotivo di un’opera. Pensiamo alla “Guernica” di Picasso: larga quasi otto metri, travolge lo spettatore. Se fosse stata dieci volte più piccola, non avrebbe avuto la stessa forza. È proprio questa sensazione che cerco: voglio che il mio pubblico venga avvolto dai miei dipinti, come se ne facesse parte.   

Come nasce un tuo dipinto? Parti da un’idea chiara o l’opera prende forma e significato durante il processo creativo?

Ho sempre un’idea chiara alla partenza, ma il percorso è fluido. Lavorando con la pittura a olio, i lunghi tempi di asciugatura mi permettono di riflettere, aggiungere dettagli, sviluppare nuove intuizioni. Spesso il risultato finale è molto diverso da quello che avevo immaginato all’inizio… ma è proprio questo il bello del processo creativo: l’opera si evolve, matura, diventa qualcosa di più complesso, un po’ come un frutto che ha bisogno di tempo per raggiungere la sua piena maturazione.   

Ti occupi anche di ricostruzione digitale di progetti architettonici. Hai mai pensato di sperimentare con l’arte digitale o con nuove tecnologie come la realtà aumentata nelle tue opere pittoriche?

Se non avessi studiato architettura, probabilmente sarei diventata un’informatica! Da specificare : se fossi nata nella rivoluzione digitale. Amo lavorare con il disegno a mano, ma mi entusiasma anche il mondo digitale. Un conoscente mi ha suggerito di trasformare le mie opere fisiche in arte digitale e la trovo un’idea stimolante. Tuttavia, ci sono due aspetti che mi frenano: il primo è il legame tattile con i materiali – mescolare i colori, sentire le setole del pennello – che nel digitale si perde. Il secondo è che un’opera fisica, appesa su una parete, crea un legame emotivo differente rispetto a un’immagine in realtà aumentata. Ma non escludo nulla per il futuro!   

Hai già esposto le tue opere in mostre personali o collettive? C’è un’esposizione che ha avuto un significato speciale per te?

Espongo le mie opere da 22 anni e ho partecipato a numerose mostre, sia personali che collettive. Di recente, per , ho realizzato una mostra che inizialmente consideravo un esperimento… e invece è stata una vera rivelazione! Ho creato un’esperienza sensoriale, fondendo la mia arte con elementi naturali reali, trasformando lo spazio espositivo in qualcosa di vivo, pulsante. Il risultato? Un percorso immersivo che ha lasciato il pubblico a bocca aperta.   

Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici? Hai in mente nuove esplorazioni stilistiche o tematiche da approfondire?

Ho tantissimi progetti nei cassetti! Al momento, sto esplorando l’integrazione tra ritratti e vedutismo, unendo il mio linguaggio pittorico alle mie radici architettoniche. Come dicevo all’inizio… l’architettura e la pittura non sono poi così distanti!   

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