Nata nello stesso giorno della Regina Elisabetta e di Roma, il destino sembra prometterle lunga durata. Creativa, comunicativa e coinvolgente per vocazione, trova ispirazione nei piccoli dettagli: le Barbie, il profumo di una torta di mele, la luna che guida, e i tulipani fucsia che portano la primavera tutto l’anno. Con un diploma da geometra e una passione per il mare, i libri (sottolineati o intonsi), e le illustrazioni, ama esplorare come gli altri la vedono, un esercizio che considera arricchente. Durante il lockdown, ha partecipato al progetto “Dirimpettaie in Quarantena” dell’illustratore Francesco Poroli, un’esperienza che le ha permesso di raccontarsi attraverso un nuovo linguaggio visivo, unendo nostalgia e solidarietà. Creare, comunicare e coinvolgere non sono solo le sue passioni, ma la sua identità.
Cos’è per te la comunicazione?
Domanda complessissima, difficile rispondere. Però posso raccontarti perché ho scelto di fare comunicazione. Per un certo periodo della mia vita, abbastanza lungo, ho subito violenza psicologica, ma all’epoca non potevo saperlo visto che comportamenti del genere erano derubricati solo come una eccessiva gelosia o una forte passionalità, non esisteva neanche la parola ‘femminicidio’, per dire. Così ho dovuto uscirne da sola, capire i meccanismi della manipolazione e identificare, in me, i punti deboli che avevano permesso il proliferare di alcune dinamiche. Nel farlo, ho scoperto in me una capacità comunicativa che ho voluto tirar fuori per contrastare tutto ciò di cui ero stata vittima. Esistono parole belle che non sono affatto buone, per questo ho scelto di dedicarmi alla comunicazione etica, nel tentativo di ridurre i danni che una comunicazione manipolativa può fare.
Secondo te, quali sono i confini etici che un comunicatore non dovrebbe mai oltrepassare?
La comunicazione ha un potere enorme che viene, troppo spesso, sottovalutato, Per questo è facile ricadere nelle trappole di chi, destreggiandosi nelle dinamiche comunicative, approfitta di queste per far passare solo i messaggi che hanno un grande ritorno positivo per chi li utilizza. Chi fa comunicazione non dovrebbe mai approfittare della propria conoscenza per veicolare un messaggio a proprio vantaggio. Comunicare vuol dire rendere partecipi, e nella partecipazione è necessario essere più di uno.
Come si può bilanciare l’onestà del messaggio con l’esigenza di catturare l’attenzione del pubblico in un mondo saturo di contenuti?
Con la profondità del messaggio stesso. Un contenuto superficiale è trasparente, attira l’attenzione solo nel momento in cui lo si guarda, ma esplorare le diverse profondità di qualcosa importante da dire è un lavoro che richiede più tempo ma regala più memorabilità nella testa di chi fruisce di quel contenuto e ne è attratto. Una cernita del pubblico è naturale e importante per creare una relazione sana che non aspira ad arrivare a più persone possibili con la stessa intensità.
Quanto è importante per te l’impatto sociale ed emotivo di un messaggio? Hai mai dovuto affrontare situazioni in cui comunicare un’idea rischiava di essere manipolativo?
Personalmente no, occupandomi di teatro, libri, musica, il messaggio è già abbastanza chiaro nel ‘prodotto’ che va comunicato. Diventa manipolativo tutto ciò che è oscuro, che dice una cosa sottintendendone un’altra, tutto ciò che non vuole davvero comunicare ciò che sta dicendo. Questo non può accadere invitando ad avvicinarsi ad un’opera d’arte che esprime già una sua posizione ben precisa nel mondo e nella società, Il rischio manipolativo è reale quando vengono sfruttati valori e ideali per accrescere il potere di un prodotto o servizio. Accade ogni giorno quando l’estetica fa leva sull’accettazione di sé inseguendo un’idea di perfezione che non somiglia alla realtà, invece di insegnare ad avere un buon rapporto con il proprio corpo; accade quando, nel mio settore, i ‘guru’ della comunicazione vendono le regole infallibili per vendere oppure la guida per fare un piano editoriale in dieci minuti; accade soprattutto quando, in politica, vogliono farci credere di essere persone migliori se guardiamo solo al nostro orticello mandando bombe e lasciando morire in mare persone ‘lontane’ da noi. Tutto questo, quando l’arte è arte, non si può fare.
In che modo credi che la componente artistica possa rendere un messaggio più efficace e memorabile?
Ecco, una distinzione importante: l’arte comunica sé stessa, ma non è comunicazione.
Lo scopo della comunicazione è dare informazioni, quindi risposte, ma l’arte è nata per mettere in discussione, per porsi domande, non per dare risposte.
Ma, visto che l’arte è la forma comunicativa più potente in assoluto (quante volte cerchiamo carezze in una canzone quando siamo tristi?) possiamo osservarla per creare contenuti immediati, efficaci, potenti, appunto.
Quali sono i tuoi strumenti o tecniche preferiti per aggiungere una dimensione artistica ai tuoi contenuti comunicativi?
Io vivo da sempre con la mia visione laterale delle cose, anche se ci ho messo molto tempo ad accettarla e valorizzarla. Vivo nel senso quotidiano del termine. Io guardo alla periferia delle cose, anche per deformazione professionale da quando ho lavorato nel montaggio video. Se io e te stiamo parlando in un bar può capitare che io, anche se ti sto ascoltando, mi lascio attrarre dall’ombra di una foglia sul tavolo dietro di te e me ne innamoro, o da giochi prospettici pazzeschi e irripetibili. Questo mi accade tutti i giorni, ogni volta che ‘assorbo’ informazioni diverse da più parti. Quando queste relazioni danno vita ad un’idea me la segno sulle note del mio iphone. A me viene fin troppo naturale, ma se di ‘tecnica’ dobbiamo parlare, durante in miei corsi di creazione di contenuti io invito ad abbassare il volume interiore per ascoltare l’esterno e metterlo in relazione.
Pensi che l’arte nella comunicazione abbia un valore educativo oltre che estetico? Può aiutare a far riflettere su temi più profondi?
Certo che sì, proprio per i motivi che spiegavo prima. L’arte è diretta nell’espressione di sé, è un veicolo fondamentale per la trasmissione di temi e ideali.
La tua esperienza di artista ti ha mai fatto vedere la comunicazione come una forma di espressione creativa, paragonabile alla pittura o alla scultura?
Già in accademia mi piaceva esprimermi in diversi modi, mi sono laureata alla scuola di decorazione proprio perché mi permetteva di ‘mettere le mani’ in varie tecniche espressive. La scoperta della creazione di contenuti è stata, per me, l’estensione di quegli strumenti in formato digitale. Mettere la mia voglia di comunicare a disposizione di artisti e opere d’arte è stata, per me, la misura perfetta di me stessa, la mia comfort zone. Però, come in ogni campo, ci sono contenuti che non possono essere annoverati tra le espressioni artistiche migliori, ma ci sono anche spot e campagne pubblicitarie partorite da persone talentuose oltre che preparate e loro sì che creano delle vere opere d’arte. Le sfumature sono mille, vanno dalla recita di fine anno dell’asilo al Festival di Sanremo o, magari, al Bolshoi.
Ti è mai capitato di dover scegliere tra l’estetica di un messaggio e la sua chiarezza? Come hai gestito questa scelta?
Anche con un contenuto poco bello esteticamente io preferisco sempre la chiarezza e l’onestà. Poi, del resto, sono convinta che davanti alla sincerità ci sia poco da contestarne l’estetica. Anche quando sono su un palco, se l’emozione mi limita preferisco chiedere scusa ma lasciarmi andare all’emozione, piuttosto che pretendere da me stessa una performance perfetta. Io non sono un’attrice, sono una comunicatrice, l’onestà è sempre ben accetta.
In un’epoca dominata dai social media, quanto credi sia difficile mantenere una comunicazione autentica che sia anche visivamente attraente?
È difficile ma non impossibile. La comunicazione digitale ti permette di esprimerti davvero in molti modi, l’importante è trovare la forma che ti è più affine e poi realizzarla nel miglior modo possibile. Non è vero che nessuno legge più testi lunghi, è vero che non tutti hanno qualcosa da dire. Un post scritto bene, anche se solo testuale, può essere più attraente di una bella fotografia di stock.
Quanto è importante, secondo te, conoscere il pubblico a cui ti rivolgi? L’arte e l’etica possono cambiare a seconda di chi è il destinatario del messaggio?
L’ascolto è la base della comunicazione, quindi è necessario conoscere il proprio pubblico per capire quali sono i punti di contatto tra l’artista e chi ama le sue produzioni. L’opera d’arte deve essere curata e protetta, non va modificata, ma per fare in modo che possa essere compresa dal pubblico è necessario ascoltare per capire quali corde fa vibrare, quali desideri fa emergere. L’etica è una sola, o c’è o non c’è, non può essere regolata in base al contesto.
Hai mai affrontato un progetto di comunicazione che ti ha sfidato a trovare un equilibrio tra la tua visione artistica e le aspettative del pubblico?
L’arte non risponde alle aspettative del pubblico, non sarebbe più tale. L’arte spinge il limite oltre, supera le aspettative perché anticipa bisogni, desideri, domande. Se rispondesse alle aspettative farebbe parte del mercato gestito da domanda e offerta, ma l’arte è oltre, da un’altra parte proprio. Il ruolo della comunicazione, in tutto questo, è avvicinare i due mondi, farli dialogare, metterli in relazione per permettere, a entrambi i mondi, di evolversi.
Parlaci del tuo podcast.
Impara l’arte e mettila nel content marketing è il podcast che vorrei. Quando ho iniziato ad entrare nel mondo digital cercavo contenuti che avessero a che fare con una visione fuori dagli schemi, così adesso che ho imparato gli strumenti, me ne sono fatto uno a mia immagine e somiglianza. In ogni puntata converso con un esperto di marketing e comunicazione traendo spunto dal mondo dell’arte per creare contenuti diversi, unici ma, allo stesso tempo, efficaci. Così, conoscendo bene i miei ospiti, l’abbinamento artista-strumento è stato veloce. Del resto, quando ho conosciuto Paolo Rumiz, dopo poche ore insieme mi disse ‘Mariablu, tu vedi il mondo in un modo che è solo tuo, metti in relazione cose e fatti apparentemente lontani, e così spieghi bene le cose’. L’ho ascoltato, per questo ho chiamato Alessio Beltrami, Simona Ruffino ed altri splendidi professionisti per parlare di Caravaggio, Raffella Carrà, del Museo del Louvre spiegando, in modo diverso, cos’è il marketing e come si possono creare contenuti autentici.
Progetti futuri?
Sicuramente c’è una seconda stagione del podcast in divenire, poi sto anche riscrivendo la mia tesi di laurea per reinserirla nella mia dimensione attuale, ma per fare tutto questo devo ritagliarmi il tempo tra i festival che curo e i progetti dei miei clienti. Ora sto organizzando e comunicando l’edizione 2025 di Confabulare Open Air, che è un progetto del cuore e mi porta via molta energia, solo dopo potrò mettere in calendario tutto il resto.
Sogno nel cassetto?
Trovare la giusta comunicazione per il teatro per la piccolissima infanzia, per bambini e bambine nella fascia 0/6 anni. È un percorso difficile, ma voglio vedere dove mi porta.


