DONNA CONSALVO

DONNA CONSALVO

Donna Consalvo è un’artista che ha intrapreso la pittura come professione a tempo pieno a partire dal 2021, dopo un lungo percorso di formazione e trasformazione personale. Tra il 2016 e il 2020 ha studiato presso la prestigiosa Central Saint Martin di Londra, esperienza che ha affinato la sua tecnica e rafforzato la sua vocazione artistica. Nonostante la passione per l’arte, inizialmente le mancava il coraggio di trasformarla in una carriera esclusiva. Tuttavia, la pandemia, il ritorno nella sua città natale, Roma, e la perdita del padre l’hanno motivata a credere di più nelle sue capacità e nel valore della sua visione artistica. Ha iniziato dipingendo per le strade di Roma con l’acquerello, un’attività che le ha permesso di vendere i suoi lavori e di farsi conoscere. Nel 2021 ha debuttato con due mostre romane: My View of Rome e Casomai Roma. Nello stesso anno ha presentato la sua prima mostra internazionale, Nostalgent, una serie di acquerelli dedicati alla città di Gent, in Belgio, dove aveva vissuto tra il 2013 e il 2015, con un approccio nostalgico e intimo. Nel 2022 e 2023 ha partecipato a due mostre a Tolosa, in Francia, prima di fare ritorno a Roma. Durante questo periodo, Donna ha esplorato il mondo della street art, attaccando i suoi acquerelli per le strade di varie città, tra cui Roma, Parigi, Montpellier, Marsiglia e Tolosa. Questa esperienza ha segnato un’evoluzione nel suo stile: i suoi lavori si sono arricchiti di inchiostro, colori intensi e messaggi poetici, filosofici o tratti da canzoni, ampliando il dialogo tra le sue opere e il pubblico. Nel 2023 ha realizzato i suoi primi murales: il primo a Parigi, presso Spot 13, e il secondo a Pointe-à-Pitre, in Guadalupa. Con l’esperienza della maternità, Donna ha rivolto il suo interesse artistico verso il tema della gravidanza e della trasformazione del corpo femminile. Ha ritratto donne in attesa e neomamme, esplorando l’intensità e l’unicità di questi momenti. Questa fase l’ha portata a esporre nella mostra Donne al quadro, tenutasi a Roma nell’aprile 2024. In parallelo, ha illustrato un libro per bambini intitolato Blu, il cane a testa in giù, che celebra la diversità delle famiglie contemporanee. Attualmente, Donna Consalvo si concentra sulle donne e sulle madri, utilizzando la tecnica del collage per esprimere i concetti di frantumazione e ricostruzione dell’identità, temi centrali della sua ricerca artistica.

Cosa è per te l’arte e come definiresti la tua?

 Il mio stile artistico è come un viaggio in continuo movimento. Ogni opera è il risultato di un processo che parte dall’osservazione della realtà, la frantuma e poi la ricompone in una nuova forma. È un mix di materiali, colori e frammenti che parlano di esperienze, emozioni e storie personali, ma che sono sempre aperti a chi guarda. Il collage per me è la tecnica che meglio riesce a raccontare questa frantumazione e ricostruzione dell’identità.

Che importanza ha per te il messaggio che trasmetti attraverso l’arte?

L’arte per me è un mezzo per esplorare e trasformare ciò che sento dentro, e credo che ogni emozione, ogni frammento di vita, meriti di essere raccontato. Non mi interessa creare solo qualcosa di bello, ma qualcosa che parli delle persone, delle loro storie, della loro vulnerabilità e forza. Voglio che chi guarda le mie opere possa sentirsi riconosciuto, che trovi in esse un pezzo di sé.

Cosa ti ha portata a scegliere la Central Saint Martin di Londra per la tua formazione? Ci sono stati artisti o movimenti che ti hanno influenzata particolarmente durante quel periodo?

Ho scelto la Central Saint Martins perché cercavo un’esperienza formativa che fosse stimolante, sperimentale e meno accademica rispetto a quelle tradizionali. Volevo un ambiente in cui potessi esplorare liberamente la mia creatività, senza rigidità o regole troppo definite. Il corso di collage che ho seguito lì è stato una vera rivelazione: mi ha aperto a un modo di creare più immediato, intuitivo e libero da schemi. Durante quel periodo, sono stata particolarmente influenzata dai movimenti legati al Dadaismo e al Surrealismo, che utilizzavano il collage come strumento di rottura e di ricomposizione del reale. Anche artisti contemporanei che lavorano con il mixed media mi hanno ispirata, soprattutto quelli che trasformano materiali di recupero in nuove narrazioni visive. Un punto di riferimento importante è stato David Hockney, con il suo approccio innovativo al collage fotografico e la sua capacità di frammentare e ricomporre la realtà in modo vibrante e dinamico. Dopo quell’esperienza, il collage è diventato per me non solo una tecnica, ma un vero e proprio approccio alla creatività, che continua a influenzare tutto il mio lavoro.

Come pensi che il tuo stile si sia evoluto rispetto ai tuoi primi anni di studio?

La mia arte è sempre stata una forma di comunicazione, un modo per dare voce a ciò che sento. Da giovane, a 12 anni, sognavo di diventare artista, e quella vocazione non mi ha mai abbandonata. La Central Saint Martins mi ha dato l’opportunità di esplorare un approccio più libero e sperimentale. Ho iniziato con il collage in modo istintivo, ma col tempo ho capito quanto fosse il mezzo giusto per esplorare temi profondi, come la maternità, e riflettere sulla nostra identità in continua evoluzione. Non è stato solo un cambiamento tecnico, ma anche un’evoluzione dentro di me.

Quali sono stati i momenti più significativi che ti hanno spinto a trasformare la pittura nella tua professione a tempo pieno?

Un momento decisivo che mi ha spinta a fare della pittura la mia professione a tempo pieno è stato il ritorno a Roma, subito dopo la morte di mio padre. Quell’esperienza mi ha fatto sentire un forte bisogno di “casa”, un bisogno di radicamento che riuscivo a risolvere solo creando. La pittura, e in particolare il collage, mi hanno permesso di trasformare quel dolore e quel vuoto in qualcosa di concreto e significativo. L’arte è diventata un rifugio, ma anche una forma di dialogo con me stessa, un modo per ricostruire la mia identità in un momento di grande incertezza. È stato in quel periodo che ho capito che la pittura non era solo una passione, ma una necessità vitale. Creare mi dava la sensazione di riempire uno spazio vuoto, di costruire un ponte tra il mio passato e il mio presente, tra la perdita e la rinascita. Da lì, ho scelto di dedicarmi a tempo pieno alla pittura, perché ho capito che solo così avrei potuto dare un senso pieno alla mia vita e alla mia arte.

Il ritorno a Roma sembra essere stato cruciale per la tua crescita artistica. Cosa rappresenta per te questa città nel tuo lavoro?

Roma è una parte fondamentale del mio lavoro. La città con la sua bellezza imperfetta e la sua storia stratificata è una continua fonte di ispirazione. Ogni angolo della città racconta una storia fatta di frammenti e di cambiamenti. Tornare a Roma dopo il mio tempo a Londra mi ha dato l’opportunità di trasformare il passato in qualcosa di nuovo, come faccio con il collage. Roma rappresenta il mio legame con le radici, ma anche la possibilità di guardare avanti, di fondere tradizione e innovazione.

La street art ha avuto un impatto profondo sui tuoi acquerelli. Quali sono state le sfide e le soddisfazioni più grandi nell’adattare il tuo stile a questa forma d’arte?

La street art ha avuto un impatto profondo sul mio approccio agli acquerelli, in particolare per l’immediatezza e la spontaneità che questa forma d’arte richiede. Le sfide principali sono state adattare il mio stile, solitamente sviluppato in acquerelli minuti, a fogli molto più grandi e utilizzare inchiostri permanenti per resistere alle intemperie. Ogni acquerello realizzato in strada era rapido, impreciso, violento, ma autentico: un gesto ribelle che mi faceva sentire incredibilmente viva. Una delle soddisfazioni più grandi è stata riuscire a mantenere quella stessa energia e spontaneità tipiche della street art, ma portarle nel mio lavoro pittorico. La dimensione urbana ha dato una nuova vitalità ai miei acquerelli, trasformandoli in un atto di espressione genuina e vibrante. Ogni murale o dipinto in strada rappresentava un’interpretazione di Roma, della sua energia, dei suoi contrasti. È stato un modo per immergermi completamente nella città, trasformando ogni opera in un’istantanea di vita urbana che rispecchiava il mio dialogo personale con l’ambiente.

L’uso di poesie, citazioni filosofiche e canzoni nei tuoi lavori è molto interessante. Come scegli i testi da integrare nei tuoi dipinti?

Quando scelgo i testi da integrare nei miei dipinti, mi lascio guidare dalle emozioni e dai momenti in cui mi sento particolarmente ispirata. Spesso scopro una poesia, una citazione filosofica o una canzone che risuona con l’atmosfera del lavoro che sto creando: è un processo molto intuitivo, quasi come se le parole cercassero il loro posto naturale nell’immagine. La selezione non è mai casuale, ma nasce da un dialogo personale tra ciò che vivo e il linguaggio visivo. A volte, un verso o una frase mi colpisce durante una passeggiata per le strade di Roma, o in un momento di introspezione, e sento immediatamente il bisogno di farlo dialogare con i colori e le forme del mio dipinto. Altre volte, il testo emerge grazie alla collaborazione con altri artisti, come è successo con il poeta di strada 51, dove lo scambio creativo ha aperto nuove prospettive espressive. In sostanza, i testi diventano per me un ponte che collega l’immagine all’emozione, arricchendo il messaggio del mio lavoro e invitando lo spettatore a una lettura più profonda e multilivello.

Come l’esperienza della maternità ha cambiato la tua visione artistica? Hai in mente di esplorare altri aspetti della vita femminile o della maternità nei tuoi prossimi lavori?

La maternità è stata un punto di svolta, una trasformazione totale che ha cambiato il mio modo di vedere il mondo. La frantumazione e la ricostruzione dell’identità che esploro nei miei lavori sono concetti che ho vissuto profondamente nel mio percorso di madre. La maternità mi ha aperto nuovi orizzonti, ha fatto emergere emozioni complesse che cerco di tradurre nei miei dipinti attraverso colori, texture e simboli. Il rapporto tra amore, protezione, forza e vulnerabilità è un tema che continuerò a esplorare. Nei miei prossimi lavori, voglio andare ancora più a fondo in queste tematiche, cercando di raccontare la maternità non solo come una fase della vita, ma come una parte centrale dell’esperienza femminile, fatta di rinascite, di perdita e di ricostruzione dell’identità. Penso che ci sia tanto da scoprire e da esprimere in questo campo, senza limitarsi alla visione tradizionale di madre, ma esplorando la complessità, la forza, la vulnerabilità e l’intuizione che ogni donna porta dentro di sé. Inoltre, mi piacerebbe integrare nuovi linguaggi visivi, forse sperimentando anche con altre tecniche o collodi di materiali, per dar voce a tutte queste esperienze che ci rendono uniche e forti.

Hai parlato di “frantumazione e ricostruzione dell’identità” attraverso il collage. Come rappresenti questi concetti nelle tue opere?

Il concetto di “frantumazione e ricostruzione dell’identità” nel mio lavoro di collage nasce dal desiderio di rappresentare la complessità dell’individuo, delle esperienze e delle emozioni. Ogni persona, ogni storia, è fatta di frammenti, di momenti che sembrano distanti ma che, alla fine, si uniscono in qualcosa di unico. Nel collage, l’atto di “frantumare” è simbolico: ogni pezzo che ritaglio e posiziono rappresenta una parte della mia identità, un ricordo, una sensazione, un’idea che è stata “spezzata” e poi ricomposta, senza voler mai forzare una coerenza troppo rigida. La bellezza, per me, sta proprio nell’imperfezione, nell’incontro casuale di elementi che non appartengono a un ordine predefinito, ma che, una volta messi insieme, si trasformano in qualcosa che ha un senso proprio. Le immagini, i colori, i materiali che scelgo diventano il mio modo di esplorare le fasi di una vita: le contraddizioni, i cambiamenti, le rotture e, infine, la ricostruzione. Quella sensazione di ricomposizione non è mai una semplice somma di parti, ma un processo creativo che porta alla nascita di qualcosa di nuovo, che riflette una condizione di crescita e di adattamento continuo. Ogni collage è, quindi, un tentativo di catturare l’essenza di questi cicli di frammentazione e rinascita. L’identità, come il collage, è dinamica, non fissa, e la sua forza sta proprio nell’essere composta di parti che, pur essendo diverse, si armonizzano in una visione complessiva.

La mostra Donne al quadro è stata un’importante celebrazione delle donne. Hai in programma altre mostre o progetti dedicati a temi simili?

Sì, Donne al quadro è stata davvero un’esperienza significativa, un’occasione per esplorare e celebrare il ruolo delle donne nella società, nelle loro diversità e complessità. La risposta del pubblico è stata molto toccante e mi ha confermato quanto sia importante dare voce a temi che riguardano la femminilità e la maternità, specialmente attraverso il linguaggio dell’arte. Per il futuro, sto pensando a progetti che continuino a esplorare e dare spazio a questi temi. Mi piacerebbe approfondire ulteriormente la relazione tra donne e maternità, come questa si intreccia con la costruzione dell’identità e con i cambiamenti sociali e culturali. Inoltre, la maternità, come esperienza di trasformazione, potrebbe essere una tematica che si sviluppa in un progetto più ampio, dove il collage e la pittura diventano strumenti per raccontare storie intime, universali e profondamente umane. Anche se non ho ancora definito il formato di una nuova mostra, mi piacerebbe continuare a creare spazi in cui esplorare la vita delle donne, ma anche coinvolgere più attivamente il pubblico, magari attraverso workshop o collaborazioni con altre artiste, in modo che questi temi possano essere esplorati anche collettivamente. Questa dimensione di scambio e di confronto è per me fondamentale, perché credo che la creazione artistica non debba solo riflettere, ma anche stimolare una conversazione, un dialogo, che permetta a ognuno di vedere se stesso in ciò che viene rappresentato.

Dopo aver esplorato la street art e i murales, pensi di continuare su questa strada o stai valutando nuove tecniche o media?

La street art e i murales mi hanno permesso di esplorare un nuovo modo di interagire con l’ambiente e di portare l’arte su un livello più ampio. È stato un periodo di grande sperimentazione, dove ho potuto giocare con dimensioni, colori e messaggi in un modo che la pittura a casa non mi permetteva. Tuttavia, la mia ricerca artistica è in continua evoluzione, e ora sto cercando di integrare la libertà espressiva della street art con la delicatezza e la profondità dell’acquerello e del collage. Quindi, anche se mi piace l’idea di continuare a esplorare il mondo dei murales, mi sto anche avventurando in nuovi media e tecniche, come l’uso di materiali trovati, l’incorporazione di elementi tridimensionali. In definitiva, la street art rimarrà parte del mio percorso, ma sono molto curiosa di esplorare nuove possibilità artistiche che mi permettano di continuare a sfidare e reinventare il mio linguaggio espressivo.

Come è nata la collaborazione per illustrare il libro Blu, il cane a testa in giù? Ti piacerebbe lavorare su altri libri o progetti educativi?

La collaborazione per illustrare Blu, il cane a testa in giù è nata proprio dall’ incontro casuale tra me e Marta a un corso di yoga per mamme e bambini. Da quel momento, siamo diventate amiche e abbiamo iniziato a parlare di progetti creativi. Marta aveva una passione per la scrittura e ispirandosi alla mia famiglia abbiamo voluto celebrare la diversità e l’inclusività. Mi piacerebbe continuare a lavorare su progetti educativi e inclusivi, perché credo che l’arte possa davvero fare la differenza nell’educare le nuove generazioni.”

I tuoi lavori hanno un forte messaggio emotivo e sociale. Quanto è importante per te trasmettere un messaggio attraverso l’arte, e quali temi vorresti affrontare in futuro?

Per me, l’arte è un mezzo potentissimo per comunicare emozioni, storie e riflessioni che spesso non trovano spazio nel linguaggio verbale. Trasmettere un messaggio è fondamentale, perché credo che l’arte possa stimolare consapevolezza, empatia e cambiamento. Ogni mio lavoro è una sorta di dialogo con il pubblico, un invito a riflettere su temi universali come l’identità, la trasformazione e le relazioni, ma anche sul potere della diversità e della comunità. In futuro, mi piacerebbe esplorare ancora temi legati alla maternità, alla crescita personale e alla resilienza, ma anche affrontare questioni legate all’ambiente e alla nostra connessione con la natura. Ogni fase della vita, con le sue sfide e bellezze, può essere un terreno ricco di ispirazione. Voglio che i miei lavori non siano solo estetici, ma che abbiano anche un impatto emotivo, spingendo chi li guarda a fare delle riflessioni, a sentirsi parte di qualcosa più grande o a prendere azioni concrete.

Come definiresti il tuo stile artistico in una frase?

Il mio stile è un mix di emozioni e storie, dove collage e pittura si incontrano per esplorare l’identità, la trasformazione e la bellezza nelle sue mille forme, attraverso un gioco di frammenti che si ricompongono.

Qual è il messaggio che vorresti che le persone portassero via guardando le tue opere?

Mi piacerebbe che il pubblico trovasse in ciò che faccio uno spunto per riflettere, per sentire, per emozionarsi. L’arte non deve essere solo un piacere visivo, ma un mezzo per esplorare la complessità della vita. Spero che chi si avvicina al mio lavoro possa sentirsi parte di una storia più grande, che non si limita solo alla mia esperienza, ma che abbraccia temi universali come la crescita, la trasformazione, l’identità.

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