Fabio è un artista visivo il cui percorso è segnato da una continua ricerca tra tradizione e innovazione. Fin dall’infanzia, il disegno è stato il suo linguaggio naturale, permettendogli di esprimere idee ed emozioni con immediatezza. Nel 1992, influenzato dai graffiti dell’underground londinese, inizia a dipingere con maggiore costanza, ma è nel 1993, durante un periodo trascorso a Parigi, che il suo percorso artistico prende una svolta decisiva. L’incontro con il pittore della banlieue Yves Aubry gli fa comprendere che l’arte non è solo talento o tecnica, ma un bisogno viscerale di esprimersi. A partire dal 1994, Fabio affitta una stalla in cui lavora soprattutto di notte e inizia ad esporre in spazi artistici come i Chiostri di San Pietro e lo Spazio Ibrido dell’Archivio Giovani Artisti di Reggio Emilia. Tuttavia, il suo impegno crescente nel settore della moda lo porta a mettere temporaneamente in secondo piano la pittura, pur continuando a disegnare sporadicamente. Negli ultimi anni, ha riscoperto la propria vocazione artistica, dedicandosi alla reinterpretazione di opere del passato attraverso mezzi digitali e tradizionali. La pandemia ha rappresentato un momento di svolta, dandogli il tempo per ascoltare sé stesso e ritrovare la propria identità creativa. Attualmente, espone a Crema, Pesaro e Milano Marittima presso la T.D. Art Gallery e partecipa a fiere di settore. Il suo lavoro si distingue per un forte legame con la tradizione unito a un’ironia dissacrante. Ama trasformare vecchi dipinti dimenticati, restituendo loro nuova vita e significato. Un elemento distintivo della sua produzione è l’uso dei colori Pantone, simbolo di standardizzazione industriale, che nelle sue mani diventano opere uniche, sovvertendone il senso originale. Per Fabio, l’arte deve suscitare reazioni, sia di approvazione che di indignazione, perché solo così può essere un vero strumento di riflessione e cambiamento. Il suo obiettivo è continuare a sperimentare tecniche e linguaggi diversi mantenendo uno stile personale riconoscibile. Attualmente collabora con una galleria e sta lavorando a un progetto con Sebastiano Balbo. Crede fermamente che l’arte debba essere accessibile a tutti e auspica un maggiore supporto istituzionale per artisti e curatori, affinché la cultura possa essere condivisa e valorizzata.
Cos’è per te l’arte? E come definiresti la tua?
“Attraverso un gioco sempre dialogante tra elementi classici e scene urbane contemporanee, gioco con la “coincidentia oppositorum”, aspetto intrinseco dei grandi miti dove i diversi poli della dualità si incontrano, creando uno spazio per conversare e reinterpretare la realtà. Mi piace combinare il rispetto per la tradizione con una sfumatura di rivoluzione e spesso, tanta ironia…Privare lo spettatore di ciò che si aspetta per porlo al centro dei recenti riferimenti alla contemporaneità, prendere “in prestito” rendendo evidente il prestito, con ironici cenni al conosciuto per distruggere l’atteso.”
C’è stato un momento preciso in cui hai capito che l’arte sarebbe stata parte fondamentale della tua vita?
“L’arte è sempre stata parte di me, anche nei momenti in cui non la praticavo attivamente. Forse la vera presa di coscienza è arrivata nel momento in cui ho sentito il bisogno di tornare a dipingere, dopo anni dedicati ad altro, dopo alti e bassi della mia vita. È stato un richiamo naturale, come se qualcosa dentro di me avesse bisogno di esprimersi di nuovo. Tanti anni fa ho conosciuto un artista di Parigi, Yves Aubry, che mi ha insegnato che il bisogno di fare arte è un momento della vita che si avverte come impellente. Ad un tratto ci si mette a dipingere perché se ne sente il bisogno. L’espressione artistica, insomma, non nasce da qualcosa che si possiede in più rispetto ad altri, ma al contrario da una vera e propria mancanza.”
Quanto ha influenzato il tuo lavoro nella moda sul tuo approccio artistico?
“Moltissimo. La moda è fatta di ricerca, ritmo e attenzione all’immagine, tutte cose che ho portato nella mia arte. L’uso del colore, la sfacciataggine compositiva e persino il modo di raccontare un’idea visivamente sono aspetti che ho assimilato nel mio lavoro nella moda e che oggi fanno parte del mio processo creativo.”
Hai vissuto un periodo di pausa dall’arte: com’è stato tornare a dipingere dopo tanti anni? Hai trovato cambiata la tua visione creativa?
“Tornare a dipingere è stato come riprendere un dialogo interrotto. Ho ritrovato la mia passione, ma con una consapevolezza diversa. Se prima ero più istintivo, oggi lavoro con un’intenzione più chiara: voglio che ogni opera comunichi qualcosa di preciso, voglio giocare con il pubblico, provocarlo e coinvolgerlo.”
I tuoi lavori spesso rielaborano opere del passato: c’è un dipinto o un artista che ami reinterpretare più di altri?
“Mi affascinano i grandi classici, perché sono immagini scolpite nella memoria collettiva. Mi piace ribaltarne il significato, portarli fuori contesto. Ad esempio, ho lavorato su Marilyn Monroe nello stile di Warhol, ma dandole un atteggiamento completamente diverso: a volte irriverente, a volte surreale. L’arte del passato è sicuramente una base su cui costruire qualcosa di nuovo.”
Come scegli i dipinti che decidi di rielaborare? Ti affascina più il loro stato di “abbandono” o la loro storia?
“Scelgo immagini che hanno già un impatto forte sull’immaginario collettivo. Mi interessa come possono essere reinterpretate in chiave contemporanea. Più che lo stato di abbandono, mi affascina il loro potenziale comunicativo: cosa possono dire oggi, in un contesto completamente diverso?”
Il concetto di Pantone nei tuoi lavori è molto interessante: come nasce questa idea?
“Pantone è un linguaggio universale del colore, e il colore è una parte fondamentale del mio lavoro. L’idea è nata per giocare con l’idea di catalogazione e percezione: prendere immagini iconiche e inserirle in un sistema cromatico, quasi industriale, per far riflettere su come vediamo l’arte e il colore stesso.” ’idea di dipingere i Pantoni arriva sicuramente dal mio lavoro nella moda. La scala colori PANTONE viene utilizzata tantissimo ed è il modo migliore per comunicare con esattezza il colore che lo stilista ha scelto per un determinato capo. E’ una scala colori codificata dove ogni singola sfumatura corrisponde a un nome e un codice preciso recepito in tutto il mondo. Ho deciso di prendere quest’icona e snaturarla, privarla della sicurezza del risultato e reinterpretarne nomi e codici. Il colore e la struttura grafica riprendono il layout del Pantone ma vengono dipinti a mano uno diverso dall’altro su di una tela con cornice e il titolo corrisponde a uno stato d’animo, un pezzo musicale o un oggetto, un’affermazione. I miei colori non significheranno mai la stessa cosa: i miei blu non saranno mai “ceruleo o navy” ma sangue nobile; i miei rossi, piuttosto che “magenta” significheranno baci rubati o conti in banca, i miei gialli saranno sottomarini… La riproducibilità all’infinito dei veri colori Pantone viene così messa in crisi, la catena viene spezzata e l’unicità dell’opera prende il sopravvento Del resto: “l’arte è rivoluzione, se no non è arte”
Hai detto che l’arte deve provocare una reazione. Qual è la reazione più inaspettata che hai ricevuto davanti a un tuo lavoro?
“L’arte deve creare una connessione, suscitare emozioni, far riflettere. Una delle reazioni più inaspettate è stata quando una persona, osservando un mio lavoro, ha riso di gusto mentre un’altra si è sentita quasi infastidita dallo stesso pezzo. È stato affascinante vedere come un’unica immagine potrebbe generare reazioni opposte!”
In che modo la tua arte riflette il presente e il contesto sociale in cui viviamo?
“Viviamo in un mondo di immagini, sovraccarico di stimoli visivi. La mia arte riflette questa realtà, prendendo icone conosciute e decontestualizzandole, per far riflettere su come percepiamo la cultura, il potere e i miti della nostra epoca.”
Pensi che il pubblico oggi sia più aperto a sperimentazioni artistiche o rimanga legato a schemi tradizionali?
Se il pubblico di oggi sono i giovanissimi, credo che consumino le immagini e gli stimoli visivi ad una velocità impressionante senza fare in tempo a digerirle, l’arte per loro sta su TikTok. Io credo di comunicare con un pubblico appena più maturo che conosce il passato ma in cerca di un presente che lo stimoli…
Quale sarebbe il tuo progetto ideale, se avessi risorse illimitate?
“Se avessi risorse illimitate, vorrei trasformare una grande fabbrica abbandonata in un’enorme galleria a cielo aperto, un tempio dell’arte contemporanea dove il contrasto tra passato industriale e arte pop sarebbe il protagonista. Immagino i miei quadri provocatori stampati in formato gigante, incorniciati in grandi strutture barocche, creando un cortocircuito visivo tra la decadenza della fabbrica e l’eccesso decorativo delle cornici. Il tutto accompagnato da luci teatrali, installazioni immersive e un percorso che porti il visitatore a interrogarsi sul concetto di arte, lusso e consumo visivo. L’obiettivo sarebbe creare un’esperienza che lasci il segno, che faccia riflettere e che trasformi un luogo dimenticato in un’icona contemporanea.”
Ci sono tecniche o materiali che non hai ancora esplorato ma che vorresti sperimentare?
“Mi piacerebbe lavorare con la realtà aumentata e l’intelligenza artificiale, per dare vita alle mie opere in un modo nuovo, magari creando un dialogo tra immagine statica e movimento.”
Cosa ti aspetti dal tuo coinvolgimento nel progetto con Sebastiano Balbo?
“Spero che sia un’occasione di scambio creativo e di crescita. Ogni collaborazione porta nuove prospettive e nuove possibilità di espressione. Lui è un personaggio criptico ed io posso inserire una certa ironia di sottofondo alle opere in comune”.
Progetti per il futuro?
Continuare a sperimentare, trovare nuovi modi per portare la mia arte a un pubblico più ampio e, magari, realizzare una mostra personale che raccolga il mio percorso fino ad oggi ma… “sogno nel cassetto” e spesso mi sveglio tutto anchilosato”.
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