NICOLETTA MAGNANI

NICOLETTA MAGNANI

Nata a Reggiolo, nell’Emilia, nel 1972 e residente a Varese da diversi anni, Nicoletta Magnani dipinge da sempre ma si occupa anche di musica, grafica e comunicazione; flautista e apprezzata cantante, scrive poesie e racconti brevi. Artista “multimodale” (definizione attribuitale dal grande architetto e designer Giovanni Anceschi), scrittrice (Robin Edizioni), musicista (flauto traverso e violoncello), autrice dei testi e voce di ANGELICA MENTE: nel 2014 il doppio album “Inverno Rosso – Inverno Blu” è stato nominato alla Targa Tenco come Miglior Opera Prima. Progettista di percorsi formativi e formatrice (vivaioformazione.it). È laureata in Architettura al Politecnico di Milano ed è entrata a far parte di diritto del Circolo degli Artisti di Varese. I suoi quadri sono stati pubblicati su prestigiose riviste, come Elle Decor e Grazia Casa, e ha partecipato a concorsi artistici e letterari. “In ambito pittorico, è impegnata in una ricerca molto particolare, volta a stabilire un dialogo tra due mondi contrapposti, ossia tra la realtà sensibile, razionale, e il mondo onirico. Da questo singolare connubio prende vita una dimensione surreale ricca di spunti letterari e suggestioni emotive, in cui si incontrano il notevole virtuosismo iperrealista e l’astrattismo delle forme. Figure solitarie e malinconiche vengono sospese in uno spazio indefinito, liquido permeato da un’energia vibrante che, non essendo costretta nella cornice, si espande nello spazio circostante, richiamando con forza straordinaria la partecipazione dello spettatore. Una partecipazione, però, sempre richiesta e mai imposta. In un’epoca in cui è sempre più difficile distinguere cosa sia arte da ciò che non lo sia, Nicoletta Magnani si riappropria di tecniche antiche, non tanto per materiali impiegati quanto piuttosto per una metodologia di lavoro che valorizza l’originalità dell’opera, il pezzo unico, il fatto a mano, la cura, la precisione e anche il ruolo che l’artista ha sempre svolto nella società, ossia assumersi il compito di leggere e comunicare la realtà in modo nuovo attraverso la poesia e la piacevolezza estetica.” (Damiano Miotto – TheGallery – Padova).

Cos’è per te l’arte?

L’arte per me è da sempre, da che ne ho ricordo (perché la praticavo già da molto piccola), espressione dell’anima, della mia interiorità. Amo da sempre la comunicazione, il bisogno e la gioia di dare la mia energia agli altri. È come un flusso che ha necessità di uscire e se non lo può fare fa soffrire, rimane dentro, implode.

Sei un’artista che spazia tra pittura, musica e scrittura. Come convivono queste forme d’arte nel tuo percorso creativo?

Spesso mi sono sentita obiettare che avrei dovuto scegliere una delle mie arti e portare avanti quella, come altri fanno per la loro professione. Ma per me queste forme espressive sono una cosa sola, ovvero linguaggi della mia anima, che trova modo di comunicare a seconda dei momenti in un modo leggermente diverso ma con la stessa essenza e forza. Sono parti di me, non saprei rinunciarvi. Poi, per mia natura, ho sempre bisogno di nuovi stimoli e di passare quindi da un linguaggio all’altro. Come pure di evolvere all’interno di uno stesso linguaggio.

Le tue opere creano un dialogo tra realtà e mondo onirico. Come nasce questa ricerca e quali elementi ti ispirano maggiormente?

Forse la realtà corrisponde all’esteriorità, a ciò che sta fuori. Mentre quello che chiami “mondo onirico” è probabilmente ciò che sta dentro. Ovvero le sensazioni, i pensieri, la mia percezione della realtà. E magari la ricerca di questo dialogo è un modo di conciliare questi due aspetti, che in fondo fanno parte della vita di tutti noi, connaturati all’esistenza umana. Mi auguro che lo spettatore, nell’ “ascoltare” questo “dialogo” riesca a ritrovarcisi, a raggiungere la consapevolezza di un sentire che non aveva ancora razionalizzato ma che fa parte anche di lui.

La tua musica ha ricevuto importanti riconoscimenti. Quanto influenza il tuo approccio pittorico e narrativo?

I riconoscimenti cullano l’ego e danno conferma del proprio lavoro. Ma l’arte non è questo. Il vero successo non è la vincita di un premio decisa da una giuria. Per me è più la persona del pubblico che prova, grazie alla mia arte, un’emozione; che va a casa con una riflessione nuova, con qualcosa in più di quando è arrivata. Che sia arte figurativa, musica o scrittura, perché come dicevo sono solo linguaggi diversi per esprimere l’interiorità, quel qualcosa che spesso l’intuito percepisce prima (ho sempre ritenuto l’intuizione un processo veloce di intelligenza. di cui non abbiamo la consapevolezza dei passaggi, proprio per via della sua rapidità di elaborazione. Un po’ come arrivare subito al risultato finale di una espressione algebrica senza saperne esplicitare i passaggi) e che è compito dell’artista portare alla luce.

Il pezzo unico e la cura artigianale sono centrali nel tuo lavoro. Cosa significa per te realizzare un’opera con tecniche tradizionali in un’epoca digitale?

Non è certo una negazione del progresso tecnologico che, in quanto persona curiosa e ghiotta di novità, mi interessa e utilizzo con piacere. Ma la lentezza e la bellezza della creazione e costruzione manuale di cose – di arte ma non solo – fa parte della nostra natura di esseri umani, che ci siamo evoluti in centinaia di migliaia di anni, rispetto ai quali il tempo della digitalizzazione è un’inezia.

Le tue figure sospese in spazi indefiniti sembrano raccontare storie senza tempo. C’è un filo conduttore che lega le tue creazioni?

La percezione della linearità del tempo è squisitamente umana. Del tempo, che è una delle dimensioni del nostro universo, non sappiamo ancora tante cose. Ma tornando alla sequenzialità di questo tempo che viviamo, c’è nell’essere umano un sentire che probabilmente non è solo legato alle contingenze del presente ma ci accompagna appunto “nel tempo”; chissà, forse anche da generazioni, con una memoria genetica, materiale, di cui non conosciamo ancora i meccanismi precisi. In parole povere, cambiano le cose che ci circondano, le situazioni, ma forse le sensazioni che proviamo di fronte alla realtà si rifanno a caratteristiche che ci appartengono da molto più tempo e ci accomunano come esseri umani.

C’è un progetto o una nuova sperimentazione su cui stai lavorando e che ti entusiasma particolarmente?

Sempre. Come forse ho già accennato, la ripetizione mi annoia, anche se ho la tendenza al perfezionamento quindi mi piace per esempio approfondire, allenarmi e conoscere una tecnica per poterla padroneggiare al meglio. Ma la mia mente è sempre in fermento e cerca sempre qualcosa da variare. Per esempio ora – da qualche anno sto realizzando i miei disegni con la penna a sfera direttamente sulla tela preparata a bianco – mi stimola particolarmente il disegno con penne bianche oltre che nere sulla tela di cotone grezza. E per i particolari metallici sto passando dalle tempere acriliche alla foglia oro. Mi entusiasma anche continuare questa direzione intrapresa negli ultimi anni di lavorare sul concetto, a volte anche unendo la figurazione alla parola vera e propria o in alternativa associando all’opera un titolo che diventa parte integrante nel significato della rappresentazione. D’altra parte, la penna che io uso per disegnare è quella che da decenni si utilizza per scrivere, c’è un legame di questi due aspetti persino nella tecnica. Poi ho da preparare il mio spettacolo per l’uscita del nuovo album di ANGELICA MENTE, “Amore Estremo”. E anche qui mi piace sperimentare, unendo più discipline. Quindi, prevedo una commistione di musica, teatro e altro. Uno show completo, sempre per coinvolgere il più possibile il pubblico e far sì che chi fruisce della mia arte sia parte integrante dell’opera stessa, perché da sempre sento e sostengo che senza un referente qualsiasi prodotto artistico rimanga incompleto, sterile. La magia è proprio questa: chi osserva, ascolta, legge mette un pezzetto di se stesso in quel messaggio dell’artista, rendendolo unico, facendolo suo.

Descriviti in tre parole.

Io cerco semplicemente di “essere”, ovvero di portare a compimento – meglio che posso – quello che probabilmente ero nel progetto dell’universo. Il compito di definirmi attraverso le parole lo lascio agli altri. Un po’ come credo che non dovremmo mai essere noi stessi a definirci “artisti”, anche se capita di farlo per comodità, per rispondere a chi ti chiede di cosa ti occupi nella vita.

Foto di copertina di Antonio Delluzio.

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