LUCYNA EWA CZUB

LUCYNA EWA CZUB

Nata in Polonia il 2 aprile 1983, fin da bambina ha mostrato una naturale inclinazione verso l’arte, nonostante sia cresciuta in un ambiente privo di influenze artistiche. Ha sempre avuto una forte connessione con la natura e con le persone che la circondavano, elementi che con il tempo hanno influenzato profondamente la sua sensibilità e il suo modo di esprimersi. Artista autodidatta, ha iniziato a dipingere solo pochi anni fa, trovando nella pittura il linguaggio più autentico per comunicare emozioni e pensieri. Senza aver mai seguito corsi o studi accademici, ha sviluppato il proprio stile attraverso la sperimentazione continua e lasciandosi guidare dall’istinto e dalla ricerca personale. A vent’anni si è trasferita in Italia, dove ha iniziato a lavorare in pasticceria. È stato proprio in quel contesto che il suo senso artistico ha preso forma, trasformando ogni decorazione in un’espressione creativa. In seguito si è stabilita a Lanciano, continuando a perfezionarsi sia nel lavoro che nella ricerca artistica. Durante un periodo difficile della sua vita, la pittura è diventata per lei una vera e propria medicina per l’anima: di notte, sotto la luna, la tela è diventata il suo rifugio. Ha partecipato a diverse esposizioni locali, in città come Torino di Sangro, Vasto, Roseto degli Abruzzi, per poi esporre le sue opere in gallerie prestigiose di Roma, Venezia, Firenze, Milano, Brera, Londra, Cannes e Innsbruck. Ha anche collaborato con un’associazione contro la violenza sulle donne, realizzando la copertina dell’antologia annuale Il silenzio uccide. La figura femminile è il fulcro della sua ricerca artistica: attraverso le sue opere esplora le molteplici sfaccettature della donna, raccontandone la forza, la fragilità e la determinazione. Inizialmente dipingeva esclusivamente in bianco, nero, grigio e oro, con il rosso sempre presente sulle labbra delle sue figure, simbolo di energia e personalità delle donne che affrontano con coraggio le difficoltà della vita. Nel tempo, è passata dalla pittura acrilica a quella a olio, iniziando a includere nei suoi dipinti anche i toni della pelle. Questo cambiamento ha reso le sue opere ancora più intense, permettendole di esprimere con maggiore profondità la complessità emotiva e la resilienza femminile.

Cos’è per te l’arte?

L’arte è il mio diario, dove al posto delle parole uso i colori. Ogni dipinto racchiude sogni, paure, desideri e sentimenti, mostrando ciò che sono senza filtri. Con le parole si può ingannare, ma nell’arte no: ciò che dipingo è ciò che sento davvero. E in questo diario non ci sono solo io, ma anche tutte le persone che, in qualche modo, ne fanno parte.

Come è nata la decisione di trasferirsi in Italia e quanto ha influenzato il suo percorso artistico vivere in un paese così ricco di arte e cultura?

Sono arrivata in Italia con l’idea di restare solo sei mesi, ma sono passati più di vent’anni. Cercavo nuove opportunità, un futuro migliore, ma qui ho trovato molto di più: un senso di appartenenza, persone che mi hanno accolto come una di famiglia. Per quanto l’Italia sia un paese ricco di arte e cultura, all’inizio questo non ha influenzato il mio percorso artistico, perché per anni ho messo da parte la pittura. Dipingevo di nascosto, senza mai mostrare nulla, come se l’arte fosse un rifugio tutto mio. Con il tempo, però, ho trovato il coraggio di uscire dal mio guscio e condividerla davvero.

Il passaggio dalla decorazione in pasticceria alla pittura su tela sembra insolito ma affascinante. In che modo quell’esperienza ha influenzato il suo stile pittorico?

Quando lavoravo in pasticceria, forse è stato più facile per me esprimere la mia arte, perché proprio in quegli anni nasceva il cake design. Creare decorazioni in pasta di zucchero, modellare piccole sculture e progettare torte per matrimoni e cerimonie significava dare forma alle idee e ai desideri delle persone. In un certo senso, quella era la mia arte in quel periodo. Però sentivo sempre che mancava qualcosa, una parte di me voleva emergere di più. Anche se mi esprimevo attraverso la pasticceria, avevo la sensazione che non fosse ancora sufficiente. Sentivo il bisogno di andare oltre, di creare liberamente, senza limiti e senza essere costretta a rappresentare solo ciò che gli altri si aspettavano.

La figura femminile è centrale nella sua arte. C’è una storia personale o un episodio specifico che ha ispirato questa scelta?

Ci sono episodi del mio passato, della mia infanzia, che mi hanno portato a dipingere la figura femminile. La donna, per quanto fragile, vulnerabile e delicata, è anche una forza, una roccia. E in un certo senso, io mi riconosco in questa forza. Quando ho iniziato a dipingere, ho scelto di raffigurare donne di spalle, come se stessi esprimendo la mia paura, quella sensazione di chiusura che provavo. Era come se volessi tenermi a distanza da qualcosa, forse dalle parti di me che non ero ancora pronta ad affrontare. Poi, con il tempo, ho cominciato a disegnare anche il viso, ma mancavano ancora dei tratti, come se stessi ancora cercando di capire chi fossi davvero. Gradualmente, però, tutto è cambiato: è come se quel peso del mio passato stesse andando via. Ho iniziato a sentirmi più libera, come se stessi lasciando alle spalle le difficoltà e scegliessi finalmente di riprendermi la vita, di abbracciarla con tutta la forza che avevo dentro, senza più sentirla come un peso.

La scelta iniziale di dipingere solo in bianco, nero, grigio e oro aveva un significato simbolico preciso?

Il motivo dietro la scelta di questi quattro colori rispecchiava il mio stato d’animo di quel momento, un riflesso della mia anima, che si sentiva spenta e intrappolata nel buio delle paure e delle difficoltà che stavo affrontando. Il bianco e il nero rappresentavano quel contrasto tra luce e oscurità, tra speranze e timori. Il rosso, invece, per me è sempre stato simbolo di forza e di vita, mentre l’oro era come una luce che, gradualmente, avrebbe potuto liberarmi da quella parte di me che mi teneva ferma, dal mio passato che mi spegneva. Era come un segno di speranza, che lentamente avrei trovato la forza per uscire da tutto quello.

Il rosso sulle labbra delle figure femminili è un dettaglio ricorrente nelle sue opere. Cosa rappresenta per lei questo elemento?

Il rosso per me è un colore carico di significati profondi. È energia, passione e intensità. È la forza che nasce da dentro, ma anche una sensibilità che non si nasconde. È il fuoco che arde e allo stesso tempo la delicatezza che accompagna ogni passo. Sulle labbra delle mie figure femminili diventa un simbolo di espressione e coraggio, ma anche di vulnerabilità. È come se queste donne, pur nella loro forza, rivelassero una parte di sé più intima e profonda, in un equilibrio tra determinazione e fragilità.

La pittura è diventata una medicina per l’anima durante un periodo difficile della sua vita. Qual è stata l’opera più terapeutica che ha realizzato?

Uno dei quadri più terapeutici che ho realizzato è nato in un periodo in cui le difficoltà stavano bussando di nuovo alla mia porta. È stato un momento di paura, di ansia, in cui, pur avendo dentro di me la voglia di dipingere, il mio corpo sembrava tradirmi. Le mie mani, all’improvviso, si paralizzavano. Provavo a muoverle, a stringere il pennello, ma era come se non avessero più forza. La vista era offuscata, non riuscivo a mettere bene a fuoco, eppure, nonostante tutto, dipingevo. Ricordo che ero vicino alla finestra, guardavo la luna piena che sembrava osservarmi e, con tutte le forze, continuavo a dipingere. Questo quadro non lo venderò mai, perché per me rappresenta la certezza che, anche nei momenti più difficili, possiamo farcela. Dobbiamo credere in noi stessi, perché ogni ostacolo può renderci più forti. Per molto tempo non ha avuto un titolo, poi, un giorno, l’ho chiamato “Frammenti d’animo”. È un’opera che racchiude la mia forza, la mia resistenza e la convinzione che, con il tempo e la volontà, possiamo superare ogni cosa.

Qual è stato l’impatto emotivo più forte di una sua esposizione in città come Londra, Cannes o Innsbruck?

Bella domanda. Ogni anno mi pongo degli obiettivi da raggiungere, e uno dei miei desideri più grandi era esporre in Francia. Quando si è presentata l’opportunità di portare i miei quadri a Cannes, è stata un’emozione immensa. Ce l’avevo fatta, non solo per me, ma anche per dimostrare che un’autodidatta può emergere e trovare il proprio spazio nel mondo dell’arte, nonostante non avessi un percorso accademico alle spalle. Poi sono arrivate altre opportunità: Londra, Innsbruck… Sono emozioni difficili da spiegare, bisogna viverle. Ricordo che, durante una mostra, qualcuno mi disse che nei miei quadri si vedeva chiaramente chi ero, che raccontavano la mia anima e che non dovevo mai smettere di credere in me. Sono parole che porto con me, perché sentire qualcuno comprendere il significato di un mio quadro senza bisogno di spiegazioni è una delle soddisfazioni più grandi.

Il passaggio dalla pittura acrilica a quella a olio ha cambiato la sua visione artistica? Quali nuove possibilità ha scoperto con questa tecnica?

Quando sono passata dalla pittura acrilica a quella a olio, è stato come aprire una porta su un mondo completamente nuovo. Per me, acrilico e olio sono due cose totalmente diverse. Con l’acrilico, dovevo lavorare velocemente, perché i tempi di asciugatura sono brevi, e questo mi imponeva una certa rapidità nell’esecuzione. Ma con l’olio, ho trovato una libertà che mi permette di esprimermi molto meglio. Mi consente di sfumare i tratti con più delicatezza, di lavorare in strati, di ottenere effetti di luce e profondità che prima non avrei mai potuto raggiungere. Pitturare a olio mi dà più spazio per riflettere e pensare, perché posso tornare sui miei passi e rivedere ogni dettaglio senza fretta. È una tecnica che mi permette di essere molto più espressiva e di raccontarmi in modo più profondo, esplorando la mia arte in maniera più intima. Con l’olio sento che posso dare voce a quella parte di me che magari con l’acrilico non riuscivo a far emergere, e ogni pennellata diventa un piccolo capitolo della mia storia.

La collaborazione con l’associazione contro la violenza sulle donne sembra molto significativa. Cosa ha cercato di comunicare con la copertina dell’antologia Il silenzio uccide?

Questa collaborazione è stata molto significativa per me, spingendomi a rivedere la rappresentazione delle donne nella mia arte e a riflettere sul messaggio che voglio trasmettere, mostrando la forza e la bellezza delle donne, anche nelle esperienze più dolorose. La copertina dell’antologia “Il silenzio uccide” esprime il cambiamento interiore che ho vissuto. Ho scelto di rappresentare una donna che, mettendo una limetta in bocca, cerca di trattenere il suo dolore. La mano segnata dal sangue diventa simbolo di una sofferenza silenziosa e spesso invisibile. Questo gesto racconta il conflitto interiore delle vittime, la difficoltà di parlare e di uscire dal silenzio che le opprime. Ma oltre a rappresentare il dolore, quest’immagine è anche un atto di coraggio e un invito a non accettare mai la violenza, a non arrendersi mai al silenzio, ma a liberarsi, a farsi sentire e a prendere il controllo della propria vita. Da questa riflessione sono nati i veri volti delle donne nei miei quadri: volti che ora esprimono la loro identità, liberi da paure e limitazioni.

C’è un tema o un’emozione che ancora non ha esplorato nelle sue opere ma che le piacerebbe affrontare in futuro?

In questo momento sto lavorando su un quadro che esplora il tema dell’introspezione, un percorso che mi sta permettendo di guardare dentro di me e riflettere su come trasformare e crescere. Mi ispirano molto anche i temi della resilienza e della totale rinascita, che sento legati alla capacità di superare le difficoltà e ricominciare. In futuro mi piacerebbe unire questi temi, cercando di rappresentare visivamente la forza del cambiamento, la bellezza della crescita e la potenza di rinnovarsi, con un approccio che celebra la forza interiore e la trasformazione.

1 Comment

  1. Francesca Marano

    Buongiorno
    Invio foto per Associazione il Guscio per contest Festa della Donna

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