Daniele Guidi è un vecchio-nuovo emergente che nasce a Firenze 63 anni fa, una città dove l’arte si respira nell’aria e fa parte del patrimonio genetico dei suoi abitanti. Fin da piccolo, grazie alla madre, sviluppa una profonda connessione con il mondo artistico, visitando i capolavori del Rinascimento Fiorentino: gli Uffizi, il David di Michelangelo e molte altre meraviglie che hanno segnato la sua crescita culturale ed estetica. Tuttavia, il suo percorso di formazione artistica non segue una linea tradizionale: solo all’età di 31 anni decide di iscriversi al Liceo Artistico, cogliendo l’opportunità di frequentare i corsi serali dopo la giornata lavorativa. Questo momento segna una svolta importante nella sua vita, aprendo nuove prospettive e consolidando il suo desiderio di esprimersi attraverso l’arte. Parallelamente alla pittura, Daniele Guidi lavora come graphic designer, una professione che gli permette di esplorare e affinare il concetto di comunicazione visiva. Se nel design la comunicazione passa attraverso la promozione e la costruzione di un messaggio chiaro ed efficace, nella pittura il desiderio di comunicare si fa più personale e intimo. Per questo sceglie il linguaggio dell’astrattismo, considerandolo più immediato e coinvolgente. In questo approccio, lo spettatore non è un osservatore passivo, ma parte integrante dell’opera: attraverso la propria interpretazione, completa il dialogo che l’artista intende instaurare con lui.
Cos’è l’arte per te?
Sono nato a Firenze circondato dall’arte e dalla bellezza e dove l’arte è naturalmente mescolata nell’ossigeno che respiri.
Cosa ti ha spinto, a 31 anni, a riprendere in mano il sogno dell’arte e iscriverti al Liceo Artistico?
In realtà già dopo le medie avevo messo in cantiere di frequentare il Liceo Artistico o l’Istituto d’Arte. Purtroppo per me il terrore di dover affrontare per altri anni lo studio della matematica e affini, mi fece dirottare verso la più tranquilla Scuola Alberghiera dove la matematica era completamente assente. Come ebbe a dire Venditti… “la matematica non sarà mai il mio mestiere”.
C’è stato un momento o un bisogno preciso che ti ha guidato in quella scelta?
Indubbiamente crescendo maturi e la determinazione e la consapevolezza di voler seguire la mia strada naturale verso un lavoro di tipo artistico, mi ha permesso di fare quella scelta.
Come convivono in te il graphic designer e il pittore? Ti influenzano a vicenda o li vivi come due mondi separati?
Sono le due facce della stessa medaglia, si completano a vicenda e per un introverso come me rappresentano una forma di linguaggio con il quale comunicare con gli altri. Nel lavoro di graphic design esprimo la mia creatività obbedendo alle regole tecniche della produzione in serie. Nell’attività pittorica sono più libero di rompere le regole. L’importante però è averle apprese e l’insegnamento accademico del Liceo Artistico è stato fondamentale.
Hai scelto l’astrattismo come linguaggio artistico. Cosa ti affascina di più di questo stile e perché lo consideri il più adatto a esprimerti?
Sono un istintivo di natura. Faccio le cose di getto seguendo il flusso dei miei pensieri e dei miei ricordi. L’astrattismo materico mi permette di realizzare velocemente le mie idee e di fermarle senza troppi artifizi e tecnicismi. Mi permette anche di sganciarmi dall’idea iniziale o di iniziare senza una vera e propria idea iniziale. E’ un flusso, “un flow” nel quale mi immergo anche per compensare l’attività grafica, che spesso è limitata da rigide regole tecniche.
Il tuo rapporto con l’arte nasce fin da piccolo, grazie a tua madre. C’è un’opera, un artista o un momento che ricordi come davvero “rivelatore”?
Si indubbiamente! Ricordo che avevo circa 5 o 6 anni la prima volta che andai agli Uffizi. Rimasi folgorato dalla visione della Venere e della Primavera del Botticelli. Mentre percorrevo quei corridori immerso in quella sinfonia di arte e bellezza, forse stavo facendo un viaggio dentro me stesso, chi lo sa. Di sicuro il bambino che uscì dagli Uffizi non era più lo stesso che vi era entrato.
Quanto è cambiato il tuo modo di vedere e vivere l’arte da quando eri bambino, passando per il lavoro, fino ad arrivare alla maturità artistica di oggi?
Sicuramente è cambiato il mio approccio e il mio legame. Ho sempre avuto un’indole artistica e creativa che ad un certo punto dall’adolescenza alla giovane età concretizzai nell’attività fotografica e in quella musicale. Il lavoro di graphic designer al quale sono approcciato in tarda età (avevo già 39 anni…) mi ha permesso di “monetizzare” più velocemente la creatività. Forse questa pseudo “sicurezza” mi ha un po’ distolto dal lato puramente pittorico e proprio nel momento in cui (anni fra il 2006 e il 2009) potevo veramente portare avanti il mio discorso artistico, mi sono fermato. Oggi sono fieramente un “giovane vecchio emergente” che all’età di 62 anni si è di nuovo rimesso in pista, con una nuova consapevolezza.
Come reagisce il pubblico davanti alle tue opere astratte? Ti capita di restare colpito da interpretazioni che non avevi previsto?
L’astratto non permette distrazioni… o ti piace o non ti piace. Il figurativo è più “facile” da capire. La cosa però che trovo di soddisfazione è che anche le persone poco inclini alla pittura astratta trovano i miei dipinti coinvolgenti e interessanti. Spesso alcuni interpretano a modo loro il concetto che volevo esprimere nel quadro e questo mi fa davvero piacere perché con il quadro voglio comunicare un qualcosa che poi trova completamento nello sguardo dello spettatore.
C’è una sensazione o un messaggio che cerchi costantemente di trasmettere attraverso la tua pittura, o ogni opera ha una sua voce?
Il mio messaggio artistico trae origine dalla materializzazione di ricordi lontani che si sono stratificati nel tempo e siccome il cervello non distingue un fatto realmente vissuto, da uno puramente immaginato, rappresentano un vissuto reale e irreale. Questi ricordi materici che chiamo “Matericordi” sono il fulcro che mi ha permesso di crescere come persona motivata alla realizzazione di sé. Per questo attraverso la mia arte vorrei impattare positivamente nella vita delle persone ed essere di ispirazione per tutti coloro che vogliono realizzare un loro desiderio e un loro sogno. L’arte è comunicare.
Cosa ti ispira nel quotidiano? Dove trovi gli stimoli per iniziare una nuova opera: nei luoghi, nelle emozioni, nei ricordi?
Di sicuro nei ricordi e nei fatti del quotidiano. Il mio dipinto “Dalla finestra un alterno brusio” per esempio è il frutto dei suoni che percepivo mentre lavoravo dalla finestra durante il lockdown e durante i lavori di rifacimento della facciata, che sono durati più di un anno. Il tema “sonoro” è spesso presente nei miei quadri. Io sono di natura un “auditivo” e un “visivo”… connubio perfetto per creare arte!
Guardando indietro, cosa diresti oggi al Daniele più giovane che visitava incantato gli Uffizi?
Gli direi di non guardare mai indietro ma di vivere sempre nel presente e di gioire dei momenti che ti regala, come percorrere i corridoi degli Uffizi circondato dalla bellezza e dagli affetti più cari.
Hai un sogno artistico che non hai ancora realizzato? Una mostra, un progetto, una collaborazione che tieni nel cuore?
Si mi piacerebbe vedere una mia opera in un posto pubblico, a contatto costante con le persone. La vedo un po’ come un ipotetico “Io Introverso”, che esce allo scoperto e si relaziona apertamente con gli altri in ogni istante, senza filtri e condizionamenti.



