ALESSANDRO PIPINO

ALESSANDRO PIPINO, nato a Bari nel 1972, compositore, arrangiatore e polistrumentista. Studia organo elettronico, tastiere (con il Maestro Battista BIA) e pianoforte jazz (con il Maestro Davide SANTORSOLA), successivamente si accosta alla fisarmonica, all’organetto, alla sega musicale e al Theremin. Nel 2003 ha fondato L’ESCARGOT con il quale ha pubblicato tre album e un singolo. Ha all’attivo numerosi concerti in Italia, Germania, Francia, Belgio, Grecia, Svizzera, Libano, Spagna, Israele, Palestina, Egitto, Giordania, Tunisia, Kuwait, Algeria, Emirati Arabi, Ecuador. Fra i numerosi eventi ai quali ha partecipato, spiccano i concerti all’Olympia di Parigi, al Blue Note di Milano, al Parco della Musica di Roma, Concerto del Primo Maggio a Roma, Concerto per la Vita e per la Pace di Betlemme, Peace Festival di Tel Aviv, La Notte della Taranta di Melpignano, il Premio Tenco di Sanremo, Suoni delle Dolomiti a Trento, Arezzo Wave, Italia Wave, Teatro Farnese a Parma. Collabora stabilmente inoltre con UARAGNIAUN, Maria MORAMARCO, Silvio Gioia e TERRAE. Ha suonato il Theremin come solista dell’Orchestra Sinfonica della Città Metropolitana di Bari. Ha scritto musiche per il teatro e collaborato con numerosi registi, fra questi Giorgio BARBERIO CORSETTI (La Guerra di Kurukshetra, testo di Francesco NICCOLINI), Teresa LUDOVICO (L’Odissea di Tonino Guerra), Pino PETRUZZELLI (Cafè Jerusalem, Mediterraneo, Don Chisciotte) Luigi D’ELIA (Di là dal mare, tra gli ulivi), Silvio GIOIA (La favola di Peter). Ha scritto colonne sonore per i registi Marco PRETI, Giovanni PRINCIGALLI e Lorenzo SEPALONE. Alcune sue composizioni sono proposte frequentemente nei corsi di organetto, in particolare La Vecchia Singer è diventata uno standard del Balfolk. Ha oltre venti anni di esperienza nella didattica dell’organetto. Attualmente studia Composizione presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari.

Come è nata la tua passione per la musica e quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della composizione e dell’arrangiamento?
Negli anni ’70 e ’80 nella mia famiglia si ascoltava molta musica, diversi generi ma con una predilezione per i
meravigliosi album dei Pink Floyd, per cui all’inizio è stato un ascolto passivo ma, per fortuna, di grande qualità.
Avevo circa dieci anni quando poi i miei genitori iscrissero me e la mia sorella più piccola ad una scuola di musica
alle porte di Bari, dove ci accompagnavano ogni sabato pomeriggio, per anni. All’epoca mi sembrava una cosa
scontata, ma crescendo ho compreso quanto fosse prezioso quel loro impegno. Acquistarono un pianoforte
verticale per mia sorella e un organo elettronico per me. Questa scelta si rivelò determinante, con l’organo
elettronico riuscivo a comprendere bene quali fossero le diverse parti di un brano musicale, dalla parte ritmica
della batteria, alla parte del basso, all’accompagnamento, al ruolo cruciale dell’armonia, della melodia e della scelta
dei timbri, tutti parametri fondamentali per quello che sarebbe stato poi il mio ruolo di arrangiatore e compositore.

Qual è stata l’esperienza più significativa durante il periodo con gli Al Darawish e come ha influenzato il tuo percorso musicale?
E’ stato il mio esordio fra i “professionisti”, amavo gli Al Darawish, li ascoltavo e fu un gran privilegio iniziare a
suonare con loro; ricordo i tour, gli incontri con gli altri gruppi, Mau Mau, Yo Yo Mundi, Modena City Ramblers,
i gruppi del CPI, eravamo tutti protagonisti di una scena musicale alternativa che all’epoca (anni ’90) era molto
significativa, la nostra musica era affiancata ad un chiaro impegno politico. Essere testimone diretto di quella
stagione musicale è stata una esperienza irripetibile, anche se probabilmente ne ho preso consapevolezza negli
ultimi anni. Se dovessi invece scegliere un episodio in particolare, non senza difficoltà, sceglierei un concerto epocale al
centro sociale Fucine Meridionali di Bari, la nostra città, quella sera accadde qualcosa di davvero indescrivibile.
Il percorso iniziato con gli Al Darawish è poi proseguito, con una differente cifra stilistica, nel progetto dei
Radiodervish, nato dalla scissione del progetto originario, un percorso naturale del mio cammino musicale.

Come descriveresti il processo creativo quando componi musica per i Radiodervish rispetto ai progetti
con L’Escargot o per altri progetti? Ci sono differenze nel tuo approccio o nella tua ispirazione?

Sono processi molto diversi, nei Radiodervish sono Nabil e Michele Lobaccaro che portano le idee originarie, io
sono una specie di filtro, reimposto le cose, ne suggerisco altre e così via; a volte il mio apporto compositivo è
maggiore, il più delle volte mi dedico all’arrangiamento e a determinare il sound dei brani. De L’Escargot invece sono il principale compositore, per la maggior parte sono brani che ho scritto sull’organetto. Il mio approccio qui nasce da una fascinazione, ho composto la maggior parte dei brani più “famosi” nei primissimi anni di studio dello strumento.
Credo anche nella fortuna del principiante, più avanti, quando se ne sa molto di più, si resta meno sorpresi da quello che si suona, magari improvvisando qualche nota, e così le idee non vengono fermate in una nuova composizione ma quando si è all’inizio di un percorso, tutto sembra fantastico. In altri progetti, per esempio con il teatro, devo distinguere due possibilità, se devo suonare le musiche che scrivo dal vivo durante gli spettacoli o se le composizioni saranno solo registrate e mandate dalla regia. Entrambe le strade sono molto affascinanti, nel primo caso diventa importante l’impatto visivo: suonare un Toy Piano o una Sega Musicale in scena è molto diverso che ascoltarli in una registrazione. Nel secondo caso invece posso divertirmi con le stratificazioni di strumenti che altrimenti non sarei in grado di suonare tutti contemporaneamente. Ad ogni modo, cerco sempre di avere un approccio ispirato ed emozionale alla musica, questo la rende più evocativa, probabilmente è per questo che quando il pubblico ascolta la mia musica mi riferisce di immaginare
paesaggi, ambienti, epoche e mai un suonatore e questo per me è il miglior risultato.

L’organetto sembra essere uno strumento centrale nella tua carriera. Qual è il fascino di questo
strumento per te e come hai sviluppato la sua tecnica nel corso degli anni?

L’organetto mi ha davvero cambiato la vita, il suo fascino è nel timbro così bello, nel respiro del suo mantice, nelle dimensioni ridotte. E’ probabilmente lo strumento che suono meglio, riesco a trasformare il mio pensiero musicale in suono in modo molto naturale. Ho imparato da autodidatta ma ho frequentato molti stage con bravi insegnanti, ognuno di questi ha migliorato la mia tecnica, di fatto però è stato determinante l’impegno costante, soprattutto nei primi anni (sono ormai 25 anni che lo suono) in cui lo suonavo instancabilmente per ore ed ore, non sono mai diventato un virtuoso, non volevo neanche esserlo, l’importante per me è interpretare i brani degli autori che amo, oltre che i miei, naturalmente. Devo molto a questo strumento, un regalo che la vita mi ha donato è stato il fatto di scoprire che le mie composizioni per organetto sono molto conosciute e anche molto suonate, spesso ho visto persone sorprendersi nello scoprire che dietro queste musiche c’è un compositore in carne ed ossa, un po’ come se le musiche esistessero a prescindere da me.

Hai suonato in numerosi paesi e festival prestigiosi. C’è un concerto o un evento che ricordi con
particolare affetto o che ritieni abbia avuto un impatto significativo sulla tua carriera?

Questa è una domanda davvero difficile, voglio però citare un concerto che magari non ha avuto particolari
effetti sulla mia carriera ma ricordo l’enorme euforia e gioia che provai durante uno spettacolo di musica
popolare nel 2002 con i Naracauli, nello storico locale SO36 di Berlino, stracolmo di giovani tedeschi, riuscimmo
a far ballare tutti, musicalmente avevamo fatto enormi passi in avanti rispetto ai nostri esordi e toccare con mano
quel risultato fu davvero esaltante.

Che ruolo ha la multiculturalità e l’incontro tra diverse tradizioni musicali nella sua musica? Come
integri queste influenze nei tuoi progetti artistici?

Non c’è dubbio che l’incontro con il gruppo multi etnico degli Al Darawish dove c’erano un cantante palestinese
e un fisarmonicista greco, ha determinato un approccio più aperto e meno colonizzato dalla imperante cultura
anglo americana, il suonare la fisarmonica e l’organetto mi ha portato poi a scoprire repertori più tradizionali,
italiani, francesi, celtici. Adesso, grazie ad internet, possiamo avere a disposizione tutta la musica del mondo o
quasi. Viviamo in una società molto più multiculturale di un tempo e sarà sempre più così, il processo di
integrazione di queste culture nella mia musica è naturale, non è mai per calcolo, una volta ho letto una frase che
mi ha colpito: “non sono più la stessa persona che ero 18 minuti fa”, ecco, ogni incontro ci cambia
irreversibilmente.

Come gestisci il bilanciamento tra la tua carriera da musicista e la vita personale? Ci sono sfide
specifiche che hai incontrato nel perseguire la tua passione per la musica?

La sfida principale è l’incertezza del guadagno, non sai mai quanto riuscirai a portare a casa alla fine del mese, con
tutte le questioni che ruotano attorno a questa condizione, so che in altri paesi europei le cose sono molto diverse e ci sono delle garanzie ma qui siamo in Italia. Questo deve far riflettere. Se qualcuno mi chiedesse un consiglio su che tipo di scelta fare io onestamente non saprei cosa dirgli.

Parlaci di Cuore Meridiano.
Un album necessario, ogni giorno sentiamo notizie provenienti dal Medio Oriente che ci lasciano sgomenti, il genocidio in corso in Palestina necessita di una risposta politica; noi come artisti esprimiamo il nostro punto di vista, cantando di un popolo che non vuole morire e denunciando l’ipocrisia di un occidente che, quando gli conviene, finge di non vedere. Da un punto di vista più strettamente musicale, è un album che mi soddisfa molto, anche se contiene solo 5 brani ha richiesto un impegno pari a quello degli album precedenti, ogni brano ha un suo carattere molto diverso, sono particolarmente soddisfatto di “Luglio, agosto, settembre nero”, che abbiamo completamente destrutturato e ricostruito in maniera personale, gli stessi Area si sono complimentati con noi e questo ci ha fatto un enorme
piacere.

Hai dei sogni nel cassetto?
Qualcuno forse sì.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Nell’immediato, sta per partire il tour di Cuore Meridiano, nel frattempo collaboro con Rebecca Fornelli, una cantautrice straordinaria, abbiamo qualche spettacolo in programma. Ho anche un nuovo progetto con Silvio Gioia, un grande talento del Teatro delle Ombre, saremo presto sul palco insieme. Sono anche iscritto al Corso di Composizione del Conservatorio di Bari, voglio completare questo percorso bellissimo, per ora sta andando tutto bene e spero di poter pubblicare presto i brani che sto scrivendo in questo contesto, così come ho fatto con Additive Synthesis quando frequentavo il Corso di Musica Elettronica. Voglio anche tornare a suonare con L’Escargot, mi manca.

4 commenti a “ALESSANDRO PIPINO

    1. Grande Alex …la musica nella famiglia Pipino è racchiusa nel nostro
      DNA…siamo veramente strafelici del tuo percorso e di come il tuo amore per questo, abbia portato la musica a diventare il tuo lavoro , la tua esistenza da artista e da maestro è dovuta dalla tua perserveranza , dalla tua precisione e passione nel creare emozioni, posso solo augurarti di continuare a viveve la tua vita con quello che hai sempre apprezzato, rispettato, condiviso, in tutte le sue forme e sfaccettature LA MUSICA .Un grande abraccio e buena suerte por todo !!!! 🔝❤️

  1. Ottima intervista Alessandro: ti percepisco “non filtrato”, e questo è bello.
    Ora so qualcosa in più di te e ne sono felice.
    Ti auguro tutto il meglio possibile.
    Un grande abbraccio
    Francesco

  2. Scopro un artista piu grande di quanto pensassi, manca peró un cenno ai power six 😂

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