Annalisa Caricato è un’artista visiva italiana classe 1974, discendente di Alexandre Dumas per linea paterna. Attualmente vive in Svizzera. La sua produzione artistica si concentra sulla resilienza, la trasformazione e l’emancipazione, attraverso una poetica che combina la fragilità dei materiali con una forza simbolica. Utilizza principalmente la tecnica del collage tridimensionale per esplorare temi legati all’obsolescenza degli oggetti e dell’essere umano, criticando il consumismo e riflettendo sul valore della condizione umana, con un’attenzione particolare alla condizione femminile. Dopo aver studiato presso la Scuola di Design Industriale di Roma, ha lavorato nella moda con grandi marchi di lusso e creato il suo marchio di borse scultoree. In seguito a eventi personali e professionali, ha deciso di dedicarsi completamente all’arte. Le sue opere sono state esposte in Italia e Svizzera in contesti prestigiosi, come la Banque BPS di Neuchâtel e La Maison de la Femme a Losanna. Annalisa è anche un’imprenditrice sociale impegnata, proponendo workshop che mirano a dare nuova vita a oggetti obsoleti, simboleggiando il potenziale di rinascita degli individui. Con uno stile ironico e poetico, trasforma esperienze personali in una “autofiction” artistica, creando installazioni immersive che riflettono su fragilità, resistenza e riscatto. Attualmente, Annalisa sta presentando la sua mostra “Agile-Fragile” in Svizzera, incentrata sul tema dell’upcycling umano e sulla riabilitazione di ciò che è fragile o obsoleto, con un mix di arte, filosofia e impatto sociale.
Cos’è l’arte per te e come definiresti la tua?
Mi piace citare Banksy: “L’arte dovrebbe confortare i disturbati e disturbare i comodi.” Questa frase incarna il mio approccio. La mia non è arte decorativa, ma arte che provoca, disturba e invita alla riflessione, anche attraverso l’effetto “wow” che cerco di creare. Lo stupore è un catalizzatore potente per scuotere scettici e pigri, spingendoli a guardare oltre l’ovvio.
In che modo l’eredità culturale di Alexandre Dumas ha influenzato il tuo percorso artistico?
I principi morali delle opere di Dumas, come Il Conte di Montecristo e I Tre Moschettieri, sono profondamente radicati nella mia ricerca artistica. Come lui, esploro temi di resilienza, trasformazione ed elevazione dell’animo umano. Nelle mie opere, combino la fragilità dei materiali con il loro potere simbolico, riflettendo un desiderio di emancipazione personale e collettiva in una società costellata di sfide.
Quali artisti o movimenti ti hanno ispirato nel passaggio dal design di lusso all’arte visiva?
Sono stata sempre affascinata dal linguaggio dell’arte contemporanea, che affronta temi complessi e globali come identità, politica, ecologia e tecnologia. Più che rappresentare, l’arte contemporanea stimola riflessioni profonde, creando esperienze emotive e intellettuali capaci di scuotere lo spettatore.
Come definiresti il concetto di “upcycling umano” e quali sono i suoi messaggi principali?
L’upcycling umano rappresenta una trasformazione interiore: un processo di rinascita che ci spinge a ridefinire il nostro cammino e a riscoprire il nostro potenziale. Come un oggetto può cambiare funzione senza perdere la sua essenza, così anche le persone possono reinventarsi, rimanendo fedeli a sé stesse ma con una forza interiore rinnovata. Nelle mie opere, le gabbie diventano corone: simbolo di un passaggio dalla prigionia alla gloria interiore. Spesso cito l’Idra di Lerna per esprimere il concetto di antifragilità, come descritto da Nassim Nicholas Taleb, ossia la capacità di trarre forza e crescita dalle avversità.
In che modo la fragilità e l’obsolescenza si trasformano in forza e rinascita nei tuoi lavori?
Quando ti senti fragile o obsoleto, hai solo due opzioni: soccombere o rinascere. Le mie opere celebrano questa rinascita, trasformando la fragilità in forza e l’obsolescenza in un nuovo inizio. È un trionfo dell’essere umano contro qualsiasi avversità.
Credi che la metafora degli oggetti obsoleti sia universale o legata a particolari culture o epoche?
La nozione di obsolescenza è universale: riguarda tutto ciò che, superato un certo limite di tempo, viene rimpiazzato da qualcosa di più nuovo e più efficiente. Questo concetto vale per gli oggetti ma anche per le persone, ed è qui che la mia arte denuncia il ritmo frenetico e il consumismo della società moderna, che rende tutto e tutti facilmente scartabili.
Perché hai scelto il collage tridimensionale come linguaggio principale?
Perché il tridimensionale dà vita alle idee: si stacca dal piano e si muove nell’aria, diventando reale. I miei collage tridimensionali creano un’esperienza sensoriale e visiva, culminando in quell’effetto “wow” che cattura e coinvolge il pubblico.
Qual è il processo creativo che segui per trasformare oggetti dimenticati in opere d’arte?
Uso una combinazione di immaginazione, pensiero veloce e l’esperienza tecnica acquisita durante i miei studi in industrial design a Roma. Ogni materiale dimenticato diventa una storia da riscrivere.
Qual è l’impatto che speri di generare con i tuoi workshop?
Spero di trasformare il modo in cui le persone guardano ciò che le circonda, stimolando immaginazione e pensiero critico. Voglio insegnare a vedere valore in ciò che è scartato o trascurato, che siano oggetti o persone.
Hai riscontrato differenze nella reazione del pubblico tra uomini e donne rispetto ai temi che affronti?
Le donne tendono a commuoversi, mentre gli uomini sensibili spesso sorridono, quasi per mascherare il fatto che si sentono toccati. È come se entrassero in uno stato di allerta.
Quali sono i tuoi obiettivi per il tour “Human Being Up-cycling Art”?
Voglio lavorare con persone marginalizzate, quelle che la società considera inutili. Il mio obiettivo è capovolgere questa narrativa: far sì che queste persone creino oggetti utili, generando stupore e riscatto sociale. Il messaggio è chiaro: nessuno è inutile.
Stai lavorando a nuove tecniche o linguaggi artistici per le tue prossime esposizioni?
Sono sempre alla ricerca. In questa esposizione, utilizzo collage tridimensionali, sculture e grandi tele bianche a forma di nicchia, dedicate a Madonne realizzate con cartone riciclato.
Quali eventi personali ti hanno portato a riflettere sul tema della resilienza?
Ho vissuto esperienze che mi hanno piegata e ferita profondamente, ma mi hanno dato la forza di reagire. L’arte è stata il mio strumento di guarigione e il mezzo attraverso cui ho trasformato il dolore in energia creativa.
Come vorresti che il pubblico interpretasse le tue opere: come specchio delle proprie esperienze o come critica sociale?
Le mie opere sono una critica sociale, ma ognuno le interpreta attraverso il proprio vissuto. Sono ricche di simbolismi: dall’iconografia religiosa alla street art, dalle artiste del Novecento alla moda e all’obsolescenza.
Descriviti in tre parole.
Idealista, guerriera, ribelle.