ANNALISA D’ALCONZO

Mi chiamo ANNALISA, ho 43 anni e sono di Taranto. La mia vita è cambiata radicalmente a 18 anni, quando ho dovuto affrontare la perdita di mia madre, venuta a mancare l’anno successivo. Questo evento mi ha costretta a crescere in fretta, ad affrontare responsabilità da adulta e a lavorare per costruire la mia indipendenza. Ho iniziato la mia carriera nel settore immobiliare, un percorso che mi ha impegnata per 15 anni e che ha rappresentato una parte importante della mia vita. In seguito, ho attraversato diverse difficoltà lavorative, tra contratti precari e impieghi in call center, che spesso non garantivano condizioni dignitose. Queste esperienze mi hanno spinta a combattere per i miei diritti e a denunciare situazioni lavorative ingiuste. Parallelamente, ho coltivato una grande passione: la fotografia. Per anni ho lavorato come fotomodella curvy, trasformando questo interesse in una professione che mi ha portata a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia. Purtroppo, nel Sud Italia questo mestiere è spesso sottovalutato e, con la nascita della mia bambina e una recente separazione, ho scelto di mettere da parte questo sogno per dedicarmi completamente a lei e alla sua serenità. Dopo aver affrontato diverse sfide, ho ritrovato la mia dimensione tornando al settore immobiliare. Qui posso lavorare in autonomia, fissare i miei obiettivi e concentrarmi su ciò che desidero davvero raggiungere, senza compromessi. Oggi, sono grata per il percorso che ho affrontato: ogni ostacolo superato mi ha resa la donna determinata e resiliente che sono oggi. Questa versione mantiene il tono personale ma aggiunge una struttura più fluida e professionale. Spero ti piaccia!

IL LIBRO

Un’esperienza di denuncia e resilienza emerge dal racconto di Annalisa D’Alconzo, autrice del romanzo d’esordio Le massaggiatrici. La scrittrice utilizza la protagonista Sofia Luzzu come alter ego per narrare una vicenda personale e controversa: dall’arresto per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione fino al riscatto morale attraverso la scrittura. Annalisa descrive una realtà difficile, iniziata con una denuncia contro il call center in cui lavorava, che l’ha portata a uno stigma sociale: essere “quella che denuncia”. Dopo l’isolamento lavorativo e la precarietà economica, si ritrova a lavorare in un centro massaggi, un contesto che definisce più grande di lei. L’autrice racconta come, per necessità, abbia accettato una realtà che non le apparteneva, fino a essere coinvolta in un’indagine culminata in un arresto che considera profondamente ingiusto. La scrittura del romanzo è stata, per l’autrice, un percorso di riscatto e guarigione, nonostante la difficoltà di rivivere quei momenti dolorosi. Supportata da una scrittrice esperta, Annalisa ha trasformato questa esperienza in un’opera capace di sensibilizzare il pubblico su tematiche legate alla stigmatizzazione e all’incomprensione sociale. Nel romanzo e nelle interviste emerge un messaggio chiaro: giudicare rapidamente senza conoscere le circostanze di una persona può perpetuare ingiustizie. Annalisa, che ha impiegato due anni a scrivere il libro, sottolinea l’importanza di non arrendersi mai, cercando forza nel confronto con gli altri e nella denuncia, specialmente in occasione del 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne. Il suo invito è a non avere paura e a trovare il coraggio di affrontare le difficoltà, anche quando sembrano insormontabili.

Sofia Luzzu, la protagonista del tuo romanzo, quanto è ispirata a te? Ti è servita per prendere le distanze o per comprendere meglio la tua storia?

Sofia Luzzu è l’alter Ego è il mio alter ego, e scrivere per me è stato terapeutico è stato come rivivere il passato, buttare giù il dolore attraverso la penna e ricominciare a vivere.

Raccontare episodi così personali attraverso un libro deve essere stato impegnativo. È stato più un atto di liberazione o hai avuto momenti in cui hai pensato di mollare tutto?

In realtà ci ho impiegato due anni per scrivere questo libro e ci sono stati tanti momenti in cui anche ricordare è stato drammatico però mi sono resa conto che era necessario e che ormai il passato va lasciato lì e va semplicemente attraversato quel dolore per comprendere la tua vita futura che direzione dovrà avere.

Nel romanzo parli di giudizi affrettati e superficialità. Qual è stata per te la critica o il pregiudizio che ti ha ferita di più? E come hai imparato a superarlo?

Per risponderti a questa domanda delle volte è proprio l’opinione popolare, è proprio l’opinione che la gente si fa e le parole che utilizza le offese che ti pone che ti crea dolore che ti crea vergogna. Ho imparato a mie spese e ho imparato con il tempo che alla fine di quello che pensano gli altri non solo non mi interessa niente, semplicemente perché nessuno ha vissuto la mia vita e nessuno ha vissuto il mio dolore e quindi nessuno si può permettere di criticarmi o giudicarmi e il senso di vergogna che ho sempre provato ho imparato a metterlo da parte perché alla fine non c’è niente di cui vergognarsi tutti possiamo commettere degli errori perché siamo tutti degli esseri umani e non per questo deve essere negato il diritto di ricominciare specie dal momento in cui non si è fatto mai del male a nessuno.

Cosa ti ha spinto a decidere che questa storia doveva diventare un libro? Hai avuto un momento in cui hai detto: “Ora lo scrivo”?

Io ho scritto questo libro per dimostrare a che in difficoltà a chi subisce di prendere forza alzare la voce e opporsi perché non si è da soli, quando si ha il coraggio di chiedere aiuto, si apre un mondo di gente che riesce ad essere solidale e che riesce ad aiutarti

Hai mai avuto paura di esporre pubblicamente la tua storia? Se sì, come hai trovato il coraggio per farlo?

Io non ho mai avuto paura di esporre pubblicamente alla mia storia perché finalmente ho avuto la possibilità di raccontare la mia versione quella vera quella che non mi è stata mai dato l’opportunità di raccontare.

Nel tuo messaggio per il 25 novembre inviti le donne a non avere paura e a denunciare. Da dove hai tratto la forza per andare avanti?

Nel mio percorso specie lavorativo, mi sono trovata tante volte sola, prima di solidarietà, abbandonata da tutti. Mi sono ritrovata più volte a fare i conti con la mia coscienza e a ritrovarmi a consolarmi da sola. Diventava difficile confidarmi diventava difficile aprirmi Ecco perché ho trovato nella scrittura l’unico modo per liberarmi da tutto ciò che avevo dentro

Nel tuo percorso, quanto è stato importante il sostegno delle persone vicine o di altre donne? Hai ricevuto solidarietà o ti sei sentita sola?

Denunciare una realtà lavorativa scomoda nel sud Italia non ti porta a essere considerato un eroina Ma ti porta dal mondo lavorativo circostante ad essere considerato una persona infame e una persona che non merita più di lavorare in alcun posto di lavoro. Per questo quindi si viene emarginati e si viene accantonati.

Che emozione provi oggi, sapendo che la tua storia potrebbe aiutare altre persone che vivono situazioni difficili?

Hai avuto riscontri particolari da chi ha letto il libro? Magari qualcuno che si è ritrovato nella tua storia e ti ha scritto?

Io sinceramente, non credevo di avere dopo questo libro tanto supporto soprattutto dalle donne dalle persone che mi hanno conosciuto e che sanno che persona io sia. Ho visto le lacrime sui loro volti quando hanno saputo la verità di tutto quello che mi è accaduto e che per vergogna non ho mai detto.

Descriviti in 3 parole.

Coraggiosa determinata e nonostante tutto ancora fiduciosa e ottimista.

Il tuo più grande desiderio?

Il mio desiderio più grande è quello di vivere una vita in tranquillità con le persone che amo e avere un posto di lavoro che mi garantisca una sicurezza e un benessere economico a me e a mia figlia.

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