ANTONIO MERCALDI – IRON FOODIE

Sono ANTONIO MERCALDI e mi definisco il “CLIENTE PROFESSIONISTA ” perché il mio approccio a questo mondo è da cliente, ma professionista nel senso che ormai giro e mangio da qualche anno e la mia ricerca relativa al mondo Food va dal ristorante, all’artigiano e mi impegna in termini di ricerca, studio e tempo al punto da aver sviluppato quanto meno una buona conoscenza. IRON FOODIE invece molto più semplicemente ho unito una passione per il personaggio della Marvel “Iron Man” e la mia indole da buongustaio, da prima in un tatuaggio che poi ha dato il nome e l’immagine a questa pagina. Questa è la mia passione. La passione per l’enogastronomia che negli ultimi anni mi ha fatto fare tantissime esperienze che hanno sbloccato tanti ricordi felici e né hanno creato di nuovi. E soprattutto ho avuto il piacere e l’onore di conoscere Professionisti e Artisti della cucina e anche chi scrive delle loro storie. Ho avuto e continuo ad avere l’onore di essere invitato ad eventi nel mondo Food in veste di ospite e anche di relatore. Mi è stata data la possibilità di evolvermi e raggiungere un altro obbiettivo e livello nella comunicazione con la collaborazione con delle testate giornalistiche che parlano di Enogastronomia e Territorio. Nonostante non sia più un ragazzino, ho sempre la voglia e la curiosità di crescere e scoprire, di vivere e condividere sempre nuove esperienze.  

Cos’è il “cliente professionista”? Come lo si diventa?

L’appellativo di “cliente professionista” nasce da una storia simpatica. Era il mio primo evento, e partecipai a un talk a cui era presente anche Paolo Marchi, il patron di Identità Golose. All’epoca avevo appena iniziato a condividere le mie esperienze sui social, quindi avevo pochi follower e non ero molto conosciuto. Quando mi fu presentato Paolo Marchi, lui mi chiese cosa facessi e perché fossi lì. Io gli risposi che ero un appassionato di enogastronomia, che mi piaceva andare alla ricerca di nuovi posti dove si mangia bene, e che quindi ero semplicemente un cliente. A quel punto, mi venne spontaneo aggiungere, quasi per scherzo, che lo facevo in modo quasi “professionale”, perché ogni settimana mi dedicavo con costanza a scoprire nuovi locali. Dissi: “Diciamo che sono un cliente professionista”. Questa mia definizione piacque molto a Paolo, e da quel momento decisi di adottare questo appellativo anche nella mia comunicazione sui social e nel descrivere la mia attitudine. Come si diventa un “cliente professionista”? Semplicemente girando, con l’unico scopo di conoscere e provare nuovi luoghi, nuovi sapori, e incontrare professionisti del settore. Si tratta di andare a pranzo e a cena, dal paninaro al ristorante tristellato, con l’atteggiamento del cliente curioso, con la voglia di scoprire e assaggiare. Non con l’intento di diventare un influencer o di trarne un vantaggio economico, ma solo per la passione e il piacere della conoscenza. Questo, per me, è essere un “cliente professionista”.

Come è nata la tua passione per il mondo del Food e quali sono stati i primi passi che hai fatto per svilupparla a un livello professionale?

La mia passione per il mondo del food è nata principalmente in casa, ai fornelli. All’inizio era proprio una passione per la cucina. Dopo una settimana di lavoro e responsabilità legate alla gestione della mia attività imprenditoriale, che porto avanti da molti anni e che è di famiglia da oltre 40 anni, cucinare era il mio modo di rilassarmi. Dopo il ritmo frenetico della settimana, tra clienti, dipendenti e gestione dei mezzi, arrivavo alla domenica con il desiderio di staccare, e la cucina diventava la mia valvola di sfogo. Ho iniziato con piatti semplici e casalinghi, ma poi mi sono avvicinato a ricette più elaborate. Come succede con ogni passione, una volta che ti ci dedichi, inizi a studiare, cercare, leggere, sperimentare. Ho cominciato a replicare piatti di chef stellati, utilizzando ingredienti particolari e tecniche complesse. La domenica, a casa mia, sembrava di essere in un ristorante, anche se creavo un gran caos in cucina! A un certo punto, però, mi sono accorto che andare a mangiare fuori, magari in un ristorante normale vicino a casa, non mi dava più la stessa soddisfazione. Spesso mi capitava di pensare che potevo cucinare meglio io rispetto a quello che mi veniva servito. Così è diventata quasi una sfida: cercare nuovi sapori, nuove tecniche, e esperienze culinarie che io non fossi in grado di replicare a casa. A quel punto, andare in un ristorante dove sapevo preparare gli stessi piatti era quasi una perdita di tempo. Non vedo ancora questo percorso come qualcosa di completamente professionale, anche perché non è diventato un lavoro vero e proprio, né ho un ritorno economico diretto da questa attività. È ancora per quasi il 100% motivato dalla passione e dalla voglia di conoscere e crescere. Certo, ora ci sono dei primi passi verso un approccio più professionale: ho la possibilità di scrivere per due testate giornalistiche, sia recensioni che editoriali, e il fatto che mi sia stata data questa opportunità segna sicuramente l’inizio di un percorso più strutturato. Tuttavia, continuo a vivere questa esperienza giorno per giorno, senza particolari pressioni, soprattutto perché ho già una solida attività imprenditoriale che mi permette di affrontare questa passione con i tempi giusti e con la tranquillità necessaria.

Cosa ti ha spinto a unire la figura di Iron Man alla tua passione per il cibo? Qual è il significato simbolico di questa fusione?

Iron Foodie è nato principalmente da un tatuaggio. Ero alla ricerca di un disegno che rappresentasse le mie passioni. Come molti, c’è ancora una parte di me che è legata all’infanzia, al mondo dei supereroi, e io sono sempre stato affascinato da loro. Però non dai supereroi con poteri sovrumani, perché vincere così è troppo facile. Iron Man, invece, è un uomo particolarmente intelligente, che ha costruito la sua armatura con ingegno e dedizione, e questo mi ha sempre colpito. Quindi, volevo legare questa mia passione, più infantile e legata ai fumetti, con l’amore per il mondo dell’enogastronomia e della cucina. Dopo aver cercato a lungo tra vari disegni e suggerimenti, mi è venuta l’idea di mettere un cappello da chef a un’immagine di Iron Man che avevo visto, e sostituire il suo raggio di luce sul palmo della mano con una stella Michelin, il simbolo per eccellenza della ristorazione. Così è nato il disegno, che è diventato un tatuaggio abbastanza evidente sulla mia spalla. Quando poi dovevo trovare un nome per il mio profilo social, qualcosa che mi identificasse, ho guardato quel tatuaggio e ho capito che quello era il simbolo giusto. A quel punto, ho dovuto solo dargli un nome. Ho pensato di associare la figura del buongustaio, cioè me stesso, a un nickname più social, ed è così che è nato “Iron Foodie”. Non ho mai riflettuto troppo sul significato simbolico di questa fusione, ma ora che me lo chiedi, probabilmente rappresenta il bisogno di unire le mie passioni d’infanzia con quelle più adulte. È stato un modo per far convivere l’Antonio bambino, legato ai supereroi, con l’Antonio adulto, appassionato di enogastronomia, creando così un punto d’incontro tra queste due fasi della mia vita.

Durante i tuoi viaggi e le tue esplorazioni nel mondo della gastronomia, qual è stata l’esperienza culinaria più memorabile e perché?

Tra le mie esperienze culinarie più memorabili, quella che ricordo con più tenerezza e affetto risale a una decina di anni fa, quando, insieme a mia moglie, abbiamo iniziato a esplorare il mondo dei ristoranti, cercando sempre nuove esperienze e i ristoranti più caratteristici. Un giorno, decidemmo di avvicinarci alla cucina stellata e il nostro primo ristorante stellato fu Umami ad Andria, allora guidato dallo chef Felice Sgarra. Ricordo che eravamo emozionati come bambini al loro primo circo. L’atmosfera di un ristorante stellato ci sembrava quasi sacra; ci sentivamo in dovere di muoverci con attenzione, come se fossimo su delle uova. Oltre a questa tensione iniziale, ricordo con piacere gli amuse-bouche e le piccole porzioni che ci furono servite. Ogni assaggio era un’esplosione di gusto e tecnica, del tutto diverso da qualsiasi esperienza avessimo avuto in precedenza, anche nei migliori ristoranti. Oltre a questo primo approccio, ho vissuto altre esperienze straordinarie che considero tra le più belle della mia carriera gastronomica. Per esempio, quando ho visitato il ristorante di Niko Romito, tre stelle Michelin, ho potuto apprezzare il suo approccio innovativo alla cucina vegetale. Da Giuseppe Iannotti, due stelle Michelin al ristorante Krèsios , ho assaggiato la pasta al formaggino più buona di sempre, servito nel piatto di Topolino è rimasto un ricordo giocoso e indimenticabile. Recentemente, sono stato a Piazzetta Milù, 2 stelle Michelin, dove Maicol Izzo ci ha offerto un percorso gastronomico incredibile. In un momento di grande convivialità, ci ha persino portato in cucina per assaporare direttamente dalla pentola il sugo con pezzo di pane, creando un perfetto equilibrio tra la formalità di un ristorante stellato e la familiarità di un piatto casalingo. Infine, non posso noncitare l’esperienza Stellata da Bros’, a Lecce, di Floriano Pellegrino e Isabella Potì, che rimane una delle mie esperienze gastronomiche più significative proprio per le grandi tecniche usate e il gioco sulle acidità e le fermentazioni.

Come selezioni i ristoranti o gli artigiani che visiti? Quali criteri usi per valutare la qualità di un’esperienza gastronomica?

Fino a qualche anno fa le recensioni online erano affidabili, ma negli ultimi anni sono diventate meno autentiche e affidabili. Fortunatamente, ristoranti, attività produttive e artigiani hanno imparato a comunicare meglio sui social, pubblicando video e foto di qualità che mostrano la loro attività e i loro prodotti. Questo permette di farsi un’idea più precisa prima di visitare un locale o un’attività. Inoltre, è importante fare delle ricerche approfondite sulla storia di un’attività, leggendo articoli, recensioni di critici importanti e visitando il loro sito web per conoscerne la storia e il progetto. Trovo utile anche approfondire la carriera e il percorso dello chef, per capire che percorso ha fatto, se ha lavorato con qualche grande nome della ristorazione oppure se ha fatto anche esperienze all’estero. Unendo tutte queste informazioni, si può valutare se un ristorante, un’attività o un produttore meritano di essere visitati, evitando brutte sorprese.

Quali sono i cambiamenti più significativi che hai visto nel mondo dell’enogastronomia da quando hai iniziato il tuo percorso come “cliente professionista”?

Il cambiamento più significativo negli ultimi anni nel mondo dell’enogastronomia è l’approccio a questa professione. In passato, la ristorazione era un’azienda come tante, dove si investiva e i lavoratori svolgevano il proprio compito per lo stipendio. Chi cucinava era semplicemente un cuoco, chi lavorava in sala era un cameriere, spesso un lavoro di ripiego, fatto per necessità. Oggi, invece, si fanno scelte di carriera: si diventa cuochi per comunicare qualcosa, per un progetto, per un’idea di cucina. C’è uno studio dietro. Lo stesso vale per chi lavora in sala: la vede come una vera professione, studia per prepararsi, per conoscere il mondo dei vini, dei cocktail, il modo di servire al meglio. Vengono fatte delle vere scelte professionali, con tanta voglia, consapevolezza e felicità nel comunicare che si fa quel tipo di lavoro. Una cosa che prima non si diceva volentieri. E questo è un cambiamento che mi fa piacere, perché vedere gente che fa un lavoro sì per guadagnare, sì come business, ma che dietro c’è anche un progetto, una realizzazione personale, uno studio, è bello anche per il cliente, per il consumatore che percepisce questi sentimenti, queste cose.

Hai avuto l’opportunità di conoscere molti chef e professionisti del settore. C’è qualcuno in particolare che ha influenzato la tua visione del cibo e della cucina?

Oltre agli chef che ho già menzionato, che hanno sicuramente influenzato il mio modo di percepire la cucina e le esperienze gastronomiche, la persona e il professionista che mi colpisce di più, sia a livello umano che professionale, è Francesco Martucci dei Masanielli. Secondo me, unisce perfettamente entrambe le identità: quella del pizzaiolo e quella dello chef, grazie a una ricerca costante. Chi ha fatto il percorso di degustazione nella sua pizzeria può capire cosa intendo: ogni spicchio di pizza è creato come una vera e propria portata, con abbinamenti e ingredienti che si trovano solo nei ristoranti fine dining di altissimo livello. Qui, invece, li trovi su uno spicchio di pizza. Sul piano umano, Francesco trasmette una passione e un amore genuino per il suo lavoro e per gli ingredienti, oltre a una forza e una caparbietà che lo rendono un imprenditore straordinario. È davvero una persona che ammiro nel mondo enogastronomico. Ci sono stato due volte nella sua pizzeria e ho avuto il piacere di conoscerlo; in questo momento, lui è sicuramente la persona che ammiro di più in ambito professionale nel mondo del food, tra quelle che ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente.

Cosa significa per te partecipare come relatore a eventi nel mondo del Food? Come pensi che la tua prospettiva da “cliente professionista” arricchisca il dialogo in questo ambito?

Trovo davvero gratificante essere invitato come relatore per condividere le mie esperienze in eventi, talk show o interviste come questa. Riconosco che c’è un pizzico di ego in ognuno di noi, e credo che una giusta dose di orgoglio sia del tutto normale. Tuttavia, questa gratificazione deriva principalmente dal riconoscimento di aver sviluppato una certa competenza sull’argomento. È bello vedere che le mie opinioni e le mie esperienze iniziano a avere valore e a comunicare qualcosa di significativo. Questa soddisfazione è ancora più intensa perché è il risultato di un percorso di studio, ricerca e investimento. Vedere che i miei sforzi portano frutti, almeno nell’ambito della competenza, mi riempie di gioia. Credo che la mia esperienza possa essere utile perché proviene dalla prospettiva di un cliente. Non lo vivo come un lavoro da fare, ma condivido le mie esperienze sui social media come un normale cliente che cerca un ristorante o un’esperienza gastronomica. Miro a fornire questa prospettiva in modo che gli altri possano vivere l’esperienza come se fossero lì con me, condividendo il pasto. Questo approccio inclusivo pone chi mi segue allo stesso livello di un normale cliente in cerca di un ristorante o di un’esperienza. Sono convinto che questa sia la marcia in più, la parte della mia comunicazione che può offrire un valore aggiunto.

Qual è il prossimo obiettivo o progetto che vorresti raggiungere nel mondo della comunicazione enogastronomica?

In sostanza, l’obiettivo è simile a quello che ho già raggiunto, ma vorrei realizzarlo in modo sempre più ampio e graduale. Se possibile, mi piacerebbe iniziare a collaborare con testate e guide enogastronomiche di rilevanza nazionale, partecipare a eventi e situazioni di comunicazione dove si ritrovano professionisti e personaggi di alto livello nel mondo del food. Desidero far parte sempre di più di quel mondo. Tuttavia, considero questo aspetto come una parte del mio percorso di crescita, non come un obiettivo finale. È piuttosto una conseguenza naturale se continuo a muovermi in questa direzione e a mantenere determinati standard. Sono convinto che non ci siano problemi nel raggiungere questi obiettivi.

Descriviti in tre parole.

Appassionato. Determinato. Intuitivo.

Il tuo più grande sogno?

Dal punto di vista gastronomico, avere il tempo e le risorse per fare un Tour dei Ristoranti più famosi al mondo partendo da Copenaghen. Più in generale girare il mondo per vedere e conoscere quante più cose possibili.

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