ARIANNA MORTELLITI nasce a Roma il 7 aprile 1987. Frequenta il liceo classico T. Mamiani di Roma e si laurea in Biologia alla Sapienza. Attualmente insegna biologia, chimica e scienze della terra alla scuola secondaria di secondo grado. Dopo un anno trascorso a fianco del nonno Andrea Camilleri in cui lo ha supportato nella scrittura di “Autodifesa di Caino”, primo libro dell’autore uscito postumo, ha deciso di intraprendere la strada della scrittura, affiancandola al lavoro da docente. Il 4 aprile 2022 esce il suo primo romanzo «Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni» (Mondadori) a cui fa seguito, il primo ottobre 2024, «Quel fazzoletto color melanzana» (Mondadori). All’età di 13 anni diventa vegetariana e prosegue fino ad oggi con il medesimo regime alimentare. I protagonisti e alcuni personaggi dei suoi romanzi traggono il nome dai suoi animali domestici, fedeli compagni di scrittura. Entrambi i romanzi, seppur con le loro diversità, affrontano il tema degli affetti e della memoria familiare. Il 12 ottobre 2024 riceve il Premio Internazionale Nino Martoglio.
Come è stato lavorare a fianco di tuo nonno, Andrea Camilleri, per la stesura di “Autodifesa di Caino”? Quali lezioni hai tratto da quell’esperienza che hai portato nella tua scrittura?
Difficile raccontare come sia stato lavorare a fianco di mio nonno in poche righe, probabilmente non riuscirei nemmeno se avessi a disposizione un libro intero. Supportarlo nella scrittura mi ha permesso di conoscerlo sotto un punto di vista nuovo, inedito. Era uno stacanovista, fino alla fine innamorato del suo lavoro, sempre entusiasta di scrivere, raccontare storie, ma anche curioso, desideroso di conoscere le vite degli altri. Grazie a lui ho capito che l’immaginazione non ha confini, che con essa si può correre dove la mente stenta ad arrivare. Altrettanto importante è stato comprendere quanto sia cruciale imparare a mettersi nei panni degli altri, cercare sempre le motivazioni dietro ad ogni azione, provare a scavare nella coscienza delle persone e dei personaggi, così da poterli raccontare intimamente, senza tralasciare le emozioni e i pensieri più reconditi.
Il tuo primo romanzo, “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni”, affronta il tema degli affetti e della memoria familiare. Quanto di personale c’è in questo libro e quali sono stati i momenti più significativi durante la sua stesura?
Ho iniziato a scrivere Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni per provare a scappare dalla razionalità. Mio nonno era stato in coma per un mese e io non potevo smettere di chiedermi che tipo di percezione avesse avuto in quei giorni sospesi tra la vita e la morte. Riusciva a sentire le nostre parole, i suoni dell’ospedale, le canzoni che gli facevamo ascoltare? La ragione non sa rispondere a queste domande, e dunque ho provato a farlo attraverso la fantasia. Mi sono messa nei panni di un uomo in coma e l’ho reso capace di pensare, ricordare, immaginare. Così ho inventato una famiglia, la famiglia di Arturo Baldi. I momenti più significativi sono stati l’inizio e la fine. Partire con la storia, entrare in profondità nella coscienza di Arturo e raccontare la sua vita interamente dal suo punto di vista, senza uno sguardo esterno, senza il narratore onnisciente. Altrettanto difficile è stata la conclusione. Mi sarebbe piaciuto che almeno Arturo potesse risvegliarsi.
Il tuo secondo romanzo, “Quel fazzoletto color melanzana”, esce poco dopo il primo. In che modo questo libro si distingue dal precedente e quali nuovi temi esplori?
Il primo romanzo è una storia corale. Un’intera famiglia riunita al capezzale di Arturo. Ognuno racconta la propria vita, ma con la medesima melodia. In Quel fazzoletto color melanzana Lara, la protagonista, è sola. Ha appena perso i genitori ed è decisa a scoprire la verità dietro l’incidente d’auto che l’ha resa orfana. Al suo fianco c’è la nonna Agnese, che però vuole proteggerla dal dolore e le tiene nascosti alcuni dettagli del suo passato e di quello dei genitori. Si tratta in entrambi i casi di romanzi familiari, ma quest’ultimo è un giallo sui generis. Lara raccoglie indizi, prove e cerca tra gli abitanti di Castel Cielo (il paese in cui è ambientato il libro) possibili testimoni dell’incidente.
Come riesci a bilanciare la tua carriera di insegnante con quella di scrittrice? Trovi che le due attività si influenzino a vicenda?
A volte mi piacerebbe che un giorno durasse 48 ore, ma non potendo incidere sulla rotazione della Terra intorno al proprio asse, cerco di fare tutto svegliandomi la mattina molto presto e incontrando i lettori nel fine settimana, quando non ho le lezioni. L’insegnamento è un lavoro stimolante, mi permette di avere un contatto costante con i giovani, conoscere le loro idee e i loro punti di vista. È uno scambio continuo a cui non potrei rinunciare. Sono sicura che se non li avessi nella mia quotidianità, avrei molto meno di cui raccontare. Io sono un’insegnante di Scienze, quindi le mie lezioni vertono su argomenti piuttosto distanti dalla letteratura. Riesco però a far andare d’accordo scienza e letteratura nei ringraziamenti dei miei romanzi, dove mi diverto a fare paragoni tra scienza e famiglia.
Hai deciso di diventare vegetariana molto giovane. Come questa scelta ha influenzato la tua vita quotidiana e, se è il caso, anche la tua scrittura?
È stata una decisione presa senza troppo pensare. Mi sono impressionata per un piatto che mi hanno portato al ristorante e ho pensato “Vediamo che succede se per un po’ non mangio animali”. Da quel momento non sono mai tornata indietro. I primi tempi è stato difficile, parliamo del 2000, periodo in cui la dieta vegetariana non era ancora molto diffusa. Ricordo che quando andavo al ristorante ero fortunata se trovavo un piatto di pasta al sugo. Nella vita quotidiana non ci sono stati grandi scombussolamenti: a casa il consumo di carne e pesce è sempre stato limitato. Oggi non mi saprei immaginare diversamente, non ci sono più le difficoltà di vent’anni fa e io gioco a scrivere libri che hanno nel titolo gli ortaggi, pur non parlando di cucina.
Nei tuoi romanzi, alcuni personaggi traggono i nomi dai tuoi animali domestici. In che modo la tua vita con loro ha influenzato il tuo processo creativo?
Sono nata e cresciuta tra cani e gatti. Quando sono andata a vivere sola, la prima cosa a cui ho pensato è stato prendermi un gatto. Non potevo immaginare di vivere in una casa senza un animale. Così ho trovato Nina, una bellissima birmana abbandonata, e l’ho portata a casa. Dopo Nina c’è stato Arturo e infine Mivida, che è ancora con me. Tutti e tre compaiono nei miei romanzi. I gatti vanno d’accordo con i libri, amano stare accanto a me mentre leggo o scrivo. Lara, la mia cagnolina quasi quattordicenne, ha dato il nome alla protagonista dell’ultimo romanzo. Anche lei è una trovatella, tirata fuori da una situazione drammatica. Penso che gli animali possano darci molto, insegnarci tanto di noi e della nostra parte più istintiva. Nel raccontare dei personaggi a cui ho dato il loro nome, mi sono ispirata al loro modo spontaneo di affrontare situazioni difficili. In giardino ho anche un piccolo stagno con due tartarughe d’acqua, Cidippe e Santippe, sono certa che anche per loro troverò presto uno spazio nei miei libri.
I tuoi romanzi toccano temi legati alla memoria e agli affetti familiari. Cosa ti spinge a esplorare questi argomenti nella tua scrittura? C’è un evento particolare che ti ha ispirato?
È cominciato tutto con il primo romanzo. Superate le difficoltà iniziali, mi sono trovata a mio agio a far parlare i personaggi dal loro punto di vista. Per raccontare ognuno di loro attingo dalle tante anime che popolano ogni corpo. Scrivo di famiglie spezzate da un dolore, da un trauma o da un segreto che si fatica a tirare fuori. La parte più bella è far trovare ai miei personaggi la forza di andare avanti e di perdonarsi, non solo con le proprie forze, ma anche grazie alla vicinanza della famiglia. Li faccio agire in una maniera che alle volte invidio, do loro strumenti che io riesco a tirare fuori a fatica. Inoltre, credo sia molto importante conoscere la nostra provenienza, capire chi fossero i nostri genitori e i nostri nonni nella loro vita prima di noi. Se ci pensiamo, soprattutto per i nonni, cosa sappiamo di loro? Li abbiamo visti vivere da un certo punto in poi. Cosa erano prima che entrassimo nelle loro esistenze? Mi piace molto indagare questo aspetto, perché ritengo che conoscere il passato della nostra famiglia, sia fondamentale per conoscere noi stessi.
Hai ricevuto il Premio Internazionale Nino Martoglio. Cosa significa per te questo riconoscimento e come ha influenzato la tua carriera?
Ricevere la mail in cui mi veniva comunicato che mi sarebbe stato assegnato il Premio è stata un’emozione indescrivibile. In quel momento mi trovavo proprio in Sicilia per lavoro e sapere che mio nonno aveva ricevuto lo stesso riconoscimento nel 1998 mi ha fatto sentire ancora più vicina a lui. Inoltre, tra i premiati di questa trentasettesima edizione c’era anche Felice Cavallaro, che è al mio fianco dall’inizio di questa mia esperienza da scrittrice. È stato bello condividere un momento tanto importante con lui.
Dopo aver lavorato su un libro con Andrea Camilleri, uno dei più grandi scrittori italiani, senti una certa pressione o aspettative nel portare avanti la tua carriera letteraria?
Il mio modo di scrivere e le storie che racconto sono molto diverse da quelle di mio nonno. La pressione sicuramente c’è, così come la paura che le persone possano fare un confronto tra noi due. Confronto che sono felice di perdere, e ci mancherebbe altro. Dall’esperienza lavorativa con mio nonno cerco di trarre solo il bello. I momenti insieme, gli insegnamenti, le chiacchierate. Quelle giornate sono il regalo più significativo che ho ricevuto e difficilmente possono essere rovinate da pensieri che comunque non hanno motivo di esistere.
Quali sono i tuoi progetti futuri come scrittrice? Ci sono altri temi o generi che vorresti esplorare nei tuoi prossimi lavori?
Sicuramente bisogna concludere la trilogia degli ortaggi. Dopo i peperoni e le melanzane, arriveranno gli asparagi. Come nei due libri precedenti, parlerò di una famiglia che nasconde non pochi segreti. Questa volta saranno protagonisti un attore e sua figlia Penelope.
Descriviti in tre parole.
Impulsiva, sensibile e cocciuta.