ILARIA BUONAIUTO

ILARIA BUONAIUTO è un’attrice, doppiatrice, conduttrice, speaker e insegnante di Dizione e Lettura espressiva. Nasce a Napoli nel 1994 e inizia a fare teatro sin da piccola. Si diploma come attrice al Teatro Totò di Napoli con Annamaria Ackermann, grande attrice eduardiana. Successivamente, studia Mimo corporeo nella scuola diretta da Michele Monetta e Lina Salvatore, I.C.R.A Project (International Centre for the Research of the Actor). Continua a frequentare numerosi corsi, workshop e laboratori di recitazione, approcciandosi anche al cinema, alla conduzione radiofonica, allo speakeraggio pubblicitario e al doppiaggio. Tra i professionisti con cui ha studiato: Lello Arena (incontrato alla prima edizione del C.I.O.E di Napoli) Giancarlo Giannini, Luca Ward, Marco Bellocchio, Davide Iodice, Mimmo Borrelli, Vittorio Matteucci. Laureatasi in Giurisprudenza, ha il suo debutto ufficiale in teatro nel 2019 diretta da Lucio Allocca, suo ex docente di recitazione alla Scuola di Cinema Pigrecoemme. Nello stesso anno, viene selezionata per uno stage all’Accademia del Teatro Bellini di Napoli. Tra il 2020 e il 2021, periodo tristemente ricordato per la pandemia in cui l’arte sembrava essere bloccata su tutti i fronti, scrive, dirige ed interpreta, con l’aiuto di due danzatori, un monologo che poi diventerà una performance di teatro-danza, dal titolo Lovedown, classificandosi terza alla IV edizione del concorso Il nostro personaggio in scena, tenutosi nella città di Pozzuoli nel 2021. Nel 2023, è protagonista per lo spot di MD con Herbert Ballerina, disponibile sulle più importanti tv digitali (Amazon Prime, Mediaset Infinity). Per quanto riguarda il doppiaggio, presta la sua voce per la serie  Nuovo Santa Claus cercasi su Disney+, e il lungometraggio d’animazione Wish, in occasione del centesimo anniversario della Disney. Sempre nel 2023, lo psicologo e saggista Massimo Recalcati la sceglie per realizzare il formato audiobook del saggio La luce delle stelle morte, edito da Feltrinelli e disponibile sulla celebre piattaforma per audiolibri Audible. Nel 2024, è la protagonista sul set di Marianna, cortometraggio a tema ambientale prodotto dalla Vitruvio Enterteinment. Nel frattempo, ritorna a doppiare, con la serie animata Star Wars- I racconti dell’Impero (Disney+), Ghostbusters- Minaccia glaciale (Sony), Thelma l’Unicorno, l’Accademia di Mr Kleks (Netflix) e Inside Out 2 (Disney Pixar). All’attività attoriale, affianca quella pedagogica e didattica, non solo prendendo parte a molti spettacoli di teatro-ragazzi per le scuole, ma anche insegnando Dizione e Lettura espressiva- sia online che in presenza- collaborando con scuole di teatro (Sala Sole di Napoli), scuole di cinema e di doppiaggio (Scuola Cinema Sud, Doppiaggio Sicilia di Palermo) e nei festival (Festival del Libro Aperto- Festival della Letteratura per Ragazzi).

Come la tua formazione al Teatro Totò di Napoli con Annamaria Ackermann ha influenzato la tua carriera di attrice?

Al teatro Totò di Napoli ho mosso i miei primi passi sulle tavole del palcoscenico, essendo stata la primissima scuola di recitazione che ho frequentato. Avevo solo 19 anni: ero una matricola di Giurisprudenza, ma al tempo stesso sentivo la necessità di studiare per il teatro, che mi aveva sempre affascinato e che avevo anche portato come argomento all’esame di maturità. Ma soprattutto, avevo una gran voglia di spaccare il mondo. Sono stati tre anni molto intensi, in cui ho conosciuto moltissime persone e mi sono divertita un mondo: ricorderò sempre con molto affetto i saggi che ho fatto- di cui anche uno spettacolo storico sulle quattro giornate di Napoli- ma soprattutto gli insegnamenti di un’attrice del calibro di Annamaria Ackermann, una vera signora del Teatro. D’altro canto, lei ebbe la fortuna di “crescere” (non solo artisticamente, ma nel senso letterale della parola) con Eduardo. Da lei, ho imparato cos’è un “lazzo”, cosa il “tempo comico”, chi è un attore o un’attrice “caratterista”. Mi chiamava sempre “la mia piccolina”, ragion per cui mi affidò il ruolo di Pupella in una scena di “Miseria e nobiltà” di Scarpetta per il saggio finale del primo anno: un grande classico del teatro napoletano. Un giorno, ricordo che mi prese da parte e mi disse: “Piccolina, sei veramente brava, un’ottima caratterista. Ricorda, le attrici bellissime passano. Invece, l’attrice caratterista non va mai fuori moda.” Vorrei anche ricordare la figura di Salvatore Liguori, purtroppo prematuramente scomparso. Salvatore era il figlio di Gaetano, il direttore del Teatro Totò, che si occupava della segreteria della scuola, ma in realtà era un bravissimo fotografo. Una persona molto a modo, sempre disponibile e attento.

Tra tutte le discipline artistiche che hai esplorato (mimo corporeo, recitazione, doppiaggio, conduzione radiofonica), quale ti ha arricchito di più e perché?

Devo dire che ognuna di queste mi ha appassionato e che tutte, seppur in modo differente, hanno contribuito a formare l’enorme bagaglio che porto sempre dietro in questo affascinante viaggio nel mondo dell’arte. Stanislavskji era solito paragonare l’attore ad un musicista. Il musicista ha, come proprio strumento, il violino, il pianoforte ecc. Ma qual è lo strumento dell’attore? Il corpo e la voce. Dunque, l’attore non fa altro che “suonare” se stesso. Non si possono rendere le sfumature dei sentimenti con un corpo non allenato, esattamente come la delicatezza della musica di Chopin non si può rendere con un trombone. Come non si può suonare la “Nona” di Beethoven con uno strumento scordato, così la voce dell’attore non può essere stonata, o meglio, non “accordata” con il corpo e con le emozioni. E’ tutto collegato. Ed è esattamente per questo, per lavorare sui miei personali strumenti, che ho intrapreso tanti percorsi specifici: il mimo corporeo, lo yoga e la danza per avere una propriocezione, un’educazione scenica e un movimento corporeo che fossero armonici, mentre il canto -che vorrei ricominciare a studiare- e il doppiaggio per lavorare meglio sulla mia tecnica vocale. Ho preso, dunque, tutte queste discipline “micro”, per metterle al servizio di quella “macro” della recitazione. Che è, semplicemente, ciò che andrebbe fatto (ma questo non lo dico io: lo dice Stanislavskji e lo dicono anche altri maestri di teatro!). Per quanto riguarda invece la radio, pure è un campo affascinante che non nascondo mi piacerebbe riprendere: avendo iniziato con i jingle e il doppiaggio di piccoli spot, mi sono cimentata anche nella conduzione, con un programma in cui cercavo di riportare in auge il vecchio “radiodramma”: il Teatro in Radio, per l’appunto. Presentare, che sia per la radio o per spettacoli ed eventi dal vivo, è una cosa che mi diverte tantissimo!

Qual è stata l’esperienza più memorabile nel lavorare con professionisti del calibro di Giancarlo Giannini, Luca Ward e Marco Bellocchio?

Non ho ancora avuto la fortuna di lavorarci professionalmente, ma sono stati degli incontri che hanno senz’altro dato un grosso contributo alla mia formazione artistica, oltre che da un punto di vista umano. Ognuno è stato speciale a modo suo. Giancarlo Giannini l’ho incontrato in occasione della mia prima Masterclass di cinema esattamente dieci anni fa, nel 2014. Ricordo ancora i tantissimi aneddoti che ha raccontato sullo studio delle emozioni di un personaggio per un film, in particolare del suo “Mimì Metallurgico”, ma abbiamo parlato tantissimo anche di teatro e del fatto che lui fosse partito proprio da lì, interpretando lo scoppiettante e pestifero folletto Puck in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare. E’ stato, dunque, il primo incontro che mi ha fatto comprendere l’inevitabile diversità dei due linguaggi, quello teatrale e cinematografico. Luca Ward l’ho conosciuto nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio in occasione di un workshop gratuito: fui selezionata assieme ad altri pochi partecipanti, che avevano la possibilità di recitare un pezzo a propria scelta al leggio davanti a tutti gli uditori e ricevere da lui un feedback personalizzato. Che dire, per me è stata una gran fortuna ed un grande onore, visto che stiamo parlando di un gigante del doppiaggio italiano (che però, nonostante il successo, è rimasto una persona umile). Quando finii la mia esibizione, mi disse: “Tu fai teatro, vero? Beh, si vede. Per fare il doppiaggio è fondamentale partire dal teatro.” L’emozione e la soddisfazione sono state a dir poco immense. Marco Bellocchio invece l’ho beccato, sempre per una Masterclass gratuita, in occasione del CilentArt Fest, un festival che si è tenuto nella splendida cornice della costiera cilentana. Lui era, naturalmente, uno degli ospiti più importanti. Per l’occasione, fu intervistato da Ruggero Cappuccio, il direttore artistico del Campania Teatro Festival, e anche noi partecipanti, dal pubblico, potevamo fargli qualche domanda. Una chiaccherata molto interessante sui suoi film, sugli attori con cui ha lavorato, sui suoi studi da regista e sul cinema in generale. Non ho sufficiente spazio per poter parlare di tutti… ma meritano una menzione anche gli altri professionisti non citati con cui ho studiato: Lello Arena, Vittorio Matteucci, Mimmo Borrelli e soprattutto Davide Iodice, incontrato nella meravigliosa realtà della Scuola Elementare del Teatro, dove a mia volta sono entrata in contatto con altri registi, pedagoghi, drammaturghi, attori e performer di altissimo livello.

Puoi raccontarci di più sulla genesi del tuo monologo “Lovedown” e su come la pandemia ha influenzato questo progetto?

La pandemia è stata, indubbiamente, un periodo triste e difficile per tutti. Il mondo intero sembrava essersi fermato, tutti i mestieri e le professioni artistiche- già non facili da intraprendere in generale- avevano subito una pesante battuta d’arresto. E, in quello stesso periodo, ero reduce da una delusione amorosa. Non potendo uscire, non avendo modo di distrarmi e soprattutto di potermi dedicare al teatro, ricordo certamente che non me la passavo molto bene. Avevo non tanto la nostalgia di quello che era già stato, ma di ciò che sarebbe potuto essere: immaginavo tante coppie di innamorati lontani che non vedevano l’ora di rivedersi (e soprattutto, visto il periodo, di riabbracciarsi) al termine del lockdown, mentre io non avevo più nessuno con cui poter fantasticare tutto ciò. E allora, mi è venuto in mente in primis il fatto che non si deve mai più dare per scontato un abbraccio, un bacio, una carezza. In secondo luogo, ho pensato che la peggiore distanza che può separare due persone non è tanto quella fisica come quella che ci era stata “imposta” in quel momento storico, quanto piuttosto quella emotiva. Ho fatto una riflessione sull’orgoglio e sull’incomunicabilità, una sorta di “lockdown dei sentimenti”, e da qui nacque anche il titolo. Dal semplice monologo, con l’aiuto di due bravissimi danzatori (Giorgia Maiorana e Domenico Petti), ho trasformato questo racconto in una performance di teatro-danza, mescolando musiche classiche, come la “Primavera” di Vivaldi e il “Notturno op. 9 n.2” di Chopin, a quelle di compositori più moderni come Yann Tiersen e Max Ritcher. Portare questo lavoro ad un concorso ed essermi classificata al terzo posto, è stata sicuramente una bellissima soddisfazione, ed anche un modo per uscire vincitrice da un periodo buio, grazie al trio i DanzAttori.

Quali sfide e soddisfazioni hai incontrato nel prestare la tua voce per importanti progetti come “Nuovo Santa Claus cercasi”, “Wish” e l’audiobook del saggio di Massimo Recalcati?

Al doppiaggio e alla lettura di audiolibri mi sono approcciata in tempi più recenti, quindi la sfida più grande è stata senz’altro quella di capire, in breve tempo, il linguaggio del tutto diverso rispetto a quello del teatro e del cinema, a cui ero più abituata. Utilizzare la sola voce, senza il supporto del corpo e della mimica facciale, lavorare nel buio di una sala di doppiaggio o di registrazione, potrebbe sembrare semplice, ma in realtà è molto più difficile di quel che si pensa. Al contempo, è un lavoro gratificante e soddisfacente. Nel doppiaggio in particolare, devi “incollarti” (come si dice in gergo) perfettamente allo schermo, a prescindere se stai prestando voce ad un cartone animato, un film o una serie tv. Nella narrazione di audiobooks, invece, hai la possibilità di sentirti, attraverso le cuffie, “in diretta”. Ragion per cui, essendo molto perfezionista ed autocritica, mi accorgevo subito se sbagliavo qualcosa e mi toccava ricominciare intere frasi daccapo, stando ben attenta che si collegassero bene, a livello melodico, a quanto già inciso. Senza contare che la saggistica è un genere più complesso della narrativa, sia perché non stai raccontando una storia e sia perché non hai la possibilità di giocare con la voce caratterizzando i vari personaggi. Essendo quello di Massimo Recalcati un saggio psicologico su un argomento delicatissimo come quello del lutto, ci voleva un profondo rispetto e una certa dolcezza nell’affrontarlo. Inoltre, anche la terminologia tecnica utilizzata e una varietà di nomi stranieri, mi hanno dato filo da torcere con la pronuncia. Una bella sfida per essere la mia prima lettura ufficiale! Ma vedere i frutti del proprio lavoro, quando sono andata al cinema a vedere “Wish” oppure quando ho ascoltato la mia voce su Audible, mi ha ripagato di tutti i sacrifici fatti.

Cosa ti motiva nell’insegnamento della Dizione e Lettura espressiva e quali sono le differenze principali che noti tra insegnare online e in presenza?

Saper comunicare a mio avviso è fondamentale, e lo è per tutte le professioni, non solo quelle artistiche. Anzi, direi proprio nella vita, in generale! Una pronuncia chiara, esente da regionalismi e difetti di pronuncia, può migliorare in modo considerevole la nostra comunicazione, aiutandoci a rendere i nostri discorsi più fluidi e a coinvolgere maggiormente i nostri ascoltatori. Quando sono partita da allieva, sono sempre stata affascinata dalla materia della Dizione, cosa che ho voluto approfondire anche con il doppiaggio e con la lettura espressiva. E ho sempre cercato di applicarla anche nella vita di ogni giorno, rendendomi conto io stessa di quanto il mio “nuovo” modo di parlare- quasi come se stessi imparando una lingua straniera!- risultasse più piacevole. Per me, andrebbe studiata da tutti i professionisti che parlano in pubblico (compreso chi realizza contenuti video per i social) e in tutte le realtà aziendali. Ma, ovviamente, le prime persone che seguo sono gli aspiranti professionisti del mondo dello spettacolo, insegnando nei laboratori teatrali e nelle scuole di cinema e/o di doppiaggio, oltre che durante le mie lezioni individuali online. Queste ultime, offrono di sicuro una certa comodità e flessibilità a livello di giorni ed orari ed hanno il vantaggio di essere altamente personalizzate, essendo delle vere e proprie sessioni “1to1”. Ma lavorare dal vivo e con un gruppo, come mi capita durante i corsi del laboratorio “Sala Sole” di Napoli, oppure come mi è successo con il “Festival del Libro Aperto”, un festival dedicato alla letteratura per ragazzi, è sicuramente più emozionante: non sono solo loro che imparano da me, ma sono soprattutto io ad imparare qualcosa da loro.

Descriviti in tre parole.

Sognatrice, caparbia, determinata.

Sogno nel cassetto?

E’ una gran bella domanda, dal momento che ne ho più di uno! Ma, se proprio dovessi scegliere… direi che mi piacerebbe creare una realtà tutta mia, dove potermi occupare sia di formazione teatrale, che di produzione di spettacoli da portare in giro. Fermo restando che vorrei continuare a lavorare anche nel mondo del cinema e del doppiaggio.

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