IVAN GUARAGNA

IVAN GUARAGNA, classe ’83, nato a Bari. Fin da piccolo ha sempre avuto un amore per la fotografia: nel 1993, a soli 10 anni, tornò da Roma con 11 rullini da sviluppare, mentre da adolescente si dedicava molto alle foto paesaggistiche. Dopo una formazione scolastica scientifica, si iscrive nel 2001 al corso di Laurea triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche e nel 2007 consegue anche il titolo magistrale in Psicologia dell’Organizzazione e della Comunicazione; e sono proprio gli studi in comunicazione e l’avvio della carriera da fotomodella della moglie a portare Ivan a concentrarsi maggiormente sul genere portrait. “La fotografia è comunicazione, e un semplice ritratto può trasmettere 1000 emozioni differenti”: questo è ciò che Ivan pensa della fotografia ed è anche ciò che cerca da ogni modella (o modello) che fotografa, ovvero riuscire con una semplice foto a far “parlare” il soggetto ritratto in essa. Predilige fotografare persone comuni, principalmente amici, che si prestano per qualche ora a posare per lui; ma la Sua musa principale resta sempre sua moglie, la fotomodella Scarlett Fire. Deve la Sua formazione artistica principalmente a 3 fotografi: Vito Donadei, Davide Narracci e Fulvio Abbattista. Ivan cerca comunque sempre di migliorarsi e di crescere artisticamente, sperimentando nuove pose e nuove tecniche ad ogni occasione, sfruttando ogni ritaglio di tempo che ha a disposizione fuori dall’orario di lavoro.

Come descriveresti l’evoluzione del tuo stile fotografico dal tuo amore iniziale per i paesaggi al focus sui ritratti?

Sicuramente da adolescente mi concentravo principalmente sui paesaggi perché era la tipologia di foto più “semplice” da fare; non intendo dal punto di vista tecnico, ma in termini di disponibilità: i paesaggi sono ovunque, tutto intorno a noi. Dal paesaggio urbano a quello naturale, da quello monumentale a quello astronomico. Inoltre da ragazzo sognavo di girare il mondo, ma ciò crescendo non è mai avvenuto, e quindi l’idea iniziale di fotografare i paesaggi del mondo è andata gradualmente attenuandosi. Per tanti anni ho lasciato la macchina fotografica nel cassetto, ma poi grazie ai social ho scoperto quanto potesse esser bello ritrarre persone. Affascinato dai lavori di Michele Ballarini (che purtroppo non ho ancora avuto la fortuna di incontrare di persona), ho ripreso tra le mani la mia nikon, ma questa volta ho puntato l’obiettivo inizialmente verso mia moglie, e gradualmente verso i miei amici, sperimentando il fascino e la sfida nel ritrarre anche soggetti restii alla fotografia, e il piacere che ne deriva nel vederli soddisfatti del lavoro finale.

In che modo i tuoi studi in psicologia dell’organizzazione e della comunicazione influenzano il tuo approccio alla fotografia, specialmente nella relazione con i soggetti?

Io sono un sostenitore della Scuola di Palo Alto e in particolare del primo assioma della comunicazione: NON SI PUO’ NON COMUNICARE. La fotografia, nonostante la sua staticità, è un mezzo di comunicazione molto forte, e l’obiettivo che mi pongo ogni volta che scatto è proprio quello di cercare di tirare fuori emozioni dalle persone che ritraggo. Non devono essere obbligatoriamente emozioni palesi nell’immagine fotografica, ma anche emozioni durante lo shooting: per me è fondamentale che la persona che in quel momento si trova davanti all’obiettivo debba principalmente divertirsi, e in secondo luogo che riesca a sciogliersi il giusto che gli permetta di proiettare nell’obiettivo le sensazioni che prova in quel momento. Curo molto la relazione con i modelli, in particolare con le ragazze, dove il mio primo obiettivo è quello di farle sentire a loro agio. Cerco di creare un rapporto di amicizia e fiducia, e l’empatia svolge un ruolo fondamentale prima, durante e dopo le sessioni fotografiche. Principalmente scatto con amici, quindi ci sono già fondamenta di fiducia, ma spesso scatto anche con perfette sconosciute (o amiche di amici) e posso dire, con una certa soddisfazione, che nella maggior parte dei casi, dopo lo shooting si sviluppa un bel rapporto di amicizia, e si torna volentieri a fotografare insieme.

Hai citato che un ritratto può trasmettere mille emozioni. Qual è stata l’immagine che per te ha raccontato di più e perché?

Di recente ho voluto provare una fotografia diversa, per così dire più studiata, con la quale potessi trasmettere un senso di tranquillità e di dolcezza, ma con un velo di sensualità. Ho accuratamente scelto la modella per questo progetto, ovvero Francesca Palumbo (mia cara Amica), con cui avevo già scattato in passato, la quale ha un viso molto dolce ma con uno sguardo altrettanto sensuale. Ho chiesto a Francesca di sdraiarsi su un lenzuolo bianco, viso rivolto verso l’alto, i lunghi capelli biondi sciolti intorno alla testa, quasi a creare una cornice intorno al viso, e petali di fiori colorati sparsi tra i capelli. Tra le mani una rosa in tre differenti pose, e io in piedi su di lei con l’obiettivo puntato verso il suo viso. Ecco, questa serie di ritratti sono in grado di trasmettere emozioni differenti in chi li osserva: possono trasmettere dolcezza e serenità ma anche quel pizzico di sensualità che emerge dalla foto in cui Francesca ha gli occhi aperti, e dalle spalle scoperte che fanno credere, all’osservatore, che la modella fosse senza veli (in realtà era completamente vestita). Questa è la foto (o la sequenza di foto), ad oggi, più significativa per me: per il lavoro che c’è stato dietro, la preparazione, la scelta della modella e la complicità che non deve mai mancare tra fotografo e modella.

Cosa ti spinge a prediligere persone comuni come soggetti per i tuoi ritratti? Qual è la sfida più grande quando lavori con chi non è abituato a posare?

Come detto, scatto principalmente con amici, spesso anche per la prima volta davanti ad un obiettivo. Ho scattato anche con fotomodelle (per passione o per mestiere), ma devo ammettere di prediligere la gente comune per l’entusiasmo che portano con loro quando vengono a posare. Ad esempio, la ragazza che ha deciso di diventare una fotomodella, spesso posa in modo distaccato poiché per lei è diventata una routine, e non si riesce a creare il giusto feeling tra il fotografo e la modella. Sia chiaro, non è una regola fissa, dico solo che a volte noto un certo distacco maggiore in “chi lo fa da sempre” rispetto all’entusiasmo della ragazza che pensa solo alla possibilità di avere delle foto fatte per bene “da postare”. A volte è capitato che ragazze che hanno posato per me per la prima volta, poi siano state chiamate da altri fotografi e abbiano deciso di intraprendere la strada della posa fotografica, e questo non può che farmi piacere. Inoltre, spesso durante i miei shooting è presente anche mia moglie, la quale aiuta le ragazze più inesperte nella posa, e quindi entra in gioco la sfida del riuscire a far posare anche chi non riesce a star fermo nemmeno durante una risonanza magnetica…

Qual è stato il contributo più significativo di Vito Donadei, Davide Narracci e Fulvio Abbattista nel tuo percorso formativo?

Da quando mia moglie ha cominciato a posare, io ho cominciato ad imparare. La accompagno quasi sempre agli shooting e quindi ho modo di confrontarmi con i vari fotografi con cui scatta. I tre menzionati sono, infatti, i suoi tre fotografi principali. Vito Donadei per me è di ispirazione per la Sua creatività: ogni suo shooting si trasforma in un’opera d’arte, e spero un giorno di riuscire a realizzare lavori simili ai suoi; l’incontro con Davide Narracci è molto recente, ma mi ha permesso di avere un salto di qualità, insegnandomi nuovi schemi di luci, i quali sono diventati la base da cui partire nei miei set fotografici; infine Fulvio Abbattista, il primo fotografo a farmi da Maestro: con lui ho avuto modo di scattare diverse volte insieme, mi ha dato consigli sulle pose, sui parametri da utilizzare, sulla post-produzione, e ci confrontiamo quasi ogni giorno sulle tematiche inerenti il mondo della fotografia.

Come riesci a bilanciare il tuo lavoro principale con la tua passione per la fotografia? Hai mai pensato di dedicarti esclusivamente a questa arte?

Il mio lavoro principale è molto lontano dalla fotografia; sono un dipendente pubblico, e rispondo alla domanda con una battuta, citando Checco Zalone nel film Quo Vado: “non lo lascio il posto fisso”. Scherzi a parte, lavorativamente parlando ho avuto un percorso molto frastagliato e pieno di ostacoli, tanti lavori precari e sottopagati e il più delle volte mansioni che non avevano nulla a che fare coi miei studi, o comunque con quelle che possono essere le mie predisposizioni. Ho sofferto anche la disoccupazione, ma alla fine, con tanta fatica e sudore, ho conquistato il mio lavoro, quindi non potrei mai lasciarlo per trasformare la mia passione per la fotografia in un lavoro. Preferisco continuare a fotografare per hobby, anche perché mi permette di farlo in modo più spensierato, senza l’ansia del dover riuscire a trarne un guadagno. Vengo ripagato dai sorrisi delle persone che posano per me e dai riconoscimenti quando vedo mie foto finire su riviste, a volte anche in copertina.

Scarlett Fire è chiaramente una figura centrale nel tuo percorso creativo. Come è cambiata la tua visione della fotografia lavorando con lei?

Beh con lei sicuramente ho modo di provare anche generi differenti rispetto alle foto portrait: mia moglie è stata la mia prima modella ed è stata anche la prima con cui ho potuto sperimentare foto di lingerie e nudo artistico; ed è grazie alla sua esperienza e professionalità che riesco poi a riprodurre le pose anche con altre modelle. Per un fotografo è una fortuna avere una fotomodella in casa: ho la possibilità di vedere la fotografia sia dal punto di vista di chi sta dietro l’obiettivo, sia da quello di chi sta davanti ad esso, e ciò mi permette, durante gli shooting, di immedesimarmi nella persona che sto fotografando e di creare il giusto rapporto di empatia.

Qual è una tecnica fotografica o un concetto che stai sperimentando di recente e come pensi che possa arricchire il tuo lavoro?

Da ritrattista, mi piace molto utilizzare schemi di luci che mi permettano di dare un tono differente alla foto. Durante i miei shooting utilizzo sempre dei flash posizionati lateralmente rispetto al soggetto, alternando due flash o uno solo, così da ricreare un effetto più “drammatico” nella fotografia. Per intenderci, quei ritratti dove metà volto è illuminato e metà è in ombra, e tale effetto lo si regola utilizzando eventualmente un secondo flash verso il lato in ombra, per attenuarne la durezza. A ciò alterno l’utilizzo di quelle che vengono definite “gelatine colorate”: nelle mie foto io non utilizzo mai faretti o luci led, ma sempre e solo flash. Quindi quando in una mia foto si vede un fascio di luce colorata che si riflette sui capelli di una modella, o sul viso o sullo sfondo, si tratta sempre di flash con una pellicola colorata applicata davanti. Una bella sfida è trovare il colore più affine alla persona che in quel momento sta posando. Mi piacerebbe però sperimentare l’utilizzo della luce fissa e ampliare l’utilizzo di quella naturale: ciò arricchirebbe sicuramente il mio bagaglio di competenze.

C’è un progetto fotografico futuro che sogni di realizzare, magari che combini la psicologia e la fotografia?

Ad oggi non ho ancora sperimentato la fotografia in urbex, in rurex o la strett photography, soprattutto perché non ne ho avuto occasione, e quelle rare volte che ho fotografato in esterna è stato al mare. Quindi, il mio obiettivo principale di crescita è proprio quello di estendere il mio campo d’azione, di scattare di più in esterna, che possa essere la città, luoghi abbandonati o anche immersi nel verde. L’idea di un connubio tra fotografia e psicologia è un tarlo che ho in testa da quando ho iniziato con le foto portrait: mi piacerebbe fare qualche lavoro che abbia un fine sociale di sensibilizzazione verso tematiche particolari, come possono essere la violenza sulle donne, la tossicodipendenza, il bullismo, ecc. Queste sono appunto idee che aspettano solo di essere realizzate, ma prima voglio crescere ulteriormente nella tecnica fotografica e nella post-produzione, e poi potrò realizzare questa tipologia di lavori.

Se potessi dare un consiglio a un giovane fotografo che vuole specializzarsi nel ritratto, cosa gli diresti?

Sicuramente, di cogliere ogni occasione per fotografare: io agli inizi avevo grosse difficoltà a trovare amici che si prestassero per posare, ma non ho mai mollato e ho continuato a cercare e nel frattempo a crescere tecnicamente. Oggi trovo soggetti molto più facilmente e spesso vengo direttamente contattato da giovani modelle che vogliono ampliare il loro portfolio. Inoltre, vorrei dire a chi magari si affaccia per la prima volta alla fotografia, che non occorre avere attrezzatura da 5mila euro: certo, sicuramente aiuta, ma io in primis cerco di scattare nel modo più economico possibile, perché alla fine si possono realizzare lavori discreti anche con pochi mezzi, l’importante è avere la passione e il desiderio di studiare la fotografia.

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