JARA MARZULLI

JARA MARZULLI nasce nel 1977 a Bari, sin da piccola è affascinata dagli aspetti figurativi umani e si esercita in ritratti a matita e ad acquerello. Si diploma al Liceo artistico di Bari e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Bari con il massimo dei voti e intanto dal 1998 partecipa a mostre e concorsi, ricevendo subito riconoscimenti, premi e importanti selezioni. Il suo stile pittorico figurativo realistico diventa subito riconoscibile e dal 2004 incominciano esperienze di internazionalità tra fiere, biennali ed esposizioni importanti. La sua arte cresce e racconta di un sentire al tempo stesso estatico e carnale, reso ancor più incisivo e toccante dalla perfezione tecnica che contraddistingue l’artista. Una lucida e lacerante qualità espressiva, un’indefinibile purezza che si veste di pittura, un costante gioco di spiazzamenti, di scambi di ruolo tra l’artista che dipinge e il soggetto raffigurato. Numerose sono le Biennali ed esposizioni d’arte prestigiose per le quali espone in Italia e all’estero come in Turchia, alla Fiera Art Taipei, Taiwan, Cina alla Red Elation gallery, Hong Kong, al  Museo MEAM, Barcellona, Dublino, al Museo Maguncia, Buenos Aires in Argentina e a Londra. Le figure di Jara Marzulli hanno sguardi intensi, diretti, frontali. Hanno la dignità di soggetti pronti  a rispondere con grande immediatezza. I personaggi che occupano quasi interamente lo spazio della tela,  riescono a rappresentare visivamente uomini, donne, bambine e bambini che sembrano riconoscere l’osservatore come un estraneo, ne sostengono lo sguardo, lo respingono, lo allontanano da sé per difendere il silenzio del loro prezioso mondo interiore. Le sue opere fanno parte di collezioni private in tante parti del mondo, collezioni museali come ad Atene, a Catania al MacS, nella Pinacoteca di Gaeta e al Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, inoltre sono pubblicate in numerosi cataloghi importanti, riviste cartacee e online di respiro internazionale.

Come è nata la tua passione per l’arte e quali sono stati i primi soggetti che ti hanno ispirato da bambina?
Ho sempre disegnato fin da quando ero piccola, i miei genitori conservano ancora disegni in cui li ritraevo mentre dormivano. Mi affascinava, come ancora oggi, scrutare i tratti espressivi e cogliere il mistero della vita attraverso i dettagli e la risposta imperfetta e varia dell’essere umano. Cogliere quell’attimo della persona, da cui prendevo spunto, era diventato il mio modo di comunicare al mondo la meraviglia e lo stupore di ciò che osservavo.

Hai conseguito il massimo dei voti all’Accademia di Belle Arti di Bari: come ha influenzato il tuo percorso formativo la tua visione artistica?

Un po’ introversa e sulle “mie” posizioni anche in Accademia, ho vissuto quegl’anni con una leggera frustrazione, perché non c’era la possibilità di avere un buon insegnamento pittorico, ma la prima cosa che feci era stata attaccare una bella tela grande sul muro dell’aula e sperimentare cosa c’era oltre l’aspetto meramente figurativo per andare sul simbolico e alla ricerca di un linguaggio potente che riguardasse l’aspetto anche carnale. Mi ritrovai a confrontarmi con studenti che avevano la mia stessa sensibilità sul cogliere l’essere umano negli aspetti più profondi, con uno stile che si affacciava dall’espressionismo al realismo su grandi dimensioni.

Il tuo stile figurativo realistico è subito diventato riconoscibile: cosa ha contribuito a formare questa cifra stilistica e quali sono gli artisti o i movimenti che ti hanno maggiormente ispirato?

Partendo dallo studio del colore in tutte le sue variazioni tonali, esercitandomi a coglierle ritraendo dal vero, seguendo le orme delle opere della corrente impressionista, poi ho continuato ad andare oltre, preferendo destrutturare un po’ la figura, innamorata di quell’aspetto che s’affacciava all’espressione  erotica e del colore di Schiele o di Klimt. Lo stacco è avvenuto intorno al 2004 con il voler invece rappresentare le mie scene ritualistiche con un realismo fotografico e teatrale che doveva avere un forte impatto con il pubblico, ero fortemente influenzata dall’iperrealismo americano ma al contempo rimanevo comunque ancorata al classicismo di Michelangelo e Caravaggio.

Dal 2004 hai iniziato a esporre in contesti internazionali. C’è una mostra o un evento all’estero che per te è stato particolarmente significativo?

Sembrerà poco sostanziale ma la partecipazione alla Biennale dei Giovani del Mediterraneo a Napoli e la conseguente collettiva d’arte nella galleria Akban Sanat in Turchia mi aveva permesso di interfacciarmi con giovani artisti e artiste provenienti da vari Paesi e che operavano con varie discipline fra video, installazioni e performances che hanno permesso di ampliare la mia conoscenza e a determinare il mio stile, sebbene pittorico ma che includeva le varie visioni. Mi è difficile stabilire quale sia stato l’evento più importante nella lista, sono una eterna insoddisfatta e molto critica nell’ambito artistico.

I tuoi soggetti sono spesso intensamente frontali, con sguardi profondi e diretti. Che cosa desideri trasmettere attraverso questi ritratti intensi e quasi “difensivi”?

Gli sguardi nelle mie opere sì sono spesso frontali e sottopongono lo spettatore e spettatrice ad una profonda introspezione e riflessione, perciò possono mettere a disagio o coinvolgere interamente la persona attraverso l’immedesimazione e un processo esperienziale che tocca parti sensibili di se stesse/i, talvolta suscitando un rifiuto. La maggior parte delle figure sono donne, certo, non solo, ma non essendo rappresentate con aspetti convenzionali di bellezza né erotici e né dolci parlano forse più del dovuto alle coscienze, appartenenti ad una società piena di retaggi culturali. Si esprimono gli sguardi ma anche corpi preponderanti e potenti, sono dettagli mai scontati e che scuotono di conseguenza l’anima.
Se ci ricordiamo, in alcune performances, dalla sola fissità dello sguardo di Marina Abramovic sono scaturite le emozioni più disparate, dal pianto alla rabbia.

Nelle tue opere, esplori spesso il rapporto tra l’artista e il soggetto rappresentato. Come riesci a mantenere una certa distanza narrativa dal soggetto, e cosa rappresenta per te questa dinamica?

Le persone che scelgo di far posare per me sia che le conosca o meno, interpretano ciò che vorrei comunicare e questo è un dato di fatto del ruolo dell’artista, ma proprio attraverso questa esperienza io attingo da loro sfaccettature che raccontano punti di vista inconsapevoli della o del protagonista nella scena. Quindi è una esperienza coinvolgente da entrambi le parti, per cui non penso aldistacco, ho forse la presunzione di poter creare un collegamento narrativo dai cui potrebbero verificarsi scoperte o idee lontanedalle aspettative iniziali. Faccio tesoro della bellezza di chi posa per me e ne sono grata.

La tua arte è stata esposta in luoghi prestigiosi in tutto il mondo. Come pensi che la tua opera venga recepita in contesti culturali differenti e come ti relazioni con il pubblico internazionale? Hai opere in collezioni museali e private, come al Vittoriale degli Italiani e nella Pinacoteca di Gaeta. Come vivi il fatto che il tuo lavoro venga custodito in luoghi di tale importanza?

Non credo che le mie opere siano esposte in tutto il mondo ma in varie parti del mondo sì, molte appartengono a collezioni private oltre che museali, penso che chi sceglie il mio lavoro si innamori delle particolarità simboliche contenute, oltre che del realismo e della tecnica, quindi il confronto diventa molto interessante in un panorama vastissimo artistico. Non sono semplici ritratti ma comunicano messaggi significativi con dei concetti insiti nella costruzione della scena perciò creano curiosità nel pubblico. Che le mie opere vengano custodite in luoghi pubblici e possono essere osservate da un pubblico internazionale ha molta importanza per testimoniare il mio percorso e per lasciare la mia visione e condivisione al mondo.

La tua espressione artistica è stata descritta come una fusione di estasi e carnale. Come riesci a bilanciare questi due aspetti apparentemente contrapposti nella tua produzione artistica?

L’estasi e la carnalità vanno di pari passo, c’è connessione fra la percezione del corpo e l’aspetto che va al di là della fisicità, oltre la finitezza c’è il “pensiero” che ci rende non banali e ci pone in una condizione che non si ferma al momento che stiamo vivendo. Partiamo dal fatto che l’emozione attraversa la carne, i sensi, il corpo, come l’estasi di Santa Teresa del Bernini ci porta a creare un collegamento con una sensazione piuttosto orgasmica prima e spirituale dopo, così un nudo femminile di Schiele ci fa pensare ad un erotismo intenso prima e all’idea della morte dopo. Carne-emozione-pensiero sono tre pianeti congiunti importanti per il mio studio.

Quali progetti o sperimentazioni future hai in mente per la tua carriera artistica, e c’è un tema che senti il bisogno di esplorare in modo più approfondito nelle tue prossime opere?

La mia carriera ha attraversato periodi diversi e di cambiamento però adesso ho la sensazione che non basta una vita per sperimentare e il tempo fugge e si stringe quindi devo meditare di più sulla scelta su cui dover lavorare e a volte questo mi blocca. Non voglio raccontare di un’artista sempre pronta a performare in un modo che va veloce, si trasforma e ti sottopone a riflettere sull’artificiale, dove tutto e a portata di mano, dove animano i quadri degli antichi perché abbiamo bisogno di andare su più piani della realtà.
Io scelgo ancora e comunque l’unicità del gesto pittorico, perchè è un passaggio e una elaborazione mai ripetitiva. Da poco ho incominciato a realizzare il primo dipinto su studi fotografici molto interessanti, dove ho tolto del tutto panneggi decorati o simboli particolari, nel ritorno di corpi abbandonati nella propria carnalità, naturalità e bellezza, in sguardi dove ancora descrivono la fragilità e la potenza dell’umano al di fuori delle circostanze critiche che stiamo vivendo. Le figure sono sempre protagoniste in luoghi sempre indefiniti ma con elementi che rimandano all’unione con la natura e con la Terra, come nidi primari in cui rifugiarsi e interrogare il presente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *