MASSIMO SANTORO

MASSIMO SANTORO, nato il 2 dicembre 1969, è uno chef di professione, anche se le sue competenze lo hanno portato a diventare Executive Chef. Ha vissuto una vita nomade nelle cucine di tutta Italia, acquisendo conoscenze che soddisfano la sua curiosità e il suo ego. Ha riscoperto le radici del cibo e degli orti nove anni fa presso l’Oasi di Galbusera Bianca (Lecco). È tornato in Puglia, alle radici dei suoi sentimenti, sette anni fa a Le Carrube, Masseria a Ostuni.

Cosa ti ha ispirato a diventare uno chef e qual è stato il tuo percorso formativo e professionale?

La mia scelta di diventare chef è stata casuale, un vero colpo di fulmine. Come spesso accadeva in passato, la mia famiglia aveva già deciso il mio futuro, lavorando con mio cognato, un architetto. Frequentavo il primo anno di scuola per geometri, ma mi ritirai, non era il mio mondo. Per punizione fui mandato a lavorare come aiutante in un ristorante, e una volta entrato in cucina, capii che non l’avrei mai più lasciata.

Qual è la tua filosofia culinaria e come si riflette nei piatti che crei?

Da giovane, mi recai a Parigi per apprendere la nouvelle cuisine, pieno di entusiasmo. Tuttavia, nonostante la mia abilità, mi fu subito chiaro che tutti desideravano che cucinassi italiano. Capì rapidamente di essere nato in un luogo meraviglioso, con conoscenze invidiate da molti. Decisi di prendere solo ciò che era necessario dalla nouvelle cuisine per migliorare ciò che era già eccellente. Tornato in Italia, mi sono dedicato a valorizzare i prodotti del territorio, creando ricette ispirate alla cucina tradizionale italiana, semplice e appagante. Non rinnego mai l’evoluzione, ma credo fermamente che ci si possa evolvere solo dopo aver formato radici profonde.

Puoi descrivere la tua routine quotidiana in cucina e come gestisci il lavoro durante i periodi di maggiore affluenza?

La mia routine, rispetto a molti altri chef, è relativamente tranquilla. Credo fermamente che la prima cosa da fare in cucina sia formare una squadra capace, equilibrata e coesa, alla quale poter delegare con fiducia alcuni dei propri compiti. Questo non solo mi alleggerisce, ma gratifica anche la mia brigata, permettendo loro di imparare. I miei collaboratori mi apprezzano, cercano di non deludermi e raramente lo fanno. Quando il lavoro diventa intenso, cerco semplicemente di distribuirlo equamente, in modo che nessuno debba sopportare un peso eccessivo.

Quali sono le principali sfide che affronti come chef e come le superi?

Un mio vecchio maestro mi diceva sempre: “delegare è peggio che fare”. Questa è la sfida più ardua che affronto ogni giorno. Cucinare per me è ormai una seconda natura, ma far comprendere ai miei collaboratori quale risultato desidero è la parte veramente complicata. Non mi riferisco solo allo staff di cucina, ma anche al mio contadino, al quale devo spiegare come voglio che sia una zucchina, e ai camerieri, che devono sapere come presentare e raccontare i miei piatti. Questa è la parte più complessa se si vuole raggiungere una qualità che faccia la differenza.

Qual è il piatto o la creazione culinaria di cui sei più orgoglioso e perché?

“Melanzana brasata, passata di pomodoro verde, cacioricotta di capra e clorofilla di basilico”. Da bambino, avevo due piatti preferiti: le melanzane al funghetto di mia madre e i pomodori verdi soffritti in padella di mio padre, serviti su una bruschetta. Un giorno, ripensando a loro, ho unito queste due preparazioni in una ricetta contemporanea. La melanzana, senza buccia, è brasata velocemente e posata su una passata di pomodoro verde liscia, arricchita con olio extravergine d’oliva. Il tutto è accompagnato dal ricordo del formaggio di capra di mio nonno e dal basilico che mia madre coltivava sul balcone. Quando ricevo complimenti per questo piatto, mi commuovo.

Come scegli e sviluppi un tuo menu?

Questo è uno degli aspetti più belli e importanti del metodo che ho sviluppato a Le Carrube. Serviamo esclusivamente un menù degustazione di sei portate, deciso ogni giorno alle 15.30 sulla base di ciò che il contadino ha raccolto la mattina nell’orto. Prepariamo tutto il menù in cucina, inclusi panificazione, paste fresche e pasticceria, esclusivamente per chi ha prenotato. Finiamo tutto e il giorno dopo decidiamo un nuovo menù, ricominciando da capo. Questo è il nostro modo di restare fedeli allo spirito della masseria: autoproduzione, consumo responsabile e sostenibilità. Valorizziamo tutto ciò che il luogo può offrire, producendo olio, farine di semola e di grano, raccogliendo erbe selvatiche e persino le pale di fico d’india. Abbiamo un frutteto esteso. Le masserie sono luoghi storici, e questo è il nostro modo di conservare l’anima antica di Le Carrube.

Quali sono gli ingredienti o le tecniche che preferisci utilizzare e perché?

Preferisco utilizzare gli ingredienti del nostro orto, anche se, essendo un ristorante, dobbiamo diversificare la nostra offerta. Circa il 20% degli ortaggi e delle verdure proviene da produttori locali o regioni vicine. Per formaggi, miele e prodotti a base di carruba, scelgo fornitori con certificazione biologica che salvaguardano il benessere degli animali. Utilizzo tecniche sia semplici, sia complesse, sempre finalizzate a ottenere piatti appaganti e contestuali alla masseria. Ad esempio, mi piace cuocere sotto sale, sotto cenere, a bassa temperatura sottovuoto, o usare il sifone. Scelgo il metodo di cottura o la tecnica in base all’idea di ricetta che ho sviluppato.

Quali consigli daresti a chi vuole intraprendere una carriera nel mondo della cucina professionale?

Ai miei allievi, che ora hanno fatto carriera, sono noto per scoraggiarli inizialmente, rendendoli subito consapevoli delle difficoltà di questo lavoro: le festività e i fine settimana trascorsi in cucina, la fatica fisica, l’assenza costante nella vita dei propri cari. Viviamo al contrario degli altri: le loro feste sono il nostro lavoro e il nostro tempo libero non coincide mai con quello delle persone a noi care. Il primo consiglio che do è di scegliere subito se intraprendere questa carriera con serietà, accettando i sacrifici necessari.

Descriviti in tre parole.

Curioso, passionale, empatico.

Quali sono i tuoi progetti o obiettivi futuri?

Il mio obiettivo futuro è andare in pensione, naturalmente dopo aver piantato una vigna, messo gli alveari e piantato alberi di ciliegio a Le Carrube. Oppure ricominciare tutto da capo, per farlo ancora meglio.

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