Matteo Pedone, nato a Bari il 22 maggio 1976, è un attore, regista e sceneggiatore italiano. Ha iniziato la sua carriera sotto la guida di Mino Barbarese, partecipando a fiction, film, sitcom e spot pubblicitari. Successivamente ha perfezionato le sue abilità conseguendo il diploma in recitazione all’Acting Level 3 con la Texlearn Academy di Londra. Nel corso della sua carriera, ha recitato in numerosi film e serie televisive, collaborando con registi di rilievo e cimentandosi anche nella regia di diverse produzioni. Tra i suoi lavori più noti figurano “Spietati”, “E’ Stato il Figlio”, “Il Commissario Spiedone” e “IT’S Time”. In televisione, è apparso in programmi popolari come il “Maurizio Costanzo Show” e “Avanti un altro”. A teatro ha diretto spettacoli come “Spiedone & Friends” e “Donna se’ tanto grande e tanto vali”. Ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il premio come miglior attore emergente nel 2009 e, più recentemente, un premio come regista e attore protagonista per la fiction “IT’S Time” al International Film Festival di Londra. Vive a Bedford, in Inghilterra, con la moglie Elda e le figlie Annamaria e Ludovica; quest’ultima sta seguendo le orme paterne, distinguendosi come attrice, cantante e ballerina.
Qual è stato il momento decisivo che ti ha spinto a diventare attore e regista?
Il momento decisivo? Diciamo che è stato un mix di ispirazione e istinto. Non c’è stato un singolo episodio, ma una serie di esperienze che mi hanno fatto capire che raccontare storie, far ridere e trasmettere emozioni era ciò che volevo fare. È stato un po’ come se un giorno qualcuno mi avesse detto: “Vai, tocca a te!” — e da lì non mi sono più fermato.
Come ha influenzato la tua carriera la collaborazione con Mino Barbarese?
La collaborazione con Mino Barbarese è stata fondamentale per la mia crescita artistica e personale. Lavorare con lui in fiction, pubblicità, spettacoli teatrali e spettacoli di piazza è stato un vero e proprio master sul campo. Da lui ho imparato tantissimo, non solo a livello tecnico, ma anche umano. Mino era un maestro, ma anche un compagno di vita: con lui ho condiviso momenti dentro e fuori dal palco. Ogni conversazione con lui era una lezione di teatro e di vita. Aveva sempre la battuta pronta, ma anche una risposta profonda quando serviva. È stato un esempio di bravura e umanità, e da lui ho imparato che un attore non si limita a recitare, ma trasmette emozioni che lasciano il segno.
Qual è il progetto a cui sei più legato tra quelli che hai diretto o interpretato?
È difficile sceglierne uno solo, ma sicuramente FLICK & LULÙ dove ho collaborato con la sceneggiatura insieme a Carmen Trigiante che ha diretto anche la Regia occupa un posto speciale nel mio cuore. È un progetto che parla di rispetto e amore per gli animali e affronta il tema dell’abbandono, un argomento che mi sta molto a cuore. Un altro progetto che porto nel cuore è L’ARIAMARA, perché è stato il mio primo amore artistico. In quell’esperienza ho avuto l’opportunità di lavorare con i talenti di Bari e della Puglia che avevo ammirato per anni come spettatore, fino a diventare io stesso uno di loro. Infine, non posso non citare FINO ALL’ULTIMO BATTITO, dove ho avuto l’onore di lavorare accanto a Marco Bocci e Fortunato Cerlino. È stata un’esperienza professionale straordinaria, che mi ha arricchito molto sia sul piano artistico che umano.
Com’è stata l’esperienza di studio con la TexLearn Academy di Londra?
L’esperienza con la TexLearn Academy è stata davvero formativa e indimenticabile. Quando sono arrivato a Londra, non conoscevo nemmeno una parola d’inglese, quindi all’inizio mi sentivo un po’ come Totò e Peppino in trasferta. Fortunatamente, c’era un attore bilingue che mi ha aiutato con la traduzione e mi ha guidato nei momenti di difficoltà. È stato un vero salvatore. Lo studio è stato impegnativo, ma anche incredibilmente stimolante. Proprio grazie a quell’esperienza, ho avuto l’opportunità di maturare competenze sia nella recitazione che nella regia, e questo percorso mi ha portato a conseguire un diploma di livello 3 in Acting. È stata una sfida tosta, ma anche una delle soddisfazioni più grandi del mio percorso artistico. Insomma, è stata l’avventura di un pugliese atterrato a Londra che, tra mille gaffe linguistiche, alla fine ce l’ha fatta!
C’è un ruolo che sogni ancora di interpretare, magari lontano dai tuoi personaggi abituali?
Mi piacerebbe affrontare ruoli che mi spingano a superare i miei limiti e ad esplorare la complessità umana in tutte le sue sfaccettature. Interpretare personaggi con sfide difficili, come una persona che affronta una malattia grave o una condizione complessa come l’Alzheimer in giovane età, sarebbe una sfida straordinaria. Vorrei immergermi in storie che richiedano una profonda comprensione e che possano provocare riflessioni nel pubblico.
Come bilanci il lavoro di attore, regista e sceneggiatore nelle tue produzioni?
Bilanciare questi ruoli è come fare il giocoliere con tre palle infuocate: richiede attenzione, ritmo e tanta passione. Quando scrivo una sceneggiatura, cerco sempre di immedesimarmi anche nel regista e nell’attore, in modo da capire fin da subito cosa funziona e cosa no. In fase di regia, invece, cerco di staccarmi per quanto possibile dal ruolo dell’attore, così da mantenere uno sguardo oggettivo e attento alla coerenza del progetto. Infine, quando indosso i panni dell’attore, provo a dimenticare di aver scritto quella scena, per viverla come se fosse la prima volta. Diciamo che il segreto è tenere ogni ruolo ben separato… ma sempre con un occhio sull’insieme.
Quali sono state le sfide principali nel dirigere la fiction It’s Time?
La fiction It’s Time è stata una delle sfide più complesse e soddisfacenti della mia carriera. La difficoltà principale è stata la distanza: vivendo in Inghilterra, mentre Michele Creanza, con cui ho co-diretto il progetto, seguiva le riprese dall’Italia. Ogni mese dovevo tornare in Puglia e in Campania per le registrazioni. Non è stato semplice gestire tutto, ma la determinazione e la passione per questo progetto ci hanno permesso di superare ogni ostacolo. Alla fine, ce l’abbiamo fatta e il risultato ci ha ripagato di tutti gli sforzi.
In che modo la vita a Bedford ha influenzato la tua visione artistica?
La mia esperienza a Bedford ha cambiato molto il mio approccio al lavoro. Dopo il Covid, viaggiare è diventato più difficile e questo mi ha portato a concentrarmi su progetti più locali. Paradossalmente, da quando vivo in Inghilterra, collaboro ancora di più con l’Italia! Lavoro spesso con aziende italiane presenti qui nel Regno Unito, girando spot pubblicitari e partecipando a progetti che mescolano cultura italiana ed esperienza internazionale. Questo mi ha aiutato a diversificare la mia visione artistica, rendendola più ampia e aperta a nuovi linguaggi.
Qual è il messaggio principale che cerchi di trasmettere attraverso i tuoi film e spettacoli?
Cerco sempre di trasmettere un messaggio positivo. Nelle fiction di stampo drammatico, voglio che il bene trionfi sempre, specialmente in storie che trattano temi delicati come la mafia o la criminalità. Nella comicità, invece, voglio regalare un sorriso. Credo fermamente che far ridere sia più difficile che far piangere, ed è proprio per questo che mi impegno tanto in questo genere.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Ah, il mio sogno nel cassetto… Beh, il problema è che il cassetto è chiuso a chiave e mia moglie ha nascosto la chiave! Scherzi a parte, ho un progetto importante a cui sto lavorando da tempo. È qualcosa di molto personale e significativo, quindi preferisco tenerlo per me… almeno finché quel cassetto non si apre da solo!
Descriviti in tre film.
• L’allenatore nel pallone di Lino Banfi, perché rappresenta la mia passione per la comicità genuina e l’amore per le mie radici pugliesi.
• Il Commissario Spiedone, perché incarna il mio impegno nel raccontare storie che uniscono ironia e tematiche sociali importanti.
• C’era una volta in America, perché adoro le storie epiche di vita, sacrificio e riscatto, e credo che ogni artista debba saper raccontare anche i lati più complessi e profondi dell’esistenza umana.


