NICOLA DE DOMINICIS

NICOLA DE DOMINICIS Classe 1985, è Social Media Menager per l’agenzia di comunicazione e marketing Never Before Italia. Ha pubblicato raccolte di racconti e poesie con Les Flaneurs Edizioni e Giacovelli Editore. Tiene laboratori di scrittura creativa per associazioni culturali, ed è editor libero professionista. Ha partecipato a diversi concorsi letterari vincendo, in particolare, nel 2023 il premio speciale Città di Bari nell’ambito del premio internazionale Seneca.

Quando hai scoperto la passione per la scrittura?

Da ragazzo. Al liceo ci proponevano spesso di partecipare a dei concorsi di poesia. Io accettavo un po’ per mettermi alla prova e un po’ per curiosità. Solo che poi, passate quelle prime esperienze, la voglia di scrivere mi è rimasta addosso. Mi sono reso conto che scrivere aveva per me qualcosa di terapeutico, liberatorio: era una fuga. Poi ne ho fatto un percorso di studi e oggi è un mestiere a tutti gli effetti. Ma è iniziato tutto così: dei piccoli concorsi di poesia. Anzi, ricordo il primo: La festa del Mare. Era il lontano 2004, il tema era appunto il mare, un tema immenso. Dovevo scrivere del mare fisico, naturale, e stavo invece scoprendo la possibilità di raccontare il mio mare interiore. Credo di non aver mai smesso di affrontare quell’unico tema. Io racconto il mare che porto dentro.

Quali sono i temi o i motivi ricorrenti nelle tue raccolte di racconti e poesie pubblicate con Les Flaneurs Edizioni e Giacovelli Editore?

Quel mare interiore di cui ho detto per la poesia, e la ricerca fantastica per la narrativa. Aldo Palazzeschi, scrittore che insieme a Calvino reputo mio maestro di scrittura, era solito dire che oggi (Lui parlava della seconda metà del 900) a molti autori manchi la fantasia, cosa assurda per chi deve inventare storie di professione. Eppure, è spesso così. Spesso si leggono romanzi che non raccontano niente, ma dove la storia è soltanto un pretesto per affrontare temi di attualità, di impegno sociale o di carattere amoroso. Ebbene questo impoverimento fantastico, a mio avviso, decreta la morte stessa della letteratura in prosa. Siamo scrittori, non giornalisti, sono mestieri assai differenti. Sia chiaro, per me la fantasia non è mera evasione dalla realtà. Tutto il contrario. La fantasia mi permette di affrontare i temi del nostro tempo con un approccio più fresco, immediato, contro deduttivo. Ad esempio, in un racconto del mio ultimo libro, Questo taccuino, parlo dell’invasione di massa che ogni anno città come Monopoli, la mia città, subiscono a opera del turismo più selvaggio. Avrei potuto scrivere un testo di inchiesta, fortemente descrittivo, raccogliere testimonianza. Invece no. Ho pensato a una contro invasione della Natura che si ribella al turismo selvaggio imponendo uno scoppio di bellezza nella crescita miracolosa e frenetica di orchidee fino a sommergere un intero borgo del Mediterraneo. Anche per la poesia agisce in me una componente fantastica. Emozioni e minimi pulsioni trovano voce nel dettato poetico attraverso immagini metaforiche che raccontano sempre una storia in versi. Quale storia? Appunto quella del mio io, che viene così fotografato dai versi nel fermento continuo della sua vita. Ogni poesia è una foto scritta della mia anima attraverso la fantasia del verso, e una raccolta poetica come L’estraneo perfetto, diventa infine l’album fotografico di un’intera vita interiore. 

Cosa ti ha ispirato a iniziare i laboratori di scrittura creativa per associazioni culturali, e quali sono gli obiettivi principali di questi laboratori?

Sono da sempre ostile all’idea convenzionale secondo cui l’arte è un dono: o ce l’hai o niente.  Questo mi ha inspirato. Indubbiamente esistono delle predisposizioni naturali, come per qualsiasi attività umana, eppure ciò non toglie “la gavetta” di imparare l’arte. L’arte si impara, si studia secondo modelli, regole e convenzioni. Poi l’artista può decidere di mettere in discussione, o persino negare in toto, i principi del suo apprendistato artistico, ma non si può mettere in crisi, o persino distruggere, la tradizione senza prima averla ben conosciuta e fatta propria, altrimenti si cade nella maschera dei finti rivoluzionari senza nessuna vera competenza artistica; e mi permetta fin troppi ce ne sono oggi nel mondo dell’editoria di queste maschere. Ecco, io credo nella scuola dell’arte, e cerco di fornire ai miei studenti dei solidi principi narratologici, metrici, retorici e comunicativi che costituiscono da sempre la cassetta degli attrezzi di ogni autore. So che secondo alcuni letterati i laboratori di scrittura creativa hanno provocato un appiattimento nei modi del narrare, insterilito le strutture dei racconti. Sono d’accordo con loro in parte. Ma ribadisco come un laboratorio di scrittura creativa possa solo fornire strumenti tecnici, mentre tocca poi all’artista usare questi strumenti nella maniera più unica e personale possibile. Egli deve scoprire la sua voce di scrittura e sua soltanto. Io cerco di aiutare ogni aspirante autore a scoprire quella voce.

Puoi descrivere il processo e le sfide che affronti come editor libero professionista nel lavorare con autori e testi diversi?

Le sfide sono gli autori stessi. Gli autori sono vanitosi e gelosi del proprio lavoro. Non si tratta di una critica, rientro io stesso in questa descrizione. Inconsciamente non accettano che una mano esterna venga a “profanare” il loro lavoro, e almeno in parte hanno anche ragione, perché poi scrivere è qualcosa di personale, profondo, specie se parliamo di una raccolta poetica o di un romanzo tenuto nel cassetto per anni. Allora, il processo da seguire sta, secondo la mia esperienza, nel conoscere l’opera, leggerla, studiarla, individuare punti di forza e debolezza (come tanto si usa dire oggi), discutere con l’autore e incominciare a intervenire sul testo apportando delle modifiche che possano snellire, chiarire e anche arricchire la lettura. Si tratta comunque e sempre di un lavoro a quattro mani. L’autore non viene sostituito, se mai potenziato, e quando l’autore stesso percepisce questo potenziamento ogni sua ritrosia viene meno, mentre si innesca un rapporto bellissimo che spesso dura anche ben oltre la pubblicazione del libro.  

Come ha influenzato la tua carriera letteraria la vittoria del premio speciale Città di Bari nel 2023 nell’ambito del premio internazionale Seneca?

Si tratta a oggi del premio letterario più importante che ho vinto. In realtà con l’esperienza ho imparato a diffidare un po’ di simili manifestazioni, perché si finisce per entrare in un circuito dove io premio te e tu premi me. Un circuito di vuota celebrazione. Però, devo ammettere che vincere premi letterari conferisce autorevolezza alla tua figura autoriale, concorrono al tuo curriculum artistico, e quindi in un’ultima analisi direi che sia stata una vittoria necessaria per crescere, e spero che non sia l’ultima, ma sempre restando in contesti di merito autentico.

Descriviti in tre parole.

Tenace, laborioso, ironico.

Progetti futuri?

Sto portando avanti un progetto ambizioso, la realizzazione di un’agenzia di servizi editoriali che possa aiutare i giovani autori nella prima pubblicazione, in particolare guardando al mondo del self-publishing. L’agenzia si chiamerà Liberosso, il libro rosso. Liber, termine latino usato pensando alla nostra tradizione culturale, ma liber rosso in omaggio a Jung e al suo libro rosso che ha segnato la nascita della sua più autentica figura di libero pensatore, con l’augurio che lo stesso inizio possa capitare agli autori che vorranno pubblicare con il mio aiuto e dei miei collaboratori. Invece, dal punto di vista letterario ho un abbozzo di romanzo che spero di sviluppare nei prossimi mesi, il racconto di un uomo fatto di vetro e che tutti usano per specchiarsi come infiniti narcisi, ma scoprendo qualcosa che non vorrebbero vedere mai.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *