REBECCA FORNELLI nasce il 28 marzo 2000 a Bari, città dove cresce e studia. A undici anni inizia a studiare canto e a tredici prende le prime lezioni di chitarra. Sviluppa col tempo un grande interesse per la musica cantautorale, cimentandosi nella composizione di canzoni, testi e musiche. Nel 2016 partecipa al “TV Talent Show” di Canale7, programma televisivo organizzato da Antonella Lauro, esibendosi alla presenza del maestro Enzo Campagnoli. Nel 2017 arriva prima classificata alla II edizione del “Gran Contest Puglia Style” organizzato dal Gran Shopping Mongolfiera di Molfetta con Radio Selene, vincendo la registrazione e la produzione di un EP. Negli anni 2017/2018 vince il 1° premio delle edizioni VI e VII del Concorso Internazionale “Musica E Arte – Città di Conversano”, aggiudicandosi l’apertura di un concerto di Serena Brancale e la registrazione di un brano inedito presso lo studio di produzione e registrazione “Reverse” di Pierpaolo Brescia. Il 26 maggio 2018 si esibisce in acustico per il programma radiofonico “Sabway” su “Canale100 la radio”, registrando il record stagionale di ascolti. Nello stesso periodo consegue il diploma di maturità classica e intraprende la carriera universitaria, iscrivendosi al corso di laurea in Cultura Teatrale della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Bari. Nel 2019 si trasferisce a Bologna, città dove studia e risiede tuttora, per cominciare un nuovo percorso universitario al DAMS. Nel corso degli anni acquisisce nuove competenze in campo musicale, partecipando a diversi workshop e seminari, tra i quali “Electronic Music” tenuto da Serena Brancale, “Composizione Elettronica” da Pierpaolo Brescia, “La voce nella dimensione gestuale e performativa” da Francesca Della Monica, “Voce e canto” da Gianna Montecalvo, “Strumento Voce” da Ernesto Marciante. Dal 2018 collabora con Gianni Gelao, Adolfo La Volpe e Alessandro Pipino, musicisti del gruppo “L’Escargot”; il 18 agosto e il 16 settembre 2020 prende parte, come loro ospite, alla sedicesima edizione del Festival Metropolitano Bari in Jazz e il 17 agosto 2021 alla ventesima edizione di Suoni della Murgia – Festival naturalistico-musicale del Parco dell’Alta Murgia. Nel febbraio 2019 viene selezionata nella rosa dei 54 artisti ammessi alle Audizioni Live di Musicultura 2019, XXX Edizione. Il 25 e 26 ottobre 2019 è finalista della quindicesima edizione del Premio Bianca d’Aponte con il brano “Quello che ci manca” e calca il palco del Teatro Cimarosa di Aversa insieme ad altre nove finaliste, aggiudicandosi una borsa di studio dall’Associazione “Virginia Vita” e la registrazione, produzione e promozione di un singolo con il premio “XO la Factory”. Un anno dopo, viene selezionata come semifinalista dell’edizione 2020/2021 del Premio Pigro dedicato ad Ivan Graziani e inizia il programma di vocaltraining “Estill Voice Training EVT”, Livelli 1 e 2. A partire dal 2021 avvia una collaborazione con il cantautore MENTESANA dando vita al duo “A+R”: debutta a marzo 2021 con il singolo “Inutili Parole” e procede nel febbraio 2023 con il brano “Kandinskij”, prodotto da Alberto Bianco e registrato e suonato insieme a Bianco, Filippo Cornaglia e Andrea De Carlo nello studio Lab10 di Torino. Il 19 settembre 2021 vince la seconda edizione di Palco d’Autore – Premio musica e parole (Contest Nazionale dedicato agli Autori, Cantautori ed Interpreti) aggiudicandosi il Primo Premio su 20 finalisti e 412 iscritti, con il brano “LIS10”. A novembre 2021 pubblica il suo primo singolo “LIS10” e a partire dall’estate 2022 comincia l’attività di busking. Il 28 e 29 marzo 2023 porta le sue canzoni in Spagna, esibendosi a Madrid e Logroño per due serate-evento organizzate dal Premio Bianca d’Aponte insieme all’Istituto Italiano di Cultura di Madrid. Nell’ottobre 2023 viene selezionata tra i dodici finalisti della Prima Edizione del “Premio Matteo Marolla – Città di San Severo” e dopo aver presentato al pubblico e alla giuria il suo brano inedito “Alla finestra (Il sogno)” e omaggiato l’artista prematuramente scomparso con il brano “Enrica, la luna e il mare”, si aggiudica il Primo Premio consistente nella realizzazione del brano registrato, mixato e masterizzato per la durata di tre giorni presso uno Studio di Registrazione di fama internazionale. Nei mesi successivi avvia una collaborazione con Alessandro Pipino esibendosi in duo, tra brani inediti e omaggi, nello spettacolo “A Diosa”. Il 12 aprile 2024 consegue la laurea in “DAMS – Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo” all’Alma Mater Studiorum (Università di Bologna) con la votazione di 107/110, presentando la tesi “Il Songwriting in musicoterapia: metodi di intervento, contesti applicativi e finalità terapeutiche”.
Come hai scoperto la tua passione per la musica e cosa ti ha spinto a iniziare a studiare canto e chitarra?
Non so dire se ci sia stato davvero un momento in cui ho scoperto questa passione, credo piuttosto sia nata e cresciuta insieme a me come fosse una parte del mio corpo. La musica mi ha sempre circondata e condizionata, quasi prescindendo dal mio volere: sento molti artisti dire “Ho scelto la musica perchè…” mentre io sono abbastanza convinta – e lo dico senza vanto alcuno – che sia stata la musica ad essere venuta da me, ad avermi “scelta”. Ho una famiglia molto grande che, sia da parte materna che paterna, ha sempre sguazzato nella musica (c’è chi da generazioni e per pura passione suona, canta, scrive canzoni) e sin da quando ero piccolissima non è mai mancata occasione di parlare di musica, ascoltarla o “farla” tutti insieme. Per di più i miei genitori non hanno aspettato ad aprirmi subito le porte ai loro ascolti, lasciandomi affacciare a quello che era il loro mondo, ma che mi è immediatamente risultato entusiasmante: impossibile non citare i viaggi in macchina cantando a squarciagola (e talvolta anche ballando) album come “La sposa occidentale” (Lucio Battisti), “Cante Jondo” (Eduardo De Crescenzo), “La vita è adesso” (Claudio Baglioni), “La voce del padrone” (Franco Battiato), “Terra mia” (Pino Daniele), ”Storie di whisky andati” (Sergio Caputo), “Come è profondo il mare” (Lucio Dalla) o le compilation di Ivan Graziani, Fabrizio De Andrè, Matia Bazar, Zucchero e tanti, infiniti altri; certamente la mia vicinanza ad un certo tipo di musica è merito di mamma e papà. Crescendo, quindi, è nata da sé l’esigenza di scavare in profondità portandomi il più possibile all’interno di questa realtà. Credo che da parte di tutta la mia famiglia ci sia stato un moto di forte interesse verso questa vocazione premente: con la voglia di fornirmi i giusti strumenti per poter muovere i primi passi in questa strada e la curiosità bambina di scoprire dove mi avrebbe portata, i miei genitori mi hanno subito iscritto ad scuola di canto e qualche anno dopo, come regalo di compleanno, ho ricevuto dalla famiglia la mia prima chitarra classica.
Puoi raccontarci di più sulla tua esperienza al “TV Talent Show” di Canale7 e come ha influenzato la tua carriera musicale?
È stata una delle primissime volte in cui ho partecipato ad un concorso, la mia unica esperienza televisiva. Mi iscrissi un po’ controvoglia e spinta dalla mia insegnante di canto Isabella, che con grande intuito, lungimiranza e fiducia comprese la necessità di spingermi oltre la mia “comfort zone” per aiutarmi a crescere. Credo che partecipare a questo concorso mi abbia influenzata aiutandomi a capire meglio cosa significasse valicare un certo tipo di confine ed accedere alla strana realtà dei talent, in cui musica e televisione si fondono: col tempo infatti compreso la natura del disagio che provavo, maturando la personale idea che il mondo televisivo e il mondo della musica (per come io intendo e vivo quest’ultima) non condividono la stessa natura, gli stessi valori, gli stessi obiettivi, lo stesso significato. Per questo la ricordo come un’esperienza “scomoda”, ma per certi aspetti anche sorprendente! Impressi nella mia memoria, l’incontro con Enzo Campagnoli e le sue parole dal tavolo della giuria: non impugnavo da molto la chitarra per accompagnarmi durante le esibizioni in pubblico, ma in una delle serate proposi una mia versione di “Back it up” di Caro Emerald chitarra e voce; il maestro rimase estremamente colpito da questa scelta e mi disse “Finalmente un’esibizione chitarra e voce, non aspettavo altro! Sei stata coraggiosa…”.
Quali sono stati i primi artisti o generi musicali che ti hanno ispirato nella tua adolescenza?
A circa dodici anni ho scoperto un universo inedito, che ha fortemente segnato il mio gusto musicale e che ha rappresentato una fonte illimitata di ispirazione dal punto di vista compositivo. Ricordo perfettamente che un pomeriggio, per un imprevisto, i miei genitori mi lasciarono in “babysitting” a mio cugino maggiore Alessio (il mentore della mia vita)che, non avendo la minima idea di come intrattenere una dodicenne, mi propose l’ascolto di una canzone che in quel periodo lo stava consumando. Era “Some Girls Are Bigger Than Others” da “The Queen Is Dead” dei The Smiths: apriti cielo! Non avevo mai ascoltato niente di simile, m’innamorai. Da quel momento tutto ha iniziato a prendere un colore diverso, un sapore squisitamente nuovo, era davvero come se il mio cervello avesse scoperto nuove parti di sé, come se qualcosa di esterno e sconosciuto stesse rispondendo esattamente ad un mio bisogno interno, latente e affamato. Stessa identica ed incredula reazione all’apertura del capitolo “The Beatles” (il mio segnalibro resta fermo lì): una rivelazione straripante di idee, creatività, libertà, armonie mai sentite prima, giri di accordi sorprendenti e mai scontati, una cura minuziosamente profonda per l’estetica musicale e il mondo sonoro di ogni singolo brano – che all’epoca mi sembrava del tutto innovativa, seppur temporalmente così lontana dal tipo di musica diffusa durante gli anni della mia adolescenza – di cui sentivo e continuo a sentire una grande mancanza. E come con Morrissey e i Beatles, così con Tori Amos, Kate Bush, i Queen, i Radiohead, Simon & Garfunkel, The Divine Comedy, Alanis Morissette, David Bowie, Bob Dylan, Ben Harper, Jeff Buckley, Cat Stevens, Nick Drake, tutti artisti che hanno segnato un tragitto vasto ma ben definito. Insieme a questi grandi nomi internazionali, in quegli anni ho avuto modo di conoscere meglio e di scoprire alcuni artisti italiani che hanno influenzato tantissimo il mio modo di percepire la musica, prestare attenzione ai testi, alle storie, al modo di raccontarsi e raccontare. Era una sorta di allenamento, però involontario: quando si impara a scrivere è necessario, fra i vari step, ricalcare lettere, parole, frasi già composte e stampate per allenare la mano, abituarsi, fare esercizio, capire, e poi lasciarsi andare sulle righe bianche; in quel periodo Francesco De Gregori, Carmen Consoli, Niccolò Fabi, Dente, Brunori Sas, Pacifico, insieme a Baustelle, Max Gazzè, Daniele Silvestri, Samuele Bersani, Vinicio Capossela, Ivano Fossati e ancora altri, sono indubbiamente stati le parole che le mie orecchie hanno a lungo ricalcato prima che le mie mani iniziassero a scrivere.
Puoi descrivere il processo creativo dietro la composizione delle tue canzoni?
Trovo sempre molto complicato spiegare le dinamiche che mi portano a comporre una canzone. Non succede mai nello stesso modo, non è mai prevedibile e spesso avviene fuori dal mio reale controllo. Nella stragrande maggioranza dei casi è l’ispirazione a comandare: un pensiero, un oggetto, un sogno, uno stato d’animo, una tematica che mi tocca, un evento scatenante, oppure semplicemente il portare le dita alla chitarra – il più delle volte senza suonare accordi o giri di accordi chiari ma lasciandomi trasportare da suoni casuali e armonie lontane dalle mie possibili previsioni. Non mi è chiaro il modo in cui succeda, ma in questi casi è l’ispirazione a muovere i fili di tutto: spesso accade che ad una musica improvvisata sovvengano parole completamente casuali (nate proprio dal trasporto generale o dall’assonanza che hanno con l’armonia che si viene a creare) che, man mano, acquistano un senso, definiscono un’immagine, una situazione, un sentimento. O ancora, al contrario, capita che da uno sfogo appuntato o una frase particolarmente comunicativa, mi venga in mente una melodia (o talvolta delle armonie su cui poter spalmare quelle parole) e da lì un giro di accordi, una prima struttura armonica. Sicuramente il fatto di non conoscere a menadito le regole dell’armonia e della teoria musicale mi “aiuta” ad essere più libera di sperimentare e di farmi guidare dalla pancia, dalle sensazioni e non dalla testa o da schemi preimpostati: questo, nell’atto compositivo, mi permette di partire senza particolari pretese o aspettative da mantenere e dà ampio margine d’azione alla mia creatività. Negli ultimi anni però ho iniziato a soffrire un po’ la passività che un’ispirazione
richiede, l’attesa del giusto momento, delle giuste condizioni, del giusto input: ho iniziato a lavorare sui miei brani rovando a “metterci mano” in maniera più presente e cosciente, scoprendone tutte le difficoltà e scoprendomi spesso limitata, impreparata, “piccola”. Questo però non si è mai rivelato un vero e proprio ostacolo per la mia inventiva e la mia fantasia, anzi in molti casi ha risvegliato parti di me addormentate, impolverate, stimolando e spronando la mia creatività, costringendomi (in un certo modo) a riempire il foglio bianco e ad esercitarmi, correggermi e soprattutto a tentare.
Quali sono state le sfide principali che hai affrontato nel tuo percorso musicale e come le hai superate?
Le sfide più grandi che finora ho dovuto affrontare sono state principalmente quelle con me stessa. Ho sempre avuto enorme timore del giudizio altrui sommato ad una profonda insicurezza, nella vita così come nella musica. Per anni calcare un palco ha significato, per me, andare incontro a estrema frustrazione e attacchi di panico (fosse per un’esibizione durante un saggio di fine anno, per un concorso musicale o al karaoke con gli amici). Ricordo ancora che per uno, forse due anni, ho tenuto nascoste le mie primissime canzoni prima di farle ascoltare anche solo ai miei genitori o ai miei amici, e quando successe per la prima volta, mi sentii minuscola e completamente indifesa. Ci sono voluti anni per lavorare su questo, esperienze diverse e numerose: forse quest’ultimo anno è stato il primo in cui ho iniziato a provare una soddisfazione e un piacere sinceri nel vivere il palco, il pubblico, la mia musica, oltre ad un’immensa tenerezza verso la Rebecca che in quei momenti, pur conservando tutte le sue paure e insicurezze, sa di portare qualcosa con sé, di avere un significato, un senso, di poter dare e poter ricevere tantissimo e con un amore infinito. Tuttavia affidarmi a questo percorso, seppure con il supporto costante della mia famiglia e delle persone a me più care, non è stato semplice e non lo è tuttora: l’epoca musicale in cui sto crescendo è schizofrenica, offre e permette tutto ma allo stesso tempo è estremamente limitante per chi la musica vuole farla in un certo modo. Se non si scelgono i percorsi preimpostati e più immediati, è tutto più faticoso: avere fiducia in ciò che si fa, credere nella possibilità di riuscire a fare della propria vocazione il proprio mestiere, avere anche solo la prospettiva di poter crescere musicalmente e allo stesso tempo di arrivare alle persone. È la scommessa di ogni giorno, l’investimento di una vita, e la resa è dietro l’angolo: ripetersi che ne vale la pena è una bella sfida ma nel mio caso, al momento, l’unica per cui abbia senso lottare.
Come ti sei sentita quando hai vinto il Gran Contest Puglia Style e hai avuto l’opportunità di registrare il tuo primo EP?
C’erano tre giudici e, su due voti espressi, soltanto uno era a mio favore: quando Gianni Pollex (l’ultimo dei tre giudici a votare) ha pronunciato il mio nome, ero letteralmente incredula. Soltanto qualche istante dopo ho compreso realmente cosa stesse succedendo, provando immensa gioia e grande orgoglio nell’aver conquistato il primo posto con il mio primo brano inedito “Memorie di un inetto”. Avere la possibilità di condividere quel momento e quell’emozione con la mia famiglia ed i miei amici più cari, ha reso la mia prima vittoria in assoluto ancora più importante. L’idea di poter incidere alcune mie canzoni, che prima di allora non erano mai uscite dalla mia cameretta e dal registratore del mio cellulare, mi spaventava tremendamente – mi sembrava di andare incontro a qualcosa tanto, troppo più grande di me – ma allo stesso tempo mi esaltava – in quanto sapevo che sarebbe stata una grandissima opportunità e che avrei preso parte ad un piccolo progetto che per me, però, rappresentava la realizzazione di un sogno. Di lì a poco quel piccolo grande sogno è diventato realtà… ed è stato bellissimo.
Puoi raccontarci qualche aneddoto particolare delle tue esibizioni in Spagna organizzate dal Premio Bianca d’Aponte?
Pochi gli aneddoti legati alle esibizioni in sé per sé, diversi quelli riguardanti i tre giorni di viaggio. Ero con Rebi Rivale e Chiara Vidonis, due cantautrici strepitose (anche loro ex finaliste del Premio Bianca d’Aponte) conosciute proprio in quell’occasione: si è creato subito un bell’equilibrio tra noi, che in soli tre giorni ci ha portate ad affezionarci con una naturalezza e una profondità sorprendenti. Com’è iniziato tutto? Con una figuraccia epica: uscendo dall’aeroporto ho chiesto loro a quale edizione del Premio Bianca d’Aponte avessero partecipato e Rebi mi ha risposto che si trattava della settima edizione, quella del duemilaundici. A questa risposta, con tutta l’innocenza e l’ingenuità del mondo, ho replicato qualcosa come: “Wow!!! Io nel duemilaundici avevo undici anni!!!”…Mi hanno detestata perché ho involontariamente fatto in modo che si sentissero troppo più grandi di me, ma da quel momento è iniziato il vero divertimento! Rebi si è prontamente vendicata per il resto della vacanza paparazzando e pubblicando tutti i momenti in cui mi addormentavo, nei modi più disparati, durante i vari spostamenti. Stupendo il post-concerto a Logroño in cui, dopo una lunga passeggiata tra i vicoletti della città con qualche fermata volta all’assaggio del vino locale e delle tipiche tapas spagnole, ci siamo fermate in un localino a chiacchierare. È stata una serata molto intensa, ci siamo aperte l’una con l’altra ma con grandissima delicatezza, quasi volessimo prenderci reciprocamente cura dei lati più nascosti delle nostre anime sfiorandole appena; ricordo quell’incontro con grande tenerezza e con la stessa tenerezza porto queste due ragazze nel mio cuore. Per concludere in bellezza, subito dopo questo momento romantico, abbiamo deciso di riequilibrare la situazione emotiva entrando in un locale adibito a karaoke e pieno zeppo di gente (ci tengo a precisare, contro ogni volere di Rebi Rivale) dove, dopo un doveroso brindisi, io e Chiara abbiamo pianificato e messo in atto la totale perdita di dignità della nostra terza compagna di avventura: “Sarà perché ti amo”, Ricchi e Poveri, e una Rebi Rivale costretta e imbarazzatissima in mezzo a me e Chiara, scatenate come non mai.
Com’è nata la collaborazione con il gruppo “L’Escargot” e quale impatto ha avuto sul tuo percorso musicale?
Avevo sedici anni e qualche canzone finita in tasca. Ho conosciuto Alessandro Pipino prima degli altri – ricordo che una sera, quando ancora non ci eravamo mai raccontati nulla l’uno dell’altra, mi guardò e mi disse con grande convinzione: “Tu suoni la chitarra”… Ad oggi non è dato sapere come abbia fatto – e dopo qualche scambio sui nostri ascolti e gusti musicali, mi chiese di fargli ascoltare qualcosa. Gli suonai e cantai le mie canzoni e una ballata tradizionale inglese, “The Death Of Queen Jane”, che avevo scoperto e imparato proprio in quel periodo. Credo che quello sia stato un momento di reciproca sorpresa e grande coinvolgimento. Mi parló di questo gruppo di musica strumentale di cui faceva parte e mi regalò i loro primi due album “Corri” e “Viva il lupo!”; non ci volle molto prima che imparassi i loro brani e le loro melodie, innamorandomene perdutamente. Un anno dopo uscì il loro terzo disco “La giostra degli specchi”, un contenitore di piccole gemme preziose in cui si nascondono, a mio avviso, grandi capolavori. Lo ascoltavo continuamente, lo facevo ascoltare alla mia famiglia, ai miei amici… Mi fa sorridere dirlo: ero diventata davvero una fan sfegatata de “L’Escargot”. Alessandro mi invitó ad una serata-ascolto di quest’ultimo loro lavoro e in quell’occasione conobbi anche Gianni Gelao e Adolfo La Volpe. L’intesa e la simpatia furono immediate, ricordo i loro sorrisi mentre mi spiavano canticchiare i loro brani e le domande che mi posero curiosi a fine concerto. Decidemmo di incontrarci per provare a suonare qualcosa insieme senza chiare aspettative od obiettivi precisi, ma scoprimmo presto il potere di quell’incontro. Si è trattato, almeno per me, di uno scambio sincero ed estremamente naturale, suonavamo e sbloccavamo nuovi incastri: ad ogni incontro si aggiungeva una nuova idea, un nuovo riff, una nuova melodia, un nuovo strumento e tra istinto, studio e sperimentazione abbiamo unito due realtà indipendenti, creandone una tutta nostra. L’impatto che questa collaborazione ha avuto su di me è stato decisivo: vedere i miei brani prendere vita, vestirli di abiti nuovi e colorarli di sfumature inaspettate, intravedere per loro nuovi orizzonti e nuove possibilità, credere per la prima volta che potessero diventare davvero “qualcosa”, è il regalo più grande che questi tre ragazzoni potessero farmi. Lavorare con “L’escargot” è stato e resta tuttora un onore grandissimo per me, loro lo sanno. Per Gianni, Adolfo e Alessandro riservo una stima e una tenerezza infinite, oltre che un’enorme gratitudine per la possibilità che mi hanno offerto, senza nulla a pretendere, di crescere musicalmente e credere nelle mie potenzialità. (Se mi state leggendo, vi voglio bene lumachine mie.)
Com’è lavorare con Alessandro Pipino e cosa apprezzi di più di questa collaborazione?
Alessandro è un uomo dall’animo puro, un musicista incredibile, un compositore dai colori nostalgici e col cuore in fermento, mosso da una sensibilità rara: un grande compagno di viaggio. Condividiamo tanto in fatto di gusti musicali e trasporto emotivo, e penso che questo sia stato un primo lasciapassare di grande valore. Lavorare con lui e avere la possibilità di unirci in questa forte passione comune è una delle cose migliori che mi potessero capitare nella vita. Mi accade spesso di sentirmi trasportata in un altro mondo quando suono, un mondo lontano, astratto, in cui ci siamo soltanto io e la mia musica: quando suono con Alessandro il mio mondo si apre, lui vi accede in punta di piedi e d’improvviso siamo in due, sospesi, eterei. L’intesa e la sintonia che si creano ogni volta che suono con lui, che sia per un’esibizione o durante le nostre prove, sono tanto forti che è come se iniziassimo a dialogare in una lingua tutta nostra. Questo è il motore della nostra collaborazione, questo ciò che amo: il sentimento che ci lega alla musica che creiamo insieme, la forte connessione con quello che stiamo raccontando, la fame di emozione.
Descriviti in tre parole.
Empatica, insicura, “credente”.
Quali sono i tuoi obiettivi futuri nel campo musicale e cosa ti piacerebbe realizzare nei prossimi anni?
Al momento ho le dita incrociate per una grande opportunità, quella di accedere all’Accademia di Alta Formazione Artistica “Officina Pasolini” di Roma. È un obiettivo cresciuto in sordina dentro di me negli ultimi anni ed è arrivato il momento di dargli un po’ di voce; non si sa come andrà, ma è giusto e importante per me provarci. Ho intenzione di superare i timori che da anni mi bloccano e provare a pubblicare altri brani, che da troppo tempo aspettano di venire alla luce. L’intento reale in questo caso, è quello di realizzare un primo album che possa “presentarmi”, dando un’idea della me degli ultimi dieci anni e racchiudendo i brani che hanno segnato la mia crescita e le tappe più importanti della mia vita finora: spero di avere il giusto spirito per poterlo rendere, da “sogno”, un vero obiettivo. Ho voglia di scrivere, esplorare, creare: questo è un obiettivo fondamentale che, anche quando sono a corto di idee o vivo periodi di blocco o vuoto, rimane e mi stimola a non gettare mai davvero la spugna. Così come cresce in me la voglia e il desiderio di scoprire cose nuove, aprirmi a nuovi ascolti mettendomi alla prova e studiare, studiare le canzoni che non ho mai saputo suonare, le musiche che mi hanno sempre incuriosita, le armonie che hanno sempre attivato in me un’invidia positiva e trascinante. Inizio anche a sentire l’urgenza di tornare a proporre i miei brani nei vari concorsi per cantautori, provare a farmi ascoltare di più e guadagnarmi un nuovo piccolo pubblico a cui possa arrivare ciò che scrivo e canto. Concludo con l’obiettivo più viscerale, quello che vorrebbe muovere davvero i miei prossimi passi: ho voglia e bisogno di iniziare a credere un po’ più in me stessa, perché per quanto possa farmi paura (e credetemi, è tanta) credo sia tempo di scendere in campo e iniziare giocare