Roger è un’identità artistica fluida e collettiva, nata dall’unione delle visioni di Giacomo Corradin e Rogerio Boschetto. Il progetto esplora il dialogo tra materia e digitale, spaziando tra 3D, pittura, stampa 3D e intelligenza artificiale per esprimere idee ed emozioni oltre le parole. Attraverso opere che intrecciano passato e futuro, Roger si fa interprete di una memoria personale e collettiva, con un’estetica in continua evoluzione. Il concept di “Early Born” rappresenta l’origine e la trasformazione, incarnando fragilità e rinascita. Guidati da un equilibrio tra istinto e struttura, il loro processo creativo lascia spazio alla sperimentazione, con il supporto della curatrice Charlotte, che aiuta a tradurre e comunicare il loro messaggio artistico. Fortemente radicati nella comunità artistica, Roger aspira a diventare un simbolo culturale capace di stimolare il pensiero critico, sfruttando anche le nuove tecnologie immersive per amplificare l’impatto dell’arte. Il loro sogno è realizzare esperienze interattive che uniscano tecnologia ed emozione, rendendo l’arte un’esperienza dinamica e inclusiva.
Roger è un nome che suggerisce un’entità plurale e un’identità fluida. Come si sviluppa questa dinamica all’interno del vostro processo creativo?
Roger non è solo un nome, ma un’entità che unisce le idee e le emozioni di due persone: Giacomo Corradin e Rogerio Boschetto. È la somma delle nostre visioni, che si fondono in un’identità unica e in continua evoluzione. Questa fluidità non riguarda solo il personaggio, ma anche i mezzi espressivi che utilizziamo. Il nostro processo creativo spazia dal digitale al fisico: usiamo il 3D, la pittura, la stampa 3D, l’intelligenza artificiale e qualsiasi altro strumento necessario per dare forma alle nostre idee. Non ci limitiamo a una sola tecnica, perché per noi è fondamentale che il messaggio arrivi nel modo più potente e diretto possibile. Roger si adatta e si trasforma, diventando un linguaggio alternativo che sostituisce le parole. Il nostro obiettivo è sintetizzare in un’opera non solo estetica, ma anche riflessione, pensieri ed emozioni profonde. È un modo per comunicare ciò che non può essere spiegato solo a parole. Il nome Roger è nato in modo spontaneo: quando abbiamo mostrato per la prima volta il nostro personaggio, la community ha iniziato a chiamarlo così, ispirandosi al profilo Instagram roger_io. Abbiamo capito che il nome si era scelto da solo e non abbiamo voluto cambiarlo. Questa identità ha una forma riconoscibile, ma al di là dell’aspetto visivo, racchiude molto di più: le nostre esperienze, le nostre fragilità, i momenti di vittoria e quelli difficili. Roger è un contenitore di vita, che si esprime attraverso l’arte.
Il vostro lavoro è una continua tensione tra passato e futuro, materia e digitale. Qual è il punto di equilibrio che cercate tra questi estremi?
Nelle nostre opere esiste una tensione costante tra passato e futuro. Quando creiamo qualcosa di nuovo, non ci limitiamo a rappresentare un solo momento, ma congeliamo un punto temporale che racchiude un’analisi del passato, una sensazione presente e un monito per il futuro. Il nostro obiettivo è generare un ragionamento che vada oltre il tempo, portando chi osserva l’opera a interrogarsi su più livelli. L’equilibrio tra materia e digitale nasce dal nostro processo creativo: quasi tutte le nostre opere fisiche partono da una prima stesura digitale. Una stampa 3D ha bisogno di un modello virtuale, così come una pittura ha bisogno di un bozzetto. Il digitale è il punto di partenza, ma non sempre il punto d’arrivo. Il nostro intento è quello di creare una sorta di artigianato digitale. La nostra arte è principalmente digitale, ma spesso i mezzi attraverso cui viene fruita—come smartphone e PC—sono troppo veloci, impedendo una reale immersione. Troviamo il nostro equilibrio quando riusciamo a far uscire l’arte dallo schermo, trasformandola in un’opera fisica che permette allo spettatore di osservarla con più attenzione e concentrazione. In altri casi, invece, è necessario il movimento per comunicare il messaggio, quindi utilizziamo video esposti su monitor come fossero quadri in movimento nelle mostre.
L’idea di “Early Born” suggerisce una riflessione sulla nascita, l’origine, il non-finito. Cosa significa per voi questa fase dell’esistenza?
“Early Born” rappresenta l’incipit di un viaggio artistico che affonda le sue radici nell’urgenza creativa e nell’ancestrale bisogno di dar forma a un’identità in continua evoluzione. L’opera incarna il momento di una nascita precoce: un atto spontaneo e viscerale che sfida le regole del tempo e dello spazio. Roger, spogliato dei vestiti e raccolto in posizione fetale, è simbolo di nascita o rinascita, ma anche di vulnerabilità, rifugio ed esplorazione interiore. Questa postura richiama momenti di transizione, di tristezza e paura, ma anche il potenziale racchiuso in ogni inizio. “Early Born” si muove su più livelli di lettura, lasciando a chi osserva la libertà di emozionarsi e interpretare la propria storia all’interno dell’opera. La narrazione visiva stratificata evoca la fragilità e la potenza di una genesi non mediata, dove materia e concetto si fondono in un unico respiro primordiale. Le texture fluide e i frammenti materici suggeriscono un universo in divenire, sospeso tra ordine e caos. Il passato è volutamente lasciato all’interpretazione individuale: può essere un ricordo doloroso o la scintilla creativa che porta alla nascita di qualcosa di nuovo. Il presente è il momento di sospensione, mentre il futuro è il passo successivo, la trasformazione, la lotta per continuare a esistere. Per noi, “Early Born” segna un punto di svolta, un’opera nata dalla necessità di abbandonare il passato per ripartire. Il non-finito è una condizione permanente nel nostro lavoro, perché finché c’è vita, il futuro resta ancora tutto da scrivere. Vogliamo che questo spazio rimanga aperto, come il bianco che domina le nostre opere, permettendo a ognuno di riflettere sulle cose importanti e tracciare la propria rotta. L’arte, in “Early Born”, non è mai un atto lineare, ma un susseguirsi di pulsazioni imprevedibili, una continua tensione tra fragilità e forza. L’opera è domanda e promessa, un manifesto di vulnerabilità e resilienza. Chi la guarda è libero di rivedere se stesso in essa, trovando il proprio significato in questo stato di trasformazione infinita.
Quanto c’è di istintivo e quanto di strutturato nel vostro modo di lavorare?
Il nostro processo creativo è un equilibrio tra istinto e struttura. Le idee nascono spesso in maniera spontanea, durante momenti di confronto e brainstorming, oppure in risposta a esperienze di vita che ci colpiscono particolarmente oltre che stimoli esterni provenienti dalla società. Questa fase iniziale è molto istintiva, spinta dal bisogno di esprimere qualcosa. Dopo questa scintilla creativa, subentra una fase più razionale in cui diamo forma al progetto, valutando il modo migliore per trasmettere il messaggio. Infine, arriva la fase esecutiva, che è più strutturata e tecnica, in cui utilizziamo strumenti digitali, stampa 3D e altri medium per concretizzare l’opera. Pur pianificando con attenzione ogni processo, lasciamo spazio all’imprevisto e alla sperimentazione. Rimanere troppo ancorati a un piano iniziale può essere limitante, quindi siamo sempre aperti a cambiare direzione se ciò arricchisce il risultato finale. L’errore, per noi, non è mai un ostacolo, ma un’opportunità per scoprire nuove possibilità e migliorare il nostro lavoro.
Il vostro approccio sembra richiedere un dialogo costante tra voi e il contesto che abitate?
Il nostro progetto artistico è nato dall’idea di unire due menti che si confrontano costantemente, e questo dialogo è alla base di tutto ciò che facciamo. Allo stesso modo, ci rapportiamo con l’esterno: con la contemporaneità, con gli altri artisti e con la società in generale. Le nostre opere sono alimentate tanto da ciò che accade nelle nostre vite, quanto da ciò che osserviamo nel mondo che ci circonda, in particolare riguardo alle persone e alle dinamiche sociali. In parallelo, siamo sempre aggiornati sulle novità tecniche, come nuovi software, macchinari e strumenti, per poter esplorare nuove possibilità creative. Roger, in quanto entità, è di per sé un canale di comunicazione con l’esterno. Non solo veicola il nostro messaggio interiore, ma stabilisce un legame con chi lo osserva, aprendo uno spazio di riflessione e interazione. È una figura che non solo ci rappresenta, ma che si fa anche tramite di un dialogo continuo con il pubblico.
Il concetto di “memoria” è spesso centrale nel vostro lavoro: che ruolo gioca la stratificazione della storia personale e collettiva nelle vostre opere?
Il concetto di “memoria” è centrale nel nostro lavoro, poiché le nostre opere sono fortemente radicate nei ricordi personali e collettivi. Siamo amici di vecchia data e abbiamo frequentato le scuole superiori insieme. Una frase che ci siamo detti in quel periodo – “Un giorno io e te collaboreremo in qualcosa di importante” – ha segnato l’inizio di questo progetto. Abbiamo cominciato a esplorare e a costruire sulle nostre memorie condivise, per poi stratificare le nostre storie personali, che sono diventate la memoria di Roger, un’entità che unisce le nostre esperienze. In questo modo, la memoria diventa collettiva, fondendo le nostre due identità in una sola. Anche la forma e i vestiti scelti per Roger rimandano a quel periodo della nostra vita, come una sorta di “omaggio” al nostro passato. Tramite queste memorie, cerchiamo di guidare lo spettatore verso una riflessione sul presente e sul proprio passato. Proprio come noi abbiamo lavorato per riconciliare e integrare le nostre storie, vogliamo che chi osserva le nostre opere possa fare lo stesso con la propria memoria, rivivendo momenti significativi e trovando un nuovo legame con il proprio percorso.
L’arte oggi non è solo creazione, ma anche strategia. Quanto è stato importante per voi avere al vostro fianco una figura come la vostra Strategist e Curatrice? Come ha influenzato il vostro percorso e il modo in cui le vostre opere vengono percepite?
Charlotte, oltre ad essere una professionista altamente competente, è diventata una amica preziosa che ci accompagna in questo viaggio. Non solo ci aiuta con le strategie di comunicazione, ma offre anche un altro paio di occhi esperti che ci permettono di dare forma e dimensione alle nostre idee, affinché possano essere percepite al meglio non solo da noi, ma anche dal pubblico. Ci aiuta a creare il giusto contesto e percorso di esposizione per valorizzare le nostre opere, facendo sì che ogni osservatore possa trarne il massimo, oltre a tradurre in parole i nostri ragionamenti. Sebbene ci capiamo perfettamente tra di noi, avere un tramite che esprime ciò che vogliamo comunicare è stato fondamentale per far comprendere al pubblico il nostro messaggio. Per quanto riguarda il bilanciamento tra il creativo e l’aspetto strategico, nonostante a volte possa sembrare complicato, vediamo queste sfide come opportunità che ci spingono a dare il massimo. Ogni proposta che ci viene fatta ci stimola a fare sempre meglio e ci aiuta a crescere. La pianificazione e la gestione del pubblico e dei collezionisti, che Charlotte cura con attenzione, ci permettono di concentrarci completamente sul nostro lavoro, avendo più tempo per sviluppare le nostre opere senza distrazioni. Con la sua guida, il nostro approccio è diventato più produttivo e meno dispersivo. Grazie a lei, possiamo concentrarci su un’idea alla volta, senza perdere la nostra spontaneità, un aspetto che per noi è molto importante.
Avete lavorato con diversi artisti e realtà multidisciplinari. C’è stata una collaborazione che ha cambiato radicalmente la vostra visione dell’arte?
Crediamo in realtà che l’incontro più significativo che ci ha fatto cambiare la nostra visione dell’arte non sia tanto con altri artisti ma con la nostra Curatrice. Oltre a questo gli incontri con artisti come Mitch Laurenzana, Arkeo, Tony Gallo e Marie Sugimoto hanno avuto un impatto molto profondo su di noi, non tanto a livello di visione artistica, quanto a livello umano. L’incontro con questi artisti, la loro umiltà e il loro approccio genuino ci ha fatto capire che non è necessario costruire un’identità artificiale da mostrare al pubblico. Ci hanno insegnato che dietro ogni opera d’arte ci sono persone vere, con le proprie storie, esperienze e vulnerabilità. Questo ci ha spinto ancora di più a mettere noi stessi in ciò che facciamo, senza paura di esporre le nostre fragilità. Non è affatto scontato trovare persone autentiche con cui confrontarsi, e siamo grati di aver avuto la possibilità di condividere dei momenti preziosi con individui che ci hanno dimostrato che l’arte è più forte quando è genuina e personale. La lezione che ci hanno dato è che l’ego non deve prevalere, e che, sebbene in molti casi dietro alle opere d’arte ci siano personalità forti, noi siamo felici di vivere e creare senza doverci nascondere dietro facciate. Ogni artista è diverso, e questo è ciò che rende il nostro percorso così unico e arricchente.
Quanto è importante per voi il concetto di comunità artistica? Preferite il confronto o la totale indipendenza?
Per noi, il concetto di comunità artistica è molto importante. Sebbene apprezziamo la nostra indipendenza creativa, crediamo fermamente nel valore del confronto con altri artisti. La comunità ci offre uno spazio di crescita, un’occasione per condividere idee, emozioni e esperienze, aprendoci a nuove visioni che spesso arricchiscono il nostro percorso. Il confronto ci stimola a riflettere su noi stessi e sulle nostre opere, spingendoci a fare il passo successivo nel nostro sviluppo. Detto questo, non rinunciamo mai alla nostra libertà di esplorare e creare in autonomia; crediamo che la sintesi tra indipendenza e confronto sia ciò che ci permette di evolverci in modo autentico. La comunità non è solo un punto di riferimento, ma un luogo dove ci sentiamo incoraggiati a essere più sinceri con noi stessi, e dove possiamo imparare e crescere senza paura di essere giudicati.
Se doveste immaginare i Roger tra dieci anni, quale sarebbe lo scenario ideale?
Immaginiamo Roger tra dieci anni come un’entità artistica a 360°, un ponte tra le generazioni che continua a comunicare con il presente e il futuro, stimolando il senso critico e la capacità di affrontare le sfide della contemporaneità con un’anima forte e consapevole. Attraverso il suo linguaggio visivo e concettuale, vorremmo che Roger invitasse alla riflessione su sé stessi, sulla società e sulle direzioni che il futuro potrebbe prendere, una figura riconosciuta nella cultura popolare, un simbolo capace di accompagnare le persone in un percorso di crescita e comprensione. Il suo impatto potrebbe ampliarsi grazie a collaborazioni con artisti, istituzioni e realtà culturali, diventando un catalizzatore di dialogo e introspezione. Pur in continua evoluzione, il messaggio di Roger rimarrà saldo: un’esplorazione senza confini che si adatta alle sfide sociali e culturali del nostro tempo. In questo processo, speriamo che diventi non solo un’opera d’arte, ma un’idea in grado di influenzare positivamente la cultura contemporanea, mantenendo vivo il potere della riflessione e della comunicazione.
In un mondo sempre più immerso nell’intelligenza artificiale e nelle tecnologie immersive, pensate che l’arte debba adattarsi o resistere a questa trasformazione?
L’arte è in costante mutamento, e crediamo che sia naturale che si evolva e si aggiorni. Più che la tecnologia stessa, sono spesso le persone a trovare difficoltà nell’accettare questo cambiamento. Per ognuno, l’arte rappresenta qualcosa di diverso, e rispettiamo tutte le visioni. Per noi, qualsiasi forma di creazione, indipendentemente dagli strumenti utilizzati, ha bisogno di una struttura solida per esistere nel mondo dell’arte. E con struttura intendiamo progettualità, idea e volontà. L’intelligenza artificiale, così come qualsiasi altro mezzo, non è una scorciatoia, ma un’opportunità per ampliare le possibilità espressive. Con lo stesso spirito di esplorazione che ci contraddistingue, ci avventureremo anche in questo campo, senza pregiudizi. Non la vediamo come un rischio, ma come uno strumento che, se utilizzato con consapevolezza e visione, può arricchire il nostro linguaggio artistico. Ciò che conta davvero non è la tecnologia in sé, ma il modo in cui scegliamo di usarla per dare forma alle nostre idee.
C’è un progetto che non avete ancora realizzato ma che rappresenta il vostro sogno più grande?
Il nostro sogno più grande è continuare a evolverci come artisti, perseguendo la nostra passione per l’arte e la creatività lungo il cammino della nostra vita. Siamo grati di poter vivere questo sogno, ma sappiamo che siamo solo all’inizio del nostro viaggio. Quello che sta per arrivare è davvero ciò che abbiamo sempre desiderato: una continua crescita e innovazione. Guardando al futuro, ci sono dei medium che ci affascinano particolarmente, e tra questi ci sono le installazioni digitali audiovisive interattive. Crediamo che questo tipo di esperienza artistica, che unisce tecnologia e interazione con il pubblico, offra un’opportunità unica di creare percorsi emotivi e immersivi. Vogliamo che le nostre opere non solo stimolino una riflessione profonda, ma che possano anche sorprendere e emozionare in modi nuovi, coinvolgendo lo spettatore in un dialogo diretto e dinamico con l’opera stessa. Vedere le persone reagire, esplorare e interagire con il nostro lavoro sarebbe per noi un traguardo straordinario, un modo per far vivere l’arte in maniera ancora più coinvolgente e personale.
Intervista curata da Charlotte Madeleine Castelli





