Rita Lopez è nata a Bari e vive a Roma. Archeologa e sociologa, ha collaborato con la “Gazzetta del Mezzogiorno” con vari articoli e racconti. Ha scritto per anni sul blog “Infodem.it”, coordinato dal giornalista Beppe Lopez. Ha pubblicato le raccolte di racconti: Vie d’uscita. Salvarsi con i Led Zeppelin, Bach e Nilla Pizzi (2016), Peccatori, sconfitti e per di più insolenti (2019). I suoi romanzi Apri gli occhi (2019), Fuori da ogni tempo (2021), La vita sognata (2023). Suoi racconti sono presenti in numerose antologie.
Quando e come hai iniziato a scrivere? Come è nata questa tua passione?
Ho iniziato a scrivere da bambina. Ero la più grande delle cugine femmine. Mentre ai maschi era permesso andare a giocare a pallone per strada, noi dovevamo rimanere a casa. Adoravo giocare “al teatro” e allora scrivevo i testi delle recite e obbligavo le mie cugine più piccole a impararli a memoria. Nei nostri pomeriggi di gioco non c’erano bambole, ma prove estenuanti di recitazione. Non so come abbiano fatto a sopportarmi. Diciamo che ho approfittato spudoratamente del fatto che io ero la maggiore di età. Non ho mai smesso di scrivere. Anzi, dopo è diventata una vera e propria esigenza. Due persone, nella mia vita, sono state la miccia che ha acceso il mio amore per la scrittura. Una è mio nonno. Mio nonno era quasi completamente cieco, ma era bravissimo a raccontare storie. Con le sue parole mi portava dove voleva. E io lo avrei seguito ovunque. Era cieco, ma io vedevo quello che raccontava. Vedevo eccome! Vedevo per me e vedevo per lui. Ritrovare in chi mi legge, in chi mi ascolta, lo stesso stupore magico che avevo io da bambina di fronte agli occhi spenti di nonno, è una delle cose che mi rende davvero felice. L’altra persona, fondamentale, è stata mio padre. Era mio padre che, fin da quando ho imparato a leggere, mi comprava dei libri. E fin qui, nulla di strano. La cosa speciale però era il modo in cui me li regalava. Ogni volta che mi portava un libro, era come se mi stesse donando la cosa più preziosa del mondo. Una reliquia. Gli brillavano gli occhi. Vengo da una famiglia molto modesta e la mia passione per la lettura, in una casa dove non c’erano libri e nessuno leggeva, era vista, in un certo modo, come una forma di riscatto. Un motivo d’orgoglio.
Come nasce un tuo romanzo e qual è la tua fonte di ispirazione?
Ogni storia prende spunto, nella mia testa, da una suggestione. A volte da una frase ascoltata per caso. Oppure da un’immagine. O ancora da un ricordo. Quella suggestione, quella frase, quella immagine, quel ricordo, si insinuano nella mia mente e non mi lasciano più in pace. Sono come un seme che mette radici e cresce cresce cresce fino a diventare una storia possibile. Quasi mai una storia nasce perché lo decido io. La maggior parte delle volte viene fuori da un pungolo, una sollecitazione che mi arriva per caso, mi rimane impressa e non mi abbandona più. La mia fonte di ispirazione sono le persone che mi capita di conoscere o che incontro per caso, i discorsi che fanno, le cose che dicono. Sono innamorata delle storie che ognuno ha da raccontare. Mi capita in treno, sull’autobus, in metropolitana, di ascoltare la gente che parla o che sta al telefono e mi sorprendo a immaginare le loro vite, a costruire le loro storie, anche da una semplice frase. Ero una bambina molto curiosa e con una spiccata fantasia. Non sono più una bambina, ma la curiosità e la fantasia ancora non mi abbandonano.
Qual è il genere letterario che preferisci scrivere?
Mi piace la narrativa in generale. Moltissimo i romanzi di formazione, ma anche quelli che hanno come fulcro determinati aspetti sociali. Mi piacciono i thriller, i romanzi di viaggio, le memorie, i romanzi storici. Personalmente mi rendo conto di scrivere molto sulle donne. Sono attratta dall’universo femminile. Ancora oggi le donne risentono del destino che hanno subito, del ruolo secondario in cui la storia e la Chiesa le hanno relegate. È un mondo talmente complicato e, forse per questo, per me, molto più affascinante.
Il personaggio che hai creato che ti è più caro e perché?
Si chiama Anna, un’adolescente. È la protagonista principale di “Apri gli occhi”. Mi è molto cara perché mi ricorda la mia, di adolescenza. Sono cresciuta in un quartiere difficile, il Libertà degli anni ’70, in una città del Sud, Bari, che all’epoca non assomigliava neanche lontanamente a quella di oggi. Conosco sulla mia pelle cosa voleva dire vivere in un contesto estremamente chiuso e maschilista. Capisco ogni frustrazione, ogni paura, ogni incubo che Anna ha dovuto fronteggiare.
Qual è il consiglio più prezioso che hai ricevuto come scrittrice e che vorresti condividere con noi?
Tea Ranno, una bravissima scrittrice siciliana, tanti anni fa mi disse che la cosa più importante era trovare la “nostra voce”. Non è stato facile trovare la mia. La “nostra voce” ci rende unici, è ciò che ci differenzia da chiunque altro, eppure facciamo molta fatica ad accettare ciò che ci rende unici. Sicuramente è stata una grossa fatica per me. Mi sentivo come spogliata, indifesa di fronte agli occhi e al giudizio degli altri. All’inizio provavo un forte senso di pudore, di vergogna, ad accettare la mia voce. Adesso la amo, perché è la voce che mi contraddistingue. È il mio modo, riconoscibile perché solo mio, di raccontare.
Parlaci del tuo ultimo libro.
“La vita sognata” è la storia di una privazione d’amore. Tutta la vita di Marina, la protagonista, si svolge attorno a una mancanza: quella di sua madre, che se ne andò all’improvviso lasciando lei, ancora piccola, e suo padre, nella casa di riposo dove entrambi lavoravano come custodi. La necessità di rielaborare il trauma provocato da questa assenza, anche di fronte alla chiusura totale di suo padre che non ama mai parlarne, spinge Marina a rifugiarsi sempre di più in un mondo di fantasia tutto suo. L’immaginazione diventa un’arma a doppio taglio. Da una parte è il conforto di una bambina, e poi di una adolescente, e poi di una donna, la cui storia è la storia di una privazione d’amore; dall’altra è la trappola che la tiene bloccata a una situazione soffocante e psicologicamente nociva. La casa di riposo per anziani, dove ha sempre vissuto, è come una di quelle pozze d’acqua in cui i piccoli organismi del mare rimangono intrappolati quando arriva la bassa marea e in cui sono costretti a riadattarsi, loro malgrado, per non morire. Neanche la saggezza del professor Giuliani, l’ospite più vecchio dell’ospizio, riuscirà a scuoterla dalla paura di lasciare andare tutto quello che ha e a cui continua ad aggrapparsi, nonostante sia la causa della sua infelicità. L’incontro con Roberto, un giovane studente universitario conosciuto casualmente, travolgerà la vita di Marina prima che venga risucchiata in un vortice delirante, con la stessa potenza con cui l’alta marea travolge le coste.
Descriviti in 3 parole.
Tenace. Sognatrice. Ansiosa.
Di cosa ti occupi oltre ad essere un’autrice?
Lavoro in un ente di ricerca scientifica. E sono anche archeologa. Ogni anno vado a scavare sul Palatino, nel cuore di Roma. Sono i mesi più estenuanti, più belli e più appassionanti dell’anno. Sono una accanita lettrice, soprattutto della scrittura delle donne e sono orgogliosamente socia della Società italiana delle Letterate che ha la sua sede presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma.
Libro nel cassetto?
Mi piacerebbe raccontare una saga familiare o comunque una storia che abbracci più generazioni. Il tempo è una delle mie dolcissime ossessioni.