ROBERTO FAGGION

ROBERTO FAGGION

GionRob, pseudonimo di Roberto Faggion, nasce nel 1971 a Winterthur, in Svizzera. Cresciuto in Italia, sviluppa fin da piccolo un profondo legame con l’arte, alimentato da familiari e amici appassionati di pittura, musica e creatività. Dopo il diploma come Maestro d’Arte a Verona, prosegue la sua formazione alla Scuola di Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano, affinando uno stile personale che unisce tradizione e sperimentazione. La sua esperienza si arricchisce con un percorso nel mondo commerciale dell’arte del Novecento, che gli offre una visione completa anche degli aspetti economici e relazionali legati alla produzione artistica. Con l’arrivo del digitale, si avvicina al mondo del web e dello sviluppo software, integrando nel tempo nuove competenze nel settore blockchain. L’attività artistica, tuttavia, resta il suo nucleo più autentico. Le sue opere si muovono tra pittura, materia e visione interiore, in una costante ricerca spirituale. Attraverso il progetto “Il Quantum nell’Arte”, GionRob esprime una nuova narrazione dell’essere umano, visto come un’entità quantica in profonda connessione con il cosmo. I suoi lavori accompagnano il messaggio del libro “L’Era dell’Abbondanza”, viaggio letterario e filosofico che immagina un futuro evoluto, abitato da individui consapevoli della propria natura divina. Le sue collezioni si articolano in 48 serie numerate e personalizzate, affiancate da opere uniche su tela esposte in mostre personali e collettive. Tra queste, “Sguardi sul Futuro” a Roma, “Genesi dell’Ombra” a Civitavecchia e “Ri-Composizioni” a Palazzo Rospigliosi. GionRob è parte del movimento Arcaista e inserito in pubblicazioni critiche sul panorama artistico contemporaneo. Le sue tecniche combinano acrilico, gesso, materiali plastici e suggestioni orientali, in uno stile che lui stesso definisce “figurativo concettuale”. Cuore, albero, luce e colore sono simboli ricorrenti di un linguaggio pittorico che mira a generare vibrazioni interiori e a risvegliare la consapevolezza di sé. I colori nei suoi quadri non sono solo estetica: diventano onde energetiche, come nella teoria di Kandinskij, capaci di attivare risonanze profonde. GionRob usa la pittura come strumento di trasformazione, cercando di far emergere la parte più alta e invisibile dell’essere umano. Attraverso la sua arte, invita a immaginare un mondo rigenerato, dove scienza, spiritualità e tecnologia convivono per creare un’umanità rinnovata, più vicina alla propria essenza e all’armonia universale.

Cos’è l’arte per te?

L’arte, per me, è un linguaggio dell’anima. È uno strumento espressivo che, quando autentico, ha il potere di sondare le profondità dell’essere umano e restituirne un messaggio che sia comprensibile, trasformativo e utile alla collettività. L’artista è come un sismografo sensibile dell’epoca che vive: capta vibrazioni sottili, le filtra attraverso il proprio universo interiore e le trasforma in forma, colore e simbolo. Non per compiacere, ma per stimolare coscienza, risvegliare il pensiero critico e offrire nuove chiavi di lettura della realtà. La mia arte nasce da una formazione duplice, umanistica e tecnologica, che mi ha portato a coniugare spiritualità e innovazione, materia e metafisica. È un’arte che prende vita dal mio libro L’Era dell’Abbondanza, una visione narrativa e simbolica di un’umanità in evoluzione verso uno stato quantico di consapevolezza. Le mie opere, parte della collezione Il Quantum nell’Arte, ne sono la traduzione visiva: il cuore e l’albero, ricorrenti, diventano archetipi di una rinnovata connessione con il cosmo, con la natura, con il divino che abita l’uomo. Credo in un’arte che non sia né decorazione né design, ma rivelazione. Un’arte che, come sosteneva Kandinskij, agisca su due piani: uno immediato, sensoriale, e uno profondo, spirituale. I colori, nella mia pittura, sono note musicali dell’anima: vibrazioni luminose scelte per generare frequenze capaci di risuonare con l’interiorità dell’osservatore. L’arte è anche un atto di responsabilità. Non può ridursi a una ripetizione tecnica o a un oggetto da mercato: deve interrogare, provocare, guidare. Ogni mia opera è un invito a guardare oltre l’apparenza, a immaginare una nuova umanità, rigenerata, consapevole del proprio potere creativo, fondata su amore, conoscenza e abbondanza. In definitiva, l’arte è un portale. Un varco tra il visibile e l’invisibile, tra scienza e spirito, tra tempo e coscienza. È il linguaggio con cui l’Uomo Quantico, quell’essere fatto di energia, memoria eterna e consapevolezza cosmica, racconta la propria rinascita. E lo fa per compiere l’unico vero scopo: fare della propria esistenza la più bella delle esperienze, trasformando questo pianeta da Inferno Terrestre a Paradiso Ritrovato.

Cosa ti ha spinto a unire arte, spiritualità e tecnologia in un unico percorso creativo?

La mia formazione nasce in ambito umanistico e nelle arti applicate, con una particolare attenzione al linguaggio visivo e al suo potere comunicativo anche nel contesto pubblicitario. In seguito, ho attraversato, in prima persona l’evoluzione digitale, formandomi nell’ambito del software, del web e, più recentemente, delle tecnologie emergenti legate alla blockchain. Questa doppia traiettoria, apparentemente distante, è in realtà la base naturale della mia visione: l’unione tra creatività e innovazione, tra spirito e scienza, tra arte e tecnologia. Non è stata una scelta calcolata, ma un processo inevitabile. Come se questi due mondi, l’estetica dell’invisibile e la logica dei sistemi, fossero destinati a incontrarsi. E in questo incontro ha preso forma la mia arte, che si fa ponte tra le dimensioni: quella materiale e quella spirituale, quella simbolica e quella informatica. Nel mio libro L’Era dell’Abbondanza esploro il concetto di Uomo Quantico: un essere umano che riscopre la propria essenza spirituale e divina, accettando di essere un campo di energia consapevole, dotato di memoria e coscienza. In questo paradigma evolutivo, l’arte diventa un mezzo di rivelazione, e la tecnologia, soprattutto quella quantistica, smette di essere un fine per diventare uno strumento al servizio della coscienza. Non si tratta semplicemente di unire spiritualità e arte, come spesso accade; ciò che distingue il mio percorso è l’integrazione profonda della tecnologia come parte integrante dell’evoluzione dell’essere umano. La tecnologia quantistica, come descritta nella narrativa del mio libro, non è qui per alienarci o dominarci, ma per aiutarci a vivere la migliore esperienza possibile su questo piano fisico e temporale. Attraverso il mio linguaggio artistico, quello che definisco figurativo concettuale, cerco di offrire una visione nuova, in cui l’essere umano è al centro, riscoperto come creatore consapevole, divino, eterno. Solo se ci riconosciamo per ciò che realmente siamo, possiamo immaginare e costruire una nuova realtà fondata sull’armonia, sull’amore, sull’abbondanza e sulla libertà. Questo è il messaggio che porto avanti: un’arte che non solo ispira, ma accompagna il risveglio.

Quando dipingi, da dove nasce la prima scintilla: da un’emozione, da un simbolo o da una visione interiore?

La visione è sempre un intreccio profondo: nasce da un’emozione, prende forma attraverso un simbolo e si radica in una dimensione interiore che potremmo definire spirituale. Ogni opera che realizzo è il risultato di un percorso di introspezione e coscienza, in cui l’elemento emozionale rappresenta la scintilla iniziale, la vibrazione primordiale. Da lì parte il viaggio. Quello stato emotivo si trasforma poi in esperienza coscienziale, e si traduce in un linguaggio fatto di simboli, forme e colori. Il simbolo è la chiave visiva che permette di comunicare l’invisibile. È tramite di senso, portatore di un messaggio più ampio. Come accade nel mio libro L’Era dell’Abbondanza, anche nelle mie opere pittoriche cerco sempre di offrire una narrazione interiore che abbia valore universale. L’esecuzione tecnica, naturalmente, è fondamentale: è ciò che permette allo stile di emergere e all’opera di diventare unica. Ma non è mai fine a sé stessa. Ogni dettaglio ha un’intenzione, ogni tratto è veicolo di una frequenza, ogni colore porta con sé una vibrazione precisa. È attraverso questa alchimia che l’opera pittorica assume il suo significato più autentico. Alla fine, lo scopo non è semplicemente realizzare un quadro, ma offrire un’esperienza. Un’emozione che possa risvegliare nell’osservatore il desiderio di andare oltre, di interrogarsi, di sentire. Perché la coscienza ha un desiderio innato: fare esperienza. Ed è proprio dall’esperienza che nasce la consapevolezza. E dalla consapevolezza, vibrazione e trasformazione. Tutto è energia in movimento, e l’arte ne è una delle sue più alte manifestazioni.

Che significato ha per te il concetto di “Uomo Quantico”?

Il concetto di Uomo Quantico che sviluppo nel mio percorso artistico nasce dall’incontro tra arte, spiritualità e scienza, in particolare dalle scoperte della fisica quantistica che, ormai da decenni, studia l’essere umano come manifestazione di energia cosciente. Ogni cosa nell’universo è fatta di energia, e l’essere umano non fa eccezione: siamo campi vibrazionali in continua interazione con tutto ciò che ci circonda. Definire l’uomo come quantico significa riconoscerlo per ciò che realmente è: un’entità energetica, consapevole, interconnessa, dotata di una memoria propria e di una coscienza attiva. Questo è anche uno dei fulcri centrali del mio libro L’Era dell’Abbondanza, dove l’Uomo Quantico non è un’idea astratta, ma il simbolo vivente di una nuova umanità in cammino verso la piena realizzazione del proprio potenziale spirituale. Come riporto nell’Ottava Lettera di Gionabel, intitolata L’inizio dell’Età dell’Oro: “In un’epoca di profonda trasformazione, l’umano fu riconosciuto come essere quantico, interconnesso con tutte le altre forme di vita e parte integrante dell’universo, dotato di coscienza e anima divina. […] Le energie cosmiche si fusero con l’antica saggezza, trasformando ogni individuo in un essere di luce e consapevolezza. […] Nacque una nuova coscienza umana, caratterizzata da una saggezza elevata e profondo amore. Le sorti del genere umano furono ridefinite per sempre.” Il riconoscimento istituzionale dell’essere umano come entità quantica, dotata di coscienza e memoria, sarebbe la vera rivoluzione per l’umanità. È un cambio di paradigma che rivoluzionerebbe i modelli sociali, educativi, scientifici e spirituali. Con la mia arte, cerco di stimolare questa presa di coscienza, affinché sia ogni individuo a vivere l’esperienza profonda di “scoprirsi”. Perché la vera evoluzione non si impone: si risveglia. E oggi la scienza stessa, con la fisica quantistica, ci offre le basi per affermare ciò che l’intuizione spirituale ha sempre saputo: che siamo molto più di un corpo, siamo un campo intelligente in dialogo costante con l’universo. L’arte, in questo contesto, diventa un veicolo, un invito a riconoscersi, a risuonare con la propria essenza più alta, a ricordare chi siamo veramente.

Lo senti anche come un percorso personale oltre che artistico?

Assolutamente sì. Prima ancora che artistico, il mio è un percorso personale, interiore. Ogni artista autentico è chiamato a compiere un cammino di ricerca, altrimenti non può diventare un filtro sensibile per la società né offrire una direzione. L’arte, per me, è il linguaggio attraverso cui traduco le mie domande, le mie scoperte e anche i miei dubbi: è uno strumento di conoscenza, una forma di pensiero che prende corpo. Il lato artistico e umanistico è semplicemente il canale attraverso cui comunico ciò che vivo dentro. È una forma di scrittura visiva, un alfabeto di simboli, colori e emozioni che mi permette di raccontare il mio viaggio. Creo per me, prima di tutto. Perché sono io, in prima persona, a voler comprendere. La mia è una continua esplorazione: come un ricercatore, raccolgo dati, li confronto, scarto l’impossibile, e anche se ciò che resta appare improbabile… spesso è proprio lì che si nasconde la verità. Quando un risultato non mi convince, riparto da zero, rifaccio il percorso, cambio prospettiva. È un processo ciclico, mai definitivo. E proprio grazie all’arte ho la possibilità di condividere questo cammino. È un dono. Trasformare il mio sentire in forma visiva e poterlo offrire agli altri è ciò che mi riempie di senso e gioia. L’arte, così, diventa un invito: a interrogarsi, a guardarsi dentro, a farsi domande possibilmente quelle giuste. Perché ogni vera trasformazione comincia da una domanda profonda. E ogni opera, se autentica, è una soglia verso quella domanda.

Quanto ha influenzato il tuo passato nel mondo della vendita d’arte nel modo in cui ti relazioni oggi con il pubblico e i collezionisti?

La mia esperienza nel mondo della vendita d’arte è stata fondamentale per comprendere a fondo le dinamiche, spesso invisibili, che regolano il sistema artistico contemporaneo. Mi ha mostrato quanta speculazione, quanta manipolazione ideologica e quanta strumentalizzazione possano celarsi dietro un’opera o persino dietro interi movimenti artistici. Con il tempo ho visto crescere sempre di più quella che definisco “arte commerciale”: un’arte piegata alle logiche del mercato, orientata non tanto a trasmettere significati profondi quanto a servire interessi economici, politici e mediatici. In molti casi si è cercato di cancellare la realtà, rifugiandosi in mondi concettuali o virtuali, come se la quotidianità fosse troppo scomoda per essere raccontata. Questa deriva ha spesso confuso il virtuale con lo spirituale, generando un vuoto espressivo che alimenta inconsapevolmente l’alienazione collettiva. Allo stesso tempo, l’enfatizzazione di simboli legati al denaro — come il dollaro o il Bitcoin — ha trasformato l’arte in un feticcio della ricchezza materiale, illudendo che il benessere coincida con il possesso. Eppure, ho avuto anche la fortuna di incontrare artisti autentici, mossi da ideali profondi, che si ispiravano alla mitologia, alla filosofia e alla spiritualità. Artisti che cercavano di trasmettere visioni elevate e senza tempo, e che mi hanno lasciato un’eredità preziosa: la convinzione che l’arte debba essere prima di tutto un bene culturale, un’eredità per l’umanità, uno strumento di risveglio. Questi principi li ho ritrovati oggi nel movimento Arcaista, di cui faccio parte. Un movimento che condivide la volontà di riportare l’arte al suo ruolo originario: essere messaggio, guida e memoria collettiva. Oggi, forte di quell’esperienza, mi relaziono con il pubblico e i collezionisti con maggiore consapevolezza e integrità. So riconoscere chi è mosso da un’autentica sensibilità e chi, invece, cerca solo l’ennesimo investimento. Ma percepisco anche un cambiamento in atto: un lento ma concreto ritorno ai valori essenziali dell’arte. Un’arte che vuole ispirare, educare, lasciare tracce. E se un’opera riesce a sopravvivere alle mode e alle logiche del mercato, allora sì — quella è arte. Quella è memoria viva.

Hai definito il tuo stile “figurativo concettuale”. È un linguaggio che senti ancora in evoluzione o ormai compiuto?

Definire il mio stile come figurativo concettuale significa riconoscere fin dall’inizio che si tratta di un linguaggio in continua trasformazione. Non è una formula statica, né tantomeno un punto di arrivo, ma un organismo vivo, in perenne evoluzione. Sarebbe riduttivo pensarlo come qualcosa di “compiuto”, perché la mia arte nasce proprio dall’urgenza di esplorare l’invisibile, di raccontare una realtà in mutamento, di tradurre l’evoluzione spirituale dell’essere umano. Il figurativo, nel mio caso, non è mai solo descrittivo. Non rappresenta semplicemente ciò che si vede, ma diventa una porta d’accesso a ciò che si percepisce interiormente. Attraverso simboli, archetipi, elementi allegorici e metafore visive, cerco di evocare nel fruitore un livello di comprensione che non è solo intellettuale, ma anche intuitivo e animico. Il mio linguaggio è uno strumento per raccontare l’essere umano nella sua dimensione quantistica, interconnessa, divina. Per questo ogni opera è un messaggio, un invito a ricordare chi siamo davvero. L’aspetto concettuale non si riduce a un pensiero astratto, ma è la struttura profonda che tiene insieme il messaggio, la visione e la forma. Ogni lavoro è il risultato di un processo interiore, di riflessione, di intuizione, di ascolto. E proprio come la coscienza si espande, anche il mio stile evolve: si contamina, si raffina, si apre a nuove frequenze, assorbe simbolismi antichi e suggestioni future. Ogni opera non è un punto fermo, ma un passaggio, un passo ulteriore in un viaggio senza fine. Un’opera non chiude, apre. È parte di un dialogo continuo tra arte e coscienza, tra il visibile e l’invisibile, tra l’uomo e ciò che sta diventando. E in questo senso, il mio figurativo concettuale è vivo, presente, ma mai definitivo. È la forma che meglio riesce a contenere l’infinito in trasformazione.

In che modo le tue opere parlano al corpo e all’anima di chi le osserva?

Le mie opere si rivolgono contemporaneamente al corpo e all’anima, come ponti visivi che collegano il mondo sensibile con quello invisibile. Attraverso un linguaggio che definisco figurativo concettuale, cerco di attivare nello spettatore una vibrazione interiore, una chiamata silenziosa alla riscoperta di sé. Gli elementi ricorrenti – come il cuore, l’albero, i simboli cosmici – sono segni archetipici, portali narrativi che accompagnano chi guarda verso una nuova visione dell’essere umano: un’entità quantistica, divina ed eterna, profondamente connessa al tutto. Questa è la visione che anima anche il mio libro L’Era dell’Abbondanza, e che trova la sua naturale espressione nella collezione Il Quantum nell’Arte. Sul piano visivo, mi affido a cromie luminose e armonie dinamiche di toni chiari e scuri. Uso il blu e il verde per evocare pace, profondità e connessione con la natura; l’oro, l’arancio e il giallo per richiamare il sogno, la luce interiore e l’amore per la vita. Queste scelte cromatiche non sono mai casuali: seguono i principi spirituali del colore di Kandinskij, dove ogni tinta è una nota spirituale capace di toccare corde emotive profonde, come se il colore stesso suonasse nell’anima. Lo spettatore, davanti alle mie opere, viene invitato a “sentire” oltre che a “vedere”. L’utilizzo di grafie nette, con suggestioni arabeggianti e bizantine, e la presenza materica in alcune composizioni, come nei bassorilievi in gesso o negli effetti che ricordano il mosaico, aggiungono una dimensione tattile e simbolica che stimola anche il corpo, il tatto, la memoria. Credo che l’arte debba oggi offrire strumenti per l’elevazione della coscienza. Per questo la mia ricerca non si limita al bello, ma mira al trasformativo: a generare connessioni, a risvegliare domande, a nutrire visioni. Le mie opere sono inviti silenziosi a riscoprirsi parte di un disegno più ampio, un tutto vivo e intelligente. L’obiettivo? Coltivare una nuova consapevolezza, verso una Era dell’Abbondanza Spirituale, nonché una Nuova Età dell’Oro.

Cerchi un effetto preciso o lasci che trovi ognuno il proprio significato?

Il messaggio alla base delle mie opere è sempre chiaro e ben definito: ogni creazione nasce con un’intenzione precisa, un punto di partenza che rappresenta la visione che voglio condividere, spesso legata alla consapevolezza dell’essere umano come entità quantica, spirituale e divina. Il mio stile figurativo concettuale è, in questo senso, uno strumento di direzione: organizza simboli, colori, forme e segni con l’obiettivo di offrire un “sentiero” narrativo, una traccia che possa guidare lo spettatore verso il nucleo del significato che voglio evocare. Ma ciò non significa chiudere l’opera in un’interpretazione univoca. Al contrario. La potenza di un’opera, per me, risiede proprio nella sua capacità di essere viva, di dialogare con chi la osserva in modo dinamico, profondo, personale. Ogni fruitore, attraverso il filtro della propria sensibilità, della propria esperienza e del proprio livello di coscienza, coglie qualcosa di diverso, a volte inaspettato, ma sempre vero per lui. L’opera non dà risposte: pone domande. È un innesco. Una soglia che invita alla riflessione, che stimola la memoria interiore, che risveglia intuizioni sopite. L’arte, in questo senso, è uno specchio che riflette non solo ciò che l’artista ha inteso comunicare, ma anche ciò che l’osservatore è pronto a vedere. Mi piace pensare che ogni mio lavoro sia una mappa aperta, una geografia spirituale costellata di simboli, come il cuore, l’albero, la spirale, che ognuno può esplorare secondo la propria direzione. Ciò che conta è che da quell’incontro, tra il mio messaggio e la sua percezione nasca qualcosa: una domanda, una risonanza, un risveglio. In definitiva, sì, il messaggio è preciso, ma non è mai imposto. È un invito. E come ogni invito, lascia libertà. Libertà di interpretare, di sentire, di trasformarsi. Perché è proprio nel dialogo tra artista e fruitore che l’opera prende pienamente vita. E quando questo accade, l’arte diventa strumento di evoluzione.

Kandinskij è una fonte dichiarata d’ispirazione. Ci sono altri artisti, antichi o contemporanei, che senti spiritualmente vicini?

Sì, Kandinskij resta un punto cardine del mio percorso per il suo idealismo visionario e per la profondità con cui ha esplorato il linguaggio spirituale del colore. La sua idea che il colore agisca come una “nota dell’anima” risuona profondamente con la mia ricerca artistica, in cui ogni cromia ha un preciso intento vibrazionale. Accanto a lui, però, sento fortemente la risonanza con molte altre correnti e autori, in particolare con tutto ciò che possiamo definire arte primitiva, ovvero quell’espressione artistica non ancora influenzata dal naturalismo idealizzato della tradizione classica. Mi affascinano profondamente le civiltà che hanno prodotto arte sacra e simbolica; come quella egizia, bizantina, romanica e tardoantica, perché in esse vedo una connessione più diretta, archetipica, tra gesto creativo e dimensione spirituale. Anche gli artisti del tardo Ottocento e delle Avanguardie, che si lasciarono ispirare dalle forme arcaiche e dalle sculture tribali, mi hanno influenzato. Gauguin, ad esempio, seppe cogliere nel primordiale una libertà assoluta, una purezza espressiva autentica. Lontana dall’imitazione della realtà, la sua arte, come quella di altri simbolisti ed espressionisti, si fonda sulla stilizzazione, sulla deformazione voluta, sull’uso evocativo del colore. Tutti elementi che sono centrali anche nella mia pittura. In questa linea simbolica e spirituale si inserisce anche Gustav Klimt, con le sue opere in cui la decorazione e la preziosità delle linee diventano veicolo di contenuti mistici. Il bacio, ad esempio, racchiude una spiritualità arcaica e sensuale al tempo stesso, quasi sospesa tra tempo e eternità. E poi Modigliani, con il suo disegno lineare e la scelta di colori terrosi, essenziali, ma profondi: in lui ritrovo una tensione poetica che parla di interiorità, di silenzi, di anime. Tra gli artisti simbolisti che sento affini ci sono Gustave Moreau, Odilon Redon, Paul Sérusier, ciascuno capace di evocare universi sospesi tra mito, inconscio e spiritualità. Così come il Surrealismo, con autori come Magritte, Mirò, Ernst, De Chirico e Giacometti, ha saputo varcare i confini della logica per esplorare le profondità dell’animo umano e dell’invisibile. Mondrian, a sua volta, è una figura chiave: ha saputo tradurre la spiritualità in equilibrio formale, usando l’albero come simbolo dell’elevazione e il colore come codice di armonia universale. La sua visione di un’umanità in cammino verso un progresso interiore e collettivo risuona con la mia stessa visione dell’Uomo Quantico. Non posso non citare anche Rudolf Steiner e la sua antroposofia, che concepisce l’essere umano come cittadino di due mondi: uno materiale e uno spirituale. La sua idea di “osservazione animica” è in piena sintonia con il mio intento artistico, che mira proprio a rendere visibile ciò che normalmente resta invisibile. Infine, a livello più personale, porto con gratitudine l’influenza del mio maestro Cavandoli, che ho avuto il piacere di avere come insegnante durante il mio percorso di studi a Milano. La sua Linea essenziale, ironica, ma potentemente espressiva ha contribuito a modellare la mia grafia decisa e simbolica, ancora oggi visibile nei miei tratti pittorici. In definitiva, la mia ispirazione nasce da un incontro tra epoche, culture e anime. Tutti questi riferimenti dal Primitivismo all’arte bizantina, dai simbolisti agli artisti moderni più visionari, convivono nel mio linguaggio figurativo concettuale, che cerca di fondere forma, spirito e significato in un’unica vibrazione percettiva.

Come vivi il rapporto con la materia quando lavori: è un dialogo, una sfida o una forma di meditazione?

Quando creo – che si tratti di un’opera pittorica, di un disegno o di uno scritto – entro in uno stato di connessione profonda con la parte più autentica e silenziosa della mia coscienza. È da lì che nasce tutto. Non è un’azione guidata dalla mente né dalle emozioni, ma da una presenza più elevata, che mi abita e mi orienta. È una guida interiore che non ragiona, sa. La verità risiede in lei, e io ho imparato nel tempo a fidarmi completamente di questo flusso. Non vivo la creazione come una sfida. Al contrario, è un atto di ascolto. È un dialogo sacro con una parte di me che riconosco superiore, profonda, atemporale. Quando sono connesso a questo spazio interiore, le immagini si compongono, i simboli emergono, i colori si rivelano. La mano si muove perché qualcosa dentro me indica la direzione. Quando questo stato non si attiva, semplicemente non creo. Ho provato in passato a forzare il processo, ma il risultato era privo di anima, distante, non mi apparteneva. Il rapporto con la materia è quindi simile a una forma di meditazione attiva. Entro in uno stato di presenza pura dove il tempo si dissolve: ore intere possono trascorrere senza che me ne renda conto. È come essere immerso in una corrente, completamente assorbito da ciò che sto facendo, ma senza sforzo. Naturalmente, l’esperienza tecnica accumulata nel tempo è fondamentale. Mi permette di tradurre in forma concreta ciò che percepisco. Prima di ogni opera, realizzo bozze, studio composizioni su carta o digitalmente, elaboro gli spazi, i punti di fuga, l’equilibrio tra pieni e vuoti. Ma tutto questo serve solo a sostenere la visione, non a guidarla. Durante il processo, può accadere che alcuni elementi si trasformino o si aggiungano. Quando il messaggio che intendo trasmettere è particolarmente complesso, come nel caso dell’opera L’introspezione, è proprio la materia stessa a suggerire le variazioni. Come se mi parlasse, chiedendomi di essere riassemblata in un modo più fedele all’intento originario. In definitiva, per me creare è un atto sacro. Un momento in cui corpo, anima e spirito si allineano per rendere visibile ciò che nasce dall’invisibile. Un ascolto profondo, un dialogo silenzioso, una forma di preghiera in azione.

C’è un’opera della tua produzione a cui sei particolarmente legato, una sorta di autoritratto spirituale?

In realtà non ho mai realizzato un vero autoritratto spirituale, ma ogni mia opera contiene una parte profonda di me, della mia coscienza. È come se ogni lavoro fosse un frammento del mio essere che scelgo di condividere, un dono per chiunque possa beneficiarne. Tra tutte, ci sono due opere a cui sono particolarmente legato. “Introspezione” è un viaggio simbolico dentro l’animo umano, un invito a guardarsi dentro, a esplorare la propria coscienza. La maschera al centro dell’opera – con un occhio maschile e uno femminile – rappresenta l’equilibrio delle due energie interiori. L’albero dorato che si intreccia con il volto simboleggia crescita e trasformazione, mentre le farfalle, gli uccelli e le pedine degli scacchi parlano di libertà, scelte e battaglie interiori. È un’opera che rispecchia la mia continua ricerca spirituale, il desiderio di andare oltre le apparenze per ritrovare la nostra essenza più autentica. “La Nuova Età dell’Oro”, invece, rappresenta una visione evolutiva dell’umanità. Qui l’arte si intreccia con i concetti del mio libro L’Era dell’Abbondanza. Le due figure centrali, il guerriero e la creatrice, simboleggiano la fusione di forza e amore. Il Sintonizzatore Stellare al centro del petto è un simbolo potente: connette il cuore dell’uomo al cosmo, rappresentando il potenziale spirituale dell’essere umano come co-creatore della realtà. L’albero con le foglie a forma di cuore, che affonda le radici in una città futuristica e si espande verso il cielo, unisce terra e cielo, materia e spirito, scienza e coscienza. Queste due opere, pur diverse, sono per me tra le più significative. In ognuna c’è la mia visione, la mia vibrazione, la mia intenzione più autentica. Le sento vive, perché sono nate da una connessione profonda con la mia coscienza, e continuano a vivere ogni volta che qualcuno le osserva e ne riceve un messaggio, anche silenzioso.

Qual è la visione più audace che speri possa realizzarsi grazie all’arte che stai portando nel mondo?

Ogni volta che propongo un’opera, è come se stessi lanciando un seme nel mondo. La mia speranza è che possa trovare il suo terreno fertile, crescere, radicarsi e diventare, come un albero secolare, una presenza viva che nutre, ispira e dona energia incondizionata a chiunque entri in contatto con essa. Vorrei che ogni opera offrisse una connessione autentica, come una sorgente silenziosa da cui attingere respiro e senso. A questa visione si unisce anche un aspetto più contemporaneo e tecnologico, legato al mondo della Blockchain. Mi piacerebbe che in futuro le mie opere potessero essere condivise in modo più ampio e accessibile, restando visibili a tutti ma, al tempo stesso, diventando un bene a cui chiunque possa partecipare. Questo è possibile grazie alla tokenizzazione, un processo che trasforma un’opera d’arte in un bene digitale, chiamato token. In pratica, è come “suddividere” i diritti sull’opera in piccole quote digitali sicure, tracciabili e non duplicabili. Si tratta di una forma moderna di custodia e valorizzazione, che consente a più persone di diventare co-proprietari di un’opera, pur lasciandola, per esempio, in esposizione in un museo o in un luogo pubblico. La tokenizzazione non toglie valore all’opera fisica, anzi: la protegge, ne garantisce l’autenticità e permette che continui a vivere anche in forma digitale, accessibile e condivisa. È un modo nuovo di pensare l’arte: più aperto, inclusivo, partecipato. Un sistema che unisce spiritualità, innovazione e visione collettiva. Per me, è un passo in avanti verso un’arte che non sia solo contemplazione, ma anche connessione, responsabilità e futuro condiviso. Perché l’arte può davvero essere un ponte tra mondi: tra passato e futuro, tra l’individuo e il tutto, tra il visibile e l’invisibile.

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