SIMONE CONSORTI

SIMONE CONSORTI è nato nel 1973 a Roma, dove insegna in un liceo. Ha esordito con “L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’”(Baldini e Castoldi 1999, Premio Euroclub 2000, Premio Linus). Ha pubblicato i romanzi “Sterile come il tuo amore”(Besa, 2008), “In fuga dalla scuola e verso il mondo”(Hacca, 2009), “A tempo di sesso”(Besa, 2012),“Da questa parte della morte”(Besa, 2015), “Otello ti presento Ofelia” (L’erudita, 2018), “La pioggia a Cracovia”(Ensemble, 2019), “Vi dichiaro marito e morte”(Ensemble, 2021).  Sono uscite diverse sue raccolte di poesia tra cui “Nell’antro del misantropo” (L’arcolaio 2014) e “Le ore del terrore”, (L’arcolaio, 2018). Le sue piéces “Berlino kaputt mundi” e “Sterile come il nostro amore” sono andate, con successo, in scena, rispettivamente al Teatro Agorà e al Teatro Antigone di Roma tra il marzo e il giugno del 2018. Si occupa di street photography; ha tenuto mostre personali in Italia e partecipato a collettive in Francia e Russia.

Quando e come hai iniziato a scrivere? Come è nata questa tua passione?

La mia passione per la letteratura, abbastanza tardiva o perlomeno non precocissima, è nata leggendo “Tom Sayer”. Leggere viaggiare vivere avventure immaginare: quel libro magico e speciale mi ha fatto capire, intorno ai quattordici anni, che potevo farlo anche dal mio letto o rimanendo, paradossalmente, fermo. Mi sono immedesimato nel personaggio e una volta finito il racconto mi è venuto l’istinto di continuarlo. Non essendo in grado di farlo, son passato ad “Huckelberry Finn”. La scrittura vera e propria, invece, si è presentata l’estate del primom liceo. Avevo un debito in Scienze e la mattina mi alzavo prestissimo per studiare due ore. In realtà, di nascosto da tutti, una delle due era dedicata alla stesura dei racconti di “Cercando di crescere”, testi brevissimi scritti a mano(sono mancino) su un blocco arancione che forse è ancora sepolto in qualche armadio. Se lo ritrovassi oggi sarei a rischio infarto. Mi ricordo che parlavano di gite scolastiche, di una bambina  con un handicap che incrociavo sulla spiaggia, di un portiere di calcio grande quanto tutta la porta e di un tipo che aveva braccia o dita o unghie, non ricordo più, troppo lunghe per suonare la chitarra.

Come nasce un tuo romanzo e qual è la tua fonte di ispirazione?

Tranne in un caso, nel giallo “A tempo di sesso”, ho sempre scritto di cose che mi sono capitate. L’ispirazione, l’ occasione spinta è sempre la vita, da cui parto per immaginare uno sviluppo o un finale meno noioso o inaccettabile. Spesso oggetivizzo cose che mi hanno fatto parecchio male (un lutto, una malattia, una sconfitta) cercando di raccontarmela con autoironia, alla maniera di Svevo o Woody Allen. Le mie pagine sono disseminate di alter ego molto più simpatici di me.

Qual è il genere letterario che preferisci scrivere?

Tutto cilò che è breve dura a lungo, lascia un’impressione che permane. Un suono istantaneo regala un’eco più lunga, un flash si impressione sulla retina. Mi piace camminare o ascoltare musica e senza nemmeno prevederlo trovarmi ad avere in dono una scena-madre, un finale o un verso e trascriverlo sul momento. La regola che mi do è che il tutto non deve prendermi più di due o tre giorni.

Il personaggio che hai creato che ti è più caro e perché?

Più di uno, in genere le dramatis personae dei racconti brevi. Nell’ultimo libro intitolato “Un posto vicino al tramonto”, mi sono particolarmente affezionato al personaggio di Casagemas, l’amico suicida di Picasso, forse artista, forse impotente, che gli ha ispirato il periodo blu. Nell'”Incoscienza”mi sono sdoppiato in entrambi i personaggi, l’ex professore Salvo Ragazzi e il suo psicoanalista, stessa operazione che ho portato avanti in “In fuga dalla vita e verso il mondo”, dove ho proiettato alcuni miei pensieri ed esperienze sia sulla voce narrante, l’alunno Valerio, che sul terribile professor Anzanelli. Tuttavia, il personaggio a cui mi sento compulsivamente più vicino è l’ipocondriaco e insonne Simone Sposini (sic!) de “L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’ “, come me in cerca di legami lavoro famiglia serenità e,ovviamente, in fuga da tutto questo.

Qual è il consiglio più prezioso che hai ricevuto come scrittore e che vorresti condividere con noi?

Non sono sicuro di averlo trovato ne “Il mestiere di vivere” di Pavese,ma sono fermamente convinto che scrivere sia parlare un po’ da soli  illudendosi però di parlare con una folla, e  che questa cosa sia un processo schizofrenico. Più sei tendenzialmente schizoide meglio scrivi. Detto questo, citando uno dei libri che ho più amato, ovvero “Hotel New Hampshire” di John Irving: “Bisogna continuare a passare per le finestre aperte. Bisogna farsene un’ossessione e rimanere ossessionati”, eccolo il vero suggerimento. E’ qualcosa che va oltre lo sforzo, l’impegno o la pazienza, è la convinzione che quel che si fa, sdoppiandosi nella scrittura, possa creare bellezza o combattere l’entropia, o dare un senso vero a tutto il resto. In questo periodo ci credo pochissimo.

Di cosa ti occupi oltre ad essere un autore?

Insegno da un quarto di secolo, ma a  settembre mi fermerò per un anno per fare il giro del mondo. Poi riprenderò. Per tanto tempo ho anche fotografato in bianco e nero. Ora il mio occhio destro mi sta dando dei problemi, ma potrei tornare anche come street photographer, non posso escluderlo. Altrimenti potete  vedervi qualcosa vintage qui: https://sconsorti1.wixsite.com/simoneconsorti

Parlaci del tuo libro.

Il titolo originale de L’incoscienza”, (Les Flaneurs edizioni) era “Dacci oggi il nostro panico quotidiano”, un titolo che trovavo originalissimo, così originale che era già stato usato. Trattare un tema tosto, come gli attacchi di panico, con ironia, era l’idea. Volevo parlare del panico per distanziarmene e volevo recuperare l’ironia dei miei primi libri. Sicuramente il mio libro più sveviano. Salvo Ragazzi, ex professore fallito su tutta la linea e il suo analista acidificato da un paziente durante una seduta, sono dei veri super inetti. Probabilmente “L’incoscienza” è anche il mio libro più citazionista e postmodernista, eppure al di là dei vari filtri sto ancora parlando di me, e della mia difficoltà ad essere autentico e diretto. Alla fine, anche quando si ci mette in gioco o a nudo, scrivere è sempre oggettivizzare (quindi allontanare) una parte di sé.

Libro nel cassetto?

Per ora nulla.  Ho due romanzi terminati che nessuno ha ancora mai letto, ma credo che rimarranno lì. Invece, visto che sto partendo per questo lungo viaggio di un anno(Perù, Bolivia Brasile, Messico, Stati Uniti, Cina, Cambogia, Indonesia, Australia, ecc.) non posso escludere che prenderò appunti e/o farò  foto. Quindi potrei uscirmene o con un libro fotografico  o con un reportage impressionista, tipo descrizioni, brevi spunti o, magari, dialoghi tra sconosciuti.

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