Nata e cresciuta nella provincia milanese, con origini tosco-lucane, mi laureo in Lettere e mi trasferisco a Firenze per proseguire gli studi con un Master in Comunicazione, specializzandomi nel mondo dell’organizzazione di eventi. Nel 2012, seguendo quello che sarebbe diventato mio marito, mi trasferisco a Roma. Qui mi stabilisco, metto radici e divento mamma di due bambini. Da sempre appassionata di arte, lettura, cinema e viaggi, sono convinta che le città in cui ho vissuto, così come quelle che ho visitato, abbiano profondamente influenzato il mio modo di essere, spingendomi costantemente a ricercare il “bello” in ogni cosa. Qualche anno fa, con il desiderio di imparare “a fare” che cresceva dentro di me, ho deciso di vivere l’arte da protagonista. Disegnare è sempre stata una mia passione fin da piccola, e con un’indole creativa alla continua ricerca di nuovi stimoli, mi sono iscritta a una Scuola d’Arte. È lì che mi sono innamorata della pittura, che è diventata una grande passione e uno spazio intimo e irrinunciabile, entrando in modo definitivo nella mia vita. Negli anni ho trovato nell’olio su tela il mio medium preferito, grazie alla sua matericità, luminosità e “vita”. Dopo aver sperimentato tecniche e soggetti diversi, ho scoperto una particolare soddisfazione nel ritrarre figure umane, sia volti che corpi. Amo dipingere su tela o stoffa colorata, utilizzando pennello e spatola per dare vita alle mie opere. Tra le mie serie più significative ci sono “Follia a metà” e “Ladies su stoffa”, che amo particolarmente. Ma il mio percorso creativo è in continua evoluzione, con tante idee e progetti che attendono solo di prendere forma.
Che significato ha l’arte per te?
L’arte per me è emozione e sorpresa. Qualunque cosa che venga creata, capace di genera stupore e di emozionare (in ogni modo possibile) in chi la osserva o la vive da spettatore, allora quella è Arte. Se un’ opera ha emozionato non solo chi l’ha realizzata, ma anche una sola altra persona su mille, allora può essere considerata un’opera artistica.
Come e quando è iniziato il tuo percorso artistico?
Esattamente 7 anni fa, passeggiando con mia figlia di 5 mesi, sono entrata in una scuola d’Arte del mio quartiere, VitArte. Da mesi sapevo fosse li, da anni desideravo imparare a dipingere. Pur avendo da sempre amato disegnare, non avevo mai imparato a dipingere. Quel giorno mi sono detta “perché no?”. La mia Maestra Anna ancora oggi ricorda, ridendo, quel giorno in cui, con una neonata nel marsupio e già mamma di un secondo figlio piccolo, chiedevo informazioni sui suoi corsi. Quel giorno ha pensato che sarei durata qualche mese. Invece sono passati 7 anni e ringrazio il giorno in cui ho avuto il coraggio di entrare in quello studio e ho potuto scoprire una Passione che non mi ha più abbandonato. E la mia maestra per avermi passato l’amore per l’olio.
Cosa ti ha ispirato a scegliere le figure umane come soggetto principale delle tue opere?
Negli anni ho studiato e imparato a dipingere soggetti diversi, con tecniche diverse. Ma ho capito subito che l’olio era la mia materia, e che dipingendo una figura umana, in particolare il volto, sentivo qualcosa di diverso. E’ come se il pennello sapesse da solo cosa fare. C’è una cosa che più di tutte mi cattura e mi ipnotizza, dipingendola: l’occhio. Starei ore ad aggiungere tocchi per renderlo “vivo”. Posso decidere di realizzare un volto più astratto con pochi dettagli e solo macchie di colore, ma l’occhio che dipingo deve sembrare guardarmi davvero.
Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato quando hai deciso di dedicarti alla pittura in modo più serio?
Uscire dagli schemi, realizzare qualcosa che non fosse solo dipingere, ma anche creare. Progettare. Rischiare in qualcosa di nuovo. Un giorno ho visto un video di un’artista polinesiana che realizzava dei pareo decorativi, dipingendo immagini sulle loro meravigliose stoffe locali. E mi sono detta “devo per forza dipingere sulla tela bianca? Perché il supporto stesso non può già essere un’opera, su cui io aggiungo la mia?” Non avevo idea di come e dove iniziare. Avevo appena letto la biografia di Frida Kahlo, e senza pensarci due volte mi sono detta “proviamo con Lei”. Una donna totale. E’ stato il quadro più difficile che avessi mai realizzato. L’olio sulla stoffa, soprattutto su alcuni tessuti, non scorre, quindi va diluito. Ma se lo diluisci troppo risulta quasi invisibile sul colore e sulla fantasia della stoffa. Bisogna trovare ad ogni colpo di pennello il giusto equilibrio, la giusta consistenza e aggiungere colore su colore per far “uscire il soggetto” e renderlo protagonista dell’opera, senza che la stoffa gli rubi la scena. Proprio queste difficoltà e riuscire a superarle, ma mi hanno dato lo slancio per andare oltre gli schemi e le regole, e per trovare uno stile che sentissi “mio”.
Puoi raccontarci di più sulla serie “Follia a metà”?
Questo progetto nasce con l’opera su Joker. Volevo ritrarre un personaggio iconico, e scorrendo immagini sul web in cerca di ispirazione mi sono trovata lui di fronte, in mille fotografie, quadri, opere di ogni tipo . E mi è tornato in mente il film con Joaquin Phoenix e quanto mi avesse colpito la storia. Joker è senza dubbio un personaggio cattivo, spietato, crudele. Ma è stato il suo passato devastante, la sua infanzia drammatica, ad averlo resto l’uomo di oggi. Come poteva essere altrimenti? Da qui il del quadro titolo “cattivo, ma non per scelta”. Spesso vediamo solo una faccia di un personaggio, ma cosa sappiamo dell’altra che non mostra?
Cosa rappresenta per te e quale messaggio vuoi trasmettere attraverso queste opere?
Dopo Joker, ho pensato che mi sarebbe piaciuto dipingere altri personaggi “folli”, ambigui, istrionici. Ho da sempre una grande passione (amore!) per Tim Burton, e i suoi personaggi hanno quasi sempre queste caratteristiche. Tra i tanti ho scelto il Cappellaio Matto e Edward Mani di Forbici (il mio personaggio burtoniano preferito). Rimanendo poi in tema “dark” non ho potuto fare a meno di scegliere anche il re dei Goblin, nella magistrale interpretazione di David Bowie in Labyrinth. Cos’hanno in comune questi personaggi? La FOLLIA, buona o cattiva che essa sia. Vediamo e restiamo colpiti (e attratti?) dalla loro follia, dalla loro eccentricità, dalla loro “diversità”. Ma cosa c’è dietro? Cosa li ha portati a questo? Perché sono diventati quello che sono? Possiamo davvero giudicarli, senza conoscerne il background? Qual è l’altra metà della loro faccia? Non la conosciamo. Non si vede. E quindi io non la dipingo.
Come scegli i colori e le stoffe per le opere della serie”Ladies su stoffa”? C’è un significato particolare dietro queste scelte?
Sin dalla prima opera della serie, ho scelto prima il personaggio. Mi lascio ispirare da esso. Vicino casa c’è un grande negozio di tessili, e di fonte ad una lunga parete di “scampoli” scorro stoffe colori e fantasie finchè arriva quella che, senza alcun indugio, attira la mia attenzione e mi dice “sono io”. In questa serie la stoffa deve essere co-protagonista del soggetto, ma senza rubare la scena. Appare sotto la pelle delle donne che ritraggo, appare sullo sfondo. Se non è esattamente “quella giusta”, rovinerebbe l’opera. Da Frida in poi ho ritratto una donna, famosa o meno, per ogni Continente. Sto lavorando oggi al quinto personaggio, europeo…
Ci sono artisti o movimenti artistici che hanno influenzato il tuo stile e il tuo approccio alla pittura?
Parlando di movimenti artistici, tra tutti ho sempre amato molto gli “impressionisti”. Mi piace l’idea che un quadro, per essere bello, non debba essere la copia conforme dell’originale. Tutt’altro, trovo molto più emozionante un’ opera che con poche macchie di colore, con tocchi di luce e ombra, dia l’idea esatta di quello che sta rappresentando. Non sono un’amante dell’iperrealismo. Trovo che sia una tecnica senza dubbio molto difficile e per cui bisogna essere ottimi e pazienti disegnatori. Ma trovo più geniale l’artista che con tre colpi di colore e’ capace di ritrarre un viso che lascia lo spettatore a bocca aperta.
Il tuo background in organizzazione di eventi ha influenzato in qualche modo il tuo processo creativo o il modo in cui presenti le tue opere?
Quando realizzi un evento devi essere attento ad ogni minimo dettaglio. Tutto deve essere in perfetto equilibrio e sintonia, perché l’evento possa ritenersi ben riuscito. Perché si possa dire che è stato un “bell’evento”. Forse nell’arte è in qualche modo la stessa cosa: se riesci a mettere insieme tutti gli elementi nel miglior modo possibile e in armonia tra loro, anche se con scelte personali e soggettive, l’opera finale sarà senz’altro ben riuscita.
Come riesci a bilanciare la tua vita di mamma con il tempo dedicato alla pittura e alla tua creatività?
Come tutte le mamme: facendo l’equilibrista! Sono mamma di due bambini piccoli ,e desidero essere presente e partecipe in prima persona delle loro vite. Quindi metto sempre davanti loro, i loro tempi e i loro spazi. Ma, come ogni donna dovrebbe fare, bisogna ricordarsi che una mamma – o una moglie, collega, amica – è anche e soprattutto una Donna. Con pensieri, obiettivi, passioni che sono solo sue e a cui – per l’appunto spesso facendo i salti mortali o cercando aiuto dove possibile e l’appoggio di famiglia e amici – non si dovrebbe dover rinunciare. La mia passione, irrinunciabile, è l’arte. Oggi riesco a dipingere solamente quando sono tra le quattro mura della mia scuola d’Arte. Quando entro li, chiudo il resto del mondo alle spalle, e ci siamo solo io e la tela.
C’è un’opera o un progetto in particolare che consideri il tuo traguardo più importante fino ad oggi?
Credo che le “Ladies su stoffa” oggi siano il mio progetto più riuscito e quello che mi ha appassionato e impegnato di più. Lo porterò senz’altro avanti con altre idee su stoffa, magari spaziando tra personaggi diversi, non necessariamente femminili.
Hai qualche sogno o obiettivo artistico che vorresti realizzare nei prossimi anni?
Vorrei riuscire in futuro a dedicare più tempo alla mia arte, non solo nel senso fisico del termine, ma anche dal punto di vista delle collaborazioni (mostre, eventi, etc). Negli ultimi due anni si sono delineate interessanti collaborazioni, e mi attrae la prospettiva che tra qualche anno gli spazi che potrò dedicare all’Arte saranno più importanti.
Hai mai pensato di esporre le tue opere in altre città o Paesi, magari per condividere il tuo lavoro con un pubblico internazionale?
In questi ultimi mesi mi è capitato di ricevere proposte anche a livello internazionale. Ad oggi, il mio freno più grande (a parte la difficoltà a livello di “tempo a disposizione“) è quello economico. Quando avrò possibilità di gestire anche in progetti più estesi e impegnativi, non avrò sicuramente alcun freno nel condividere i miei lavori con un pubblico internazionale.
Descriviti in tre colori.
Più che in tre colori, mi descriverei in un colore e un simbolo: il viola e la spirale. Il viola è un colore dalle mille facce. A seconda della tonalità, può essere serio o frivolo, sensuale o allegro, cupo o luminoso. Mi piace pensare di poter essere una Simona diversa, a seconda di come mi sento in quel momento o in quella particolare occasione. La spirale è un simbolo che esteticamente amo da sempre (ne ho anche una sulla spalla sinistra, mio unico tatuaggio), ed è “casualmente” anche presente in ogni opera di Tim Burton. La spirale mi dà l’idea di movimento “costante”, di pensiero in continua evoluzione, di apertura verso il mondo esterno se la si osserva in un verso, ma di chiusura e introspezione se la si osserva nell’altro, di simmetria “disordinata”. Praticamente sono io, sotto forma di simbolo.